capitolo quaranta

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Tancredi

Sono passati due mesi da quando non la vedo.
Sono due mesi che non esco di casa.
Due lunghi mesi che non faccio nulla.
Niente di produttivo.
Mi alzo.
Vado al bagno.
Pranzo.
Ritorno a letto.
Vado al bagno.
Ceno.
Dormo.
E basta.
E non mangio nemmeno molto.
Lo stomaco è come se si fosse chiuso, ho poca fame.
Non ho nemmeno voglia di disegnare.
I ragazzi hanno cercato di farmi svagare, ma non c'è verso.
Nulla da fare.
E non so perché per una cotta, mi stia abbattendo emotivamente così.
Non l'ho mai fatto.
È anche venuta più di cinque volte, ma fortuna che nessuno l'ha fatta entrare trovando sempre delle scuse.
Poi ovviamente, dopo quelle cinque volte, non si è fatta più viva.
Non mi interessa.
Anzi mi interessa sapere se sta bene, se lui la rende felice, se se la merita come deve.
Eppure non faccio nulla.
Soffro nel mio silenzio.
Sono un idiota.
Ma in fin dei conti non posso fare nulla.
La scelta è stata la sua.
A lei interessa quel tizio, quindi devo solo essere felice per lei, ma non ci riesco.

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Faccio un ultimo giro della casa e le do' un ultimo saluto.
Da adesso non ci sarà più la Chill House, nel senso ci sarà, ma non sarà più questa villa, perché il contratto è terminato e dobbiamo andare in una nuova casa.
Cioè la nuova che abbiamo trovato non è paragonabile alla Chill, ma almeno è carina e mi sta bene.
Trascino le valigie con me e salgo in auto diretti verso Milano.
Arriviamo poco dopo quindici minuti.
Vado avanti rispetto agli altri per trovare la stanza che più mi piace.
Sistemo le mie cose e osservo dalla piccola finestra i palazzi attorno.
Mi piaceva quando mi affacciavo nella mia vecchia stanza dalla finestra e ammiravo il prato attorno, mentre ora sembra più spento osservare l'esterno.

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Esco e cammino un pò per le strade di Milano.
Guardo la vita scorrere davanti agli occhi.
Persone che camminano ancora con la mascherina, le distanze, è tutto ancora così reale.
Mi fermo davanti ad una vecchia libreria e sulla vetrina noto un piccolo libro.
Fisso la sua copertina un pò rovinata dal tempo, segno che chiunque lo possedesse, lo aveva da parecchio tempo.
Varco la soglia e il campanello sopra la porta  annuncia la mia entrata.
L'anziana donna dietro al bancone, solleva il suo sguardo da qualche libro che stava leggendo e posa la sua attenzione su di me.
Guardo i tre scaffali che compongono questa piccola libreria.
Sono stra colmi di libri usati e il loro profumo aleggia nell'aria.
Mi ricorda tutto Harmony.
«Desidera qualcosa?» chiede la donna.
«Sì. Il libro che è in vetrina, lo si può acquistare?» dico.
«Mi scusi, quale vorrebbe? Ce ne sono una decina» che sbadato, non le avevo detto il nome.
«Le spectacle di Jacques Prévert»
Lei si sporge e prende il libro desiderato.
Ritorna dietro al bancone e fa il suo lavoro, poi me lo porge dicendomi il prezzo.
«7 euro» e le do' i soldi.

Vorrei andare a leggerlo sotto al salice, ma da qui è molto lontano e finché prendo i mezzi, arrivo per l'ora del tramonto e poi non si riesce a leggere nulla.
Scarto questa opzione e ritorno a casa con il mio nuovo acquisto tra le mani.
Tralasciando il fatto che non capirò molto di francese, ma tenterò.
Magari imparerò qualcosa e magari farò una bella impressione ad Harmony, se mai in futuro dovessimo rivederci.

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E niente, questo capitolo ho deciso di farlo abbastanza corto, per prepararvi ai prossimi che saranno davvero "incasinati", se così posso dire.

Contre les portes de la nuit // sightancDove le storie prendono vita. Scoprilo ora