capitolo quarantanove

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Harmony

Apro gli occhi dopo averli strofinati e mi osservo attorno.
Per un attimo non capisco dove sono, ma il profumo di lui mi arriva fin dentro i polmoni.
Al mio fianco non c'è.
Mi alzo e cammino scalza per la stanza.
Non ho delle pantofole e di certo non mi metto le scarpe appena sveglia.
Spalanco leggermente la porta e delle voci si fanno sentire per tutto l'appartamento.
Riesco a distinguerle.
Non pensavo che i suoi amici sarebbero venuti così presto.
Oh aspetta, che ore sono di preciso?
Raggiungo il bagno.
Trovo un piccolo orologio lì, stranamente e segna le 10:30.
Un pò troppo presto direi.
E poi fisso la mia figura allo specchio.
Capelli in disordine, la maglia un pò spiegazzata che scopre le mutande.
Mi lavo la faccia e con le mani cerco di sistemare al meglio i capelli.
Tiro la maglia fino alle ginocchia, quasi. Almeno mi copro abbastanza.
E in punta di piedi vado verso la cucina.
Sento il loro discorsi e soprattutto due frasi mi arrivano dritte, non direi come lame, ma non so nemmeno io come spiegarlo. Forse preciserei dire come lame di preoccupazione.
Le mie orecchie ascoltano i ragazzi che dicono che Tancredi non mangiava da tempo.
Non ho seguito il loro discorso sin dall'inizio, ma posso intuire che lui abbia parlato di ieri sera. Avrà parlato sicuramente dei miei muffin.
«Tu non mangiavi da molto? Perché?» prorompo nel loro attimo di silenzio.
Si voltano tutti verso di me.
Mi sento così piccola.
Come se volessi proteggermi da non so cosa, metto le braccia conserte e attendo risposta dal ragazzo.
«Dire buongiorno sembra un optional oggi» ammette Diego, credo.
Non so chi abbia davvero parlato, dato che i miei occhi sono puntati verso di lui. Verso l'unica persona che vorrei provare a capire cosa nell'ultimo periodo sia successo.
È colpa mia tutti gli eventi accaduti a lui? Adesso mi sto preoccupando davvero troppo, perché se sono io il problema voglio saperlo, voglio in qualche modo rimediare.
«Harmony, è lunga come storia da spiegare» dice soltanto.
Cosa c'è di così lungo da dire? Non credo che affermare che sia io il problema, sia così difficile.
«Sono io il problema? Non hai mangiato per tutto questo tempo e mi hai allontanato, perché non ti va che siamo amici? Tancredi dimmelo, altrimenti continuerò a farmi paranoie, perché tengo alla nostra amicizia» confesso esasperata.
Lui si avvicina cauto, come se avesse paura che io possa scappare.
Non lo farò.
Non lo farò fino a che non mi dirà il motivo.
Fino a che non sarà lui a buttarmi fuori da casa sua.
«Non sei tu. È solo colpa mia. Pensavo che mettendoti con Zeno, avresti messo la nostra amicizia in secondo piano o che sarebbe finita, così da stupido ti ho allontanato. Tu, davvero, non c'entri nulla» allunga una mano verso il mio polso sinistro e mi attira a sé.
Mi stringe tra le sue braccia e non posso far altro che respirare a pieno il suo profumo.
Mi invade le narici e mi sento così bene. Così a casa.
«Tra me e Zeno, forse è finita» me ne esco con quella frase così dal nulla.
Non so perché l'ho voluta dire.
Il mio cervello in questo momento non è collegato alla bocca e ho detto la prima cosa che mi è capitata. Però è vero.
Può essere che quando tornerò a Bordeaux, lo lascerò parlare, ma forse non torneremo insieme. O forse sì.
Ancora sono indecisa.
Zeno è il mio primo ragazzo, il mio primo bacio e l'ho desiderato per parecchi anni ed ora sembra come se ci fosse qualcosa che mi sta facendo capire, che tra me e lui non deve funzionare.
Devo ordinare il casino che ho nella mia testa, per poterlo poi affrontare e prendere la decisione migliore sia per me e sia per lui.

Dopo quel piccolo discorso, abbiamo pranzato e più tardi siamo usciti, sia lui e sia io per andare al parco insieme.
Mi era mancato andare in quel luogo, per stare solo noi due.
Ha portato con sé il libro di Jacques Prévert e una parte di me è così felice, che lui stia cercando di imparare quella lingua.
Significa che qualcuno la trova interessante.
Camminiamo sotto il sole caldo e a momenti potrei svenire, ma ce la faccio.
Sono soltanto le quattro del pomeriggio, ma fa davvero caldo.
Certo io amo l'estate, il caldo, il mare, ma oggi sembra un pò troppo eccessivo come caldo.
Spero che stando sotto al salice sia più fresco.
Arriviamo quasi mezz'ora dopo e spostiamo le lunghe foglie per entrare nel nostro "mondo".
Decisamente qui è più fresco.
Si sta bene.
Io mi siedo con la schiena contro il tronco e metto le gambe incrociate.
Lui si siede al mio fianco, ma invece di mettersi nella mia stessa posizione, poggia la testa sulla mia coscia scoperta dal pantaloncino.
Porto la mia mano tra i suoi capelli in modo involontario.
Lui sfoglia le pagine del libro trovando una poesia dove ha il segnalibro.
Intuisco che stia andando per ordine, piuttosto che leggerle a saltelli.
Ma ovviamente ognuno sceglie il suo metodo.
Solleva le ginocchia mettendo il libro lì e iniziando a leggere con la sua pronuncia.

«Quel jour sommes-nous
Nous sommes tous les jours

Mon amie
Nous sommes toute la vie

Mon amour
Nous nous aimons et nous vivons
Nous vivons et nous nous aimons

Et nous ne savons pas ce que c'est que la vie
Et nous ne savons pas ce que c'est que le jour
Et nous ne savons pas ce que c'est que l'amour»

Beh, devo dire che è abbastanza giusta, tranne per qualche parola che gli correggo alla fine.
Poi solleva lo sguardo verso di me.
«Posso cercare di tradurla?» chiede quasi supplichevolo.
«Vai» dico.
Voglio proprio sentirlo mentre tenta.
Mi piace poi quando ha letto, è così figo.
No, okay non dovevo dirlo, ma quella lingua sentita parlare dai ragazzi mi manda strane cose nello stomaco.
«Allora, se qualche parola non la so, mi aiuti, vero?» annuisco.
«Quel giorno siamo noi» comincia.
«In realtà è: che giorno siamo» lo correggo.
«Vabbè è simile» e cerco di soffocare una piccola risata.
«Adesso fammi continuare. Che giorno siamo
Noi siamo tutti i giorni
Mia amica
Noi siamo tutta la vita
Mio amore
Noi ci- non capisco questa» indica la parola.
«Amiamo. È facile come verbo da capire»
«Mio amore
Noi ci amiamo e viviamo
Noi viviamo e ci amiamo
E noi non sappiamo? È questa la traduzione di quella?» annuisco.
«E noi non sappiamo che cosa è la vita
E non sappiamo cosa sia il giorno
E non sappiamo cosa sia l'amore» finisce.
«Come sono andato sia come pronuncia e sia come traduzione?» aggiunge.
«Direi abbastanza bene, da qualcuno che conosce quella lingua solo da poco tempo» gli sorrido.
Sorride a sua volta.
«Merito tuo» aggiunge.
Le mie guance stanno andando a fuoco e sposto lo sguardo ovunque, pur di non puntarlo su di lui.
Con la coda dell'occhio vedo il suo dito che poggia sulla mia guancia, precisamente dove ho la mini fossetta.
Il mio sorriso si allarga di più.
È tutto così, non so come definirlo, ma che mi piace.

Contre les portes de la nuit // sightancDove le storie prendono vita. Scoprilo ora