capitolo quarantacinque

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Tancredi

Apro gli occhi lentamente.
Una stanza con delle pareti bianche. Una striscia azzurra le percorre.
Sulla sinistra delle grandi tende bianche, che svolazzano per via che la porta finestra è aperta.
Un tavolino è nei paraggi di essa.
Sopra una TV piccola.
Sulla destra un armadio e davanti un letto vuoto.
Poi due comodini che separano i due letti.
Sul mio braccio sinistro una flebo attaccata con dello scotch, mentre l'ago è dentro la pelle.
Perché sono in ospedale?
Cosa è successo?
Quante ore sono passate da quando ero nel parco?
A svegliarmi dai pensieri è la porta che si apre e cigola un pò.
La figura di Lele appare nella stanza con una mascherina a coprirgli la bocca, ovviamente.
Si avvicina a me e si siede sulla sedia che prende da vicino al tavolo, che non avevo visto prima.
«Come mai sono qui e da quanto?» chiedo sperando di ricevere subito risposta.
«Ehy, ti sei appena svegliato. Una domanda per volta. Va bene?» dice Lele.
Annuisco e ordino le domande nella mia mente.
«Perché sono in ospedale?» faccio la prima.
«Calo di zuccheri e pressione bassa»
«Seconda: da quanto?»
«Da tredici ore»
«Ho dormito così tanto?»
«E già. Se hai finito, vado a chiamare un infermiere»
«No, l'ultima. Chi mi ha portato qui?»
«Il custode del castello, aveva finito il turno e ti ha visto lì fuori. Pensava stessi dormendo e quindi ti avrebbe lasciato, ma ha cercato di chiamarti. Non rispondevi, non davi segni e si è preoccupato. Quando ce lo hanno riferito stamattina, eravamo anche noi preoccupati. Sei un idiota, sai?» e si asciuga una lacrima sfuggita per caso.
Allungo la mano sfiorando la sua, con il pollice gliela accarezzo.
Si alza e mi abbraccia prima di uscire.
Un infermiere entra nella stanza, facendomi alcune domande per accertarsi che sia tutto okay.
A detta sua potrei lasciare l'ospedale domani, mentre nel pomeriggio mi faranno delle analisi per essere sicuri.
Se ne va e rientra Lele seguito da Diego, Gian e Vale.
«Devi smetterla di farci preoccupare» prorompe Diego tirando un leggero pugnetto alla mia spalla destra.
«Concordo con lui» dice Vale.
«Anche io» fa Gian.
Lele non parla, perché credo abbia già detto tutto prima e non si mostra molte volte fragile davanti agli altri, solo a me o a Diego, poiché loro due sono cresciuti insieme.

Dopo l'ora di pranzo se ne vanno, perché l'orario delle visite è finito.
Adesso cosa faccio da solo?
Non ho il mio quaderno dei disegni, nemmeno il libro preso la volta scorsa.
Solo il cellulare che non voglio utilizzare.
Anzi credo che per un pò staccherò dai social.
Una settimana potrebbe andare bene.
Prendo il telecomando dal comodino e accendo la TV.
Sullo schermo alleggia "Nessun segnale".
Perfetto direi.
Provo a cambiare canali e provare se qualcuno si vede, ma nulla.
La spengo e mi alzo.
Esco dalla stanza e vado alla ricerca del bagno trascinandomi dietro la flebo.
Poi ritorno in camera e mi metto sul balcone a guardare l'esterno.
Gli alberi si muovono a ritmo del vento.
Gli uccelli cantano una loro musica.
Le auto sfrecciano in lontananza.
Non si sente nient'altro.
È tutto così rilassante.
Manca solo le onde del mare, ma purtroppo siamo a Milano e non c'è quella grande distesa azzurra.

Non so per quanto rimango lì.
Forse minuti o forse ore.
Punto sull'ultima, dato che l'infermiere di questa mattina entra in camera seguito da un dottore e un'infermiera che porta con sé una sedia a rotelle, ovviamente indossano tutti la mascherina.
«Signor Galli, si sieda e venga con noi. Abbiamo aspettato quattro ore per la sua digestione, per poter farle qualche analisi» confessa il dottore e mi indica la sedia.
Mi siedo e mi portano con loro nel laboratorio analisi.
Dopo andiamo nella sala delle TAC, poi risonanza magnetica, per assicurarsi che sia tutto okay, ma hanno detto che i risultati ben precisi me li faranno sapere domani mattina.
Quando torno in stanza, trovo Martina seduta al bordo del letto.
L'infermiera mi aiuta ad alzarmi dalla sedia e a sedermi sul letto.
Dopo quasi due ore a fare tutti quei controlli, mi sento spossato.
L'infermiera abbandona la stanza avvertendomi prima, che fra mezz'ora mi porteranno la cena.
Peia si avvicina un pò, ma rimane ancora sul bordo.
«Stai bene?» annuisco in risposta.
Mi sollevo quel poco che basta per non stare troppo disteso.
«Se c'è qualcosa, qualunque cosa che possa fare, basta chiedermelo e la farò» dice.
«Grazie» vorrei dirle di più, ma la stanchezza che ho nel corpo me lo impedisce.
Aspetto che mi arrivi la cena almeno potrò guadagnare un pò di energie.
Sposto il mio sguardo verso la finestra oramai chiusa e non mi accorgo che Peia si sia avvicinata, per posarmi un bacio sulle labbra.
Uno piccolo e leggero.
Sento la sua preoccupazione.
In fin dei conti lo sono tutti.
Chissà se Lele o qualcuno di loro ha avvertito la mia famiglia o i fans.
Sicuramente sì.

Martina mi aiuta a mangiare, perché non riesco a tenere decisamente in mano una posata, dato che la mia mano trema.
Fortuna che in questo momento c'è lei.
Mi sta aiutando tanto ed io la sto solo illudendo.
Poi prima che esca dalla stanza, mi dice qualcosa che non mi sarei mai aspettato.
Pensavo di essere così bravo a mentire e a nascondere i miei sentimenti, invece lei ha fatto centro e mi ha capito meglio di chiunque altro.
«So che non ti piaccio davvero come lei e dovresti dirglielo. Fregatene che ha già qualcuno al suo fianco, ma se non ti dichiari, poi potresti in futuro pentirtene. E riguardo a prima, Tanc, io farei davvero qualunque cosa per te, ma come semplice amica» e successivamente chiude la porta.
Non mi ha dato il tempo di replicare.
Volevo capire chi le avesse parlato di Harmony, perché durante il tempo passato con lei, non l'ho mai nominata una volta, per non farla stare male. Però mi sbagliavo.
Lei sapeva già tutto, prima ancora che sapessi io qualcosa.

Contre les portes de la nuit // sightancDove le storie prendono vita. Scoprilo ora