capitolo quarantatre

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Tancredi

Cammino verso il luogo dell'appuntamento.
Tra poco devo vedermi con Peia per andare al centro commerciale.
Non sono molto eccitato all'idea di girovagare per i negozi e seguirla.
Avrei preferito che fossimo rimasti a casa oppure avrei optato per qualcosa di fantastico, come facevo con Harmony, però non devo fare questi paragoni. Sono due persone totalmente diverse. Cioè non troppo.

È passata poi una settimana da quella volta che abbiamo giocato e ci siamo baciati.
In questo arco di tempo siamo usciti un paio di volte.
Abbiamo avuto dei mini appuntamenti e non capisco se Martina mi interessa ancora oppure mi piace l'idea che qualcuna mi calcoli.
Non lo so con certezza e prima o poi devo chiarire questo fatto con me stesso.

Arrivo nel punto stabilito con anticipo.
Lei ancora non c'è.
Non so quanto possa tardare, così mi guardo attorno per trovare qualcosa da fare nell'attesa.
Ci sono solo dei giochi per bambini, ma sono occupati.
Trovo una panchina e vado diretto lì per sedermi, ma vengo bloccato da una decina di ragazzine.
Fanno a gara tra di loro per chi deve scattare per prima una foto con il sottoscritto. Mi sento come un trofeo da dover vincere e non una persona con dei follower in più, con cui vorresti scambiare due parole, magari riderci insieme e la foto dovrebbe essere l'ultimo dei problemi.
Cioè la vera foto, quella che ti rimane impressa nel tempo è quella nella tua testa. Quella nessuno te la eliminerà, niente backup, nessuno la guarderà per ridere di te.
Ma purtroppo siamo abituati ad immortalare tutto, pure una formica mentre porta il cibo al formicaio.
Solo che le foto non rendono l'idea, nascondono la loro dimensione, la loro profondità, non danno le giuste emozioni che ti hanno donato il momento in cui hai deciso di fare quel clic.

Ritorno alla realtà e ancora le ragazzine non si sono messe d'accordo.
«Invece di farci una foto, perché non parliamo un pò?» prorompo speranzoso che possa andare così.
Si guardano tra di loro per poi portare l'attenzione a me e annuire.
Perfetto.
«Come state?» e c' chi mi dice bene e chi male.
Vorrei chiedere alle due ragazze che mi hanno risposto negativamente, se hanno voglia di sfogarsi, ma non posso prenderle in disparte e facendo rimanere male le altre.
Così semplicemente, le attiro a me e le stringo.
Può essere un gesto banale, ma so che gli abbracci sono una specie di medicina.
Quindi spero che il mio gesto le possa aiutare.
Poi si allontanano e sorridono beatamente.
Adesso mi sento bene anche io.
Dopo loro, abbraccio anche le altre.
E solo alla fine opto di farci una foto.
Mi salutano e se ne vanno con i rispettivi genitori.

Mi osservo attorno per poi notare la figura di Peia davanti l'ingresso del centro.
Cammino svelto verso di lei e mi saluta con un bacio a stampo sulle labbra.
«Andiamo?» chiede e la seguo.
Stranamente non c'è molta gente, nonostante sia sabato. Ma a dire il vero, meglio così.

Girovaghiamo per i negozi per un sacco di ore.
Lei entra in uno per stare tipo mezz'ora e passa e poi se ne esce con niente o con una sola cosa.
Questo è il modo di fare delle donne, anche se a volte pure i ragazzi lo fanno, però sono rari.
Io sono il mezzo, dipende dalla voglia che ho.
Se ho voglia di fare shopping, allora ci sto ore.
Quando non ce l'ho, preferisco camminare per osservare le vetrine senza entrare.
All'ora di cena ci fermiamo a mangiare al Burger king.
La accompagno a casa e poi ci salutiamo.

Prendo la strada per andare a Piazza Castello.
Non ho voglia di tornare a casa. Non ancora.
Fortuna che a quest'ora i ragazzini sono tutti a casa, i giovani in discoteca e gli adulti pronti per andare a dormire.
Passeggio per il lungo viale che mi porta davanti al Castello.
Mi siedo nel punto dove mesi fa ero con lei.
Non so se l'idiota sono stato io ad allontanarla per nessun motivo, o lei che ha smesso di venire a trovarmi a casa nonostante la rifiutassi.
Forse opterei per la prima.
Perché sì, il problema sono io.
Sono io quello che la sta tenendo lontano solo per il fatto che lei si è fidanzata con un altro.
Sono io l'errore.
Lo sono stato sin da quando sono nato.
Tutte le colpe ricadono su di me.
Qualunque.
Anche quando non è mia, ma ovviamente me ne assumo lo stesso la colpa.
È come se prendendosela, allegerisco gli altri e riesca a vedere in loro la felicità che meritano.
Io non merito nulla.
Non merito né la felicità, né lei, né i miei amici che sono sempre così gentili con me, ma quando mi chiudo nella mia bolla, so che nessuno abbia bisogno di me.
Non sono all'altezza degli altri.
Non lo sarò mai.
Non sono abbastanza.
Non sono nemmeno la persona preferita di qualcuno in particolare. Sono la seconda scelta.
Sempre.
Se dovessero chiedere a qualcuno di scegliere tra Brad Pitt e me, la gente ad occhi chiusi sceglierebbe lui.
L'essere all'altezza non viene scelto da noi stessi, sono gli altri a farci capire che valiamo poco. Che io valgo il niente.

Le lacrime scendono imperterrite. Non riesco a fermarle.
La testa mi pulsa forte.
Il respiro diventa sempre più corto.
Inizia a girare tutto.
Provo a calmarmi, ma non riesco.
Non ce la faccio.
I pensieri sono troppi e opprimono la mente.
Mi distendo sull'erba e le palpebre le sento pesanti. Non riesco a tenerle aperte.
E poi vedo solo il nero.

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Adesso si comincia :)

Contre les portes de la nuit // sightancDove le storie prendono vita. Scoprilo ora