capitolo due

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Libertà.
Cos'è davvero questa parola se non una sensazione, un qualcosa che provi al tuo interno.
Libero di dire la propria.
Libero di ascoltare la musica che più ti piace.
Libero di credere in ciò che vuoi.
Libero di avere dei diritti.
Libero di amare chi vuoi.
Libero di respirare aria.
Libero da quelle quattro mura e dalla vita che era lì dentro.
Eppure non mi sento proprio così.
In me c'è qualcosa che non si sente libera, ma ancora intrappolata. In gabbia.
Di preciso non so cosa, però mi sento così.
Il mio cuore.
Quello si sente chiuso.
Ha voglia di urlare, di quanto faccia male soffrire per una persona a cui ha dato tanto. A cui hai offerto il tuo cuore, per poi essere calpestato, preso a calci e ridotto a brandelli.
Perchè quando cerchi di essere buono, di far del bene agli altri, il tutto non viene apprezzato, ti ritorna indietro come uno schiaffo mai tirato.
Perchè la causa è proprio l'amore?
Sono io quello sbagliato? Quello che cerca di aiutare chiunque. Quello che vuole bene a tutti. Quello che quando sta male non lo dice per non far preoccupare gli altri. Quello che si detesta. Quello che non si apprezza e non ha autostima. Quello che ama e non viene considerato.
A quanto pare sì, sono io il problema.
Mi son detto che una come lei sarebbe stata perfetta per me.
Una come lei mi avrebbe accettato, mi avrebbe scelto prima di tutti, mi avrebbe fatto capire che il problema non sarei stato io e invece mi sbagliavo.
Ho creduto fin troppo.
Ho dato tutto per scontato ed ero così accecato dall'idea che lei mi piacesse più di qualunque altra ragazza.
Sono uno stupido, un emerito stupido ad aver creduto alle sue "false" promesse, ai suoi baci che mi rapivano, ai suoi occhi.
Ho sbagliato e se solo potessi tornare indietro, questo errore non lo avrei commesso.
Lacrime amare oramai contornano il mio viso.
Non riesco a trattenerla e fortuna che sono al parco, in un punto ben nascosto da tutti. Questo è il mio posto, dove nessuno sa dei miei pianti, a parte il salice sopra di me.
Anch'esso piange, piange per non so chi.
Alzo leggermente la testa e i miei pantaloni di tuta, sono leggermente bagnati.
Mi asciugo le lacrime e tiro su con il naso.
Devo smetterla di finire sempre così, a piangere per persone che non mi meritano. Anche se nemmeno io stesso mi merito.
Adesso devo farmi forza, perchè il vero peggio è passato.
Cerco di sorridere a me stesso, ma chiunque mi vedesse, penserebbe che stia facendo una smorfia.
Le foglie si muovono, ma non di tutto l'albero perchè in fondo oggi non c'è vento, solo un sole davvero torpido.
Le foglie frusciano soltanto in un punto e lentamente si aprono come una tenda.
La mia privacy viene interrotta da una ragazza dai capelli di un sacco di sfumature: sono castano scuro alla radice, poi diventano rossicci e alle punte biondi e le arrivano leggermente sotto al fondo schiena. I suoi occhi grandi, ma al tempo stesso piccoli mi scrutano.
Le sue labbra sottili rimangono serie.
Per non parlare della sua altezza, è così bassa e anche leggermente in carne.
Ha quell'aria da non so che.
Solleva all'insù i suoi tondi occhiali color oro che le risaltano la carnagione un pò pallida e le guance rosee di una recente abbronzatura.
«Se vuoi una foto con me, potresti anche fartela, ma non credo di essere così tanto in vena» le dico. Sicuramente avrà capito chi sono e quindi sta cercando di comportarsi bene, per poi andare più tardi dalle sue amiche e raccontare di aver incontrato il suo idolo Tancredi Galli.
Dalla sua bocca esce una piccola risata.
Perché ride? Ho detto o fatto qualcosa di male?
«Scusami? Perchè dovremo fare una foto se non so nemmeno chi tu sia» mi risponde.
Alzo un sopracciglio sorpreso. Non sa chi sono?
«Mai sentito parlare dei Q4 o tipo di un certo Tancredi Galli, da tipo più di un anno?» chiedo.
Si sofferma a pensarci su.
«Mh..no, nemmeno mai sentito nominare dalle mie amiche. Sai preferiamo meglio gli americani, sono così davvero fighi» fa un lieve sorriso.
«Quindi non mi conosci affatto? O per caso stai fingendo solo per passare del tempo con me, per poi raccontarlo alle amiche?» dico per avere conferma a una delle mie domande.
«Io non conosco te, come tu non conosci me» detto questo, si siede a circa un metro da me.
Si toglie lo zaino dalle spalle, mettendoselo davanti ai suoi piedi ed estrae un libro.
Leggo il titolo sulla copertina "Spectacle".
Mai sentito questo libro e deduco che possa essere francese.
«Di cosa parla?» rompo dal nulla il silenzio.
Okay, forse avrei dovuto non farlo, poichè solleva lo sguardo verso di me scocciata.
«Mai sentito nominare Jacques Prevert?» e chi diavolo è questo? Non sono amante della Francia o qualunque cosa ne faccia parte.
Poi passo in rassegna e penso alla sua "R moscia". Sembra renderla davvero tenera e le dà quell'aria francese.
Anche se può darsi che lo sia in effetti.
«Ho capito. Non conosci uno dei poeti francesi più apprezzati della storia. Cosa ti perdi» l'ultima frase diventa più un sussurro.
«Leggimi una delle sue poesie» obietto.
Perchè non mi sto facendo i cazzi miei? Ah, Tancredi te lo chiedi pure. Forse perchè ti sta piacendo parlare con una sconosciuta, tanto per non pensare alla tua ex, ovviamente.
Dò retta alla mia vocina nella testa. Può darsi che sia veramente così.
«Le poesie non vanno lette, ma interpretate in modo tale che arrivino nel cuore. È una frase che mi ha sempre detto mamma. Comunque te ne dico una» prende un respiro per poi iniziare.
«Des milliers et des milliers d’années
Ne sauraient suffire
Pour dire
La petite seconde d’éternité
Où tu m’as embrassé
Où je t’ai embrassée
Un matin dans la lumière de l’hiver
Au parc Montsouris à Paris
À Paris
Sur la terre
La terre qui est un astre.» rimango folgorato.
«Bella, anche se di francese non ho capito molto, solo la parola Parigi, Terra e astro. Quindi in sintesi cosa parla» le scappa una leggera risata.
«Guarda che il francese è più facile di quanto pensi. In pratica questa poesia parla del poeta nel momento in cui ha baciato la ragazza amata in un giorno d'inverno» ripone il libro nello zaino e guarda il cellulare.
«È tardi, devo scappare. Ciao...Tancredi» dice alzandosi.
«Aspetta un secondo. Come ti chiami?» sospira e fa spallucce.
«Non te lo dirò» e se ne va.
Le foglie si muovono dietro di lei per poi richiudersi e lasciarmi nuovamente solo.
Va bé, tanto non credo che la rincontrerò.
Mi alzo e decido di tornare a casa.
Probabilmente i ragazzi si staranno domandando dove io sia finito.

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So che avrei dovuto aggiornare sabato, ma ho avuto problemi di connessione e lo posto ora il capitolo.

Contre les portes de la nuit // sightancDove le storie prendono vita. Scoprilo ora