0// The true pain

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Sei anni prima...

«Che hai fatto oggi Madison?» mi chiese Hannah, mia madre adottiva, mangiando un pezzo di pomodoro dal suo piatto.
Era una bella donna, aveva dei lunghi capelli marroni, occhi scuri, labbra sottili e alcune lentiggini sparse sul naso.
Stavamo cenando insieme a Jonny, mio padre adottivo, dai capelli corti neri, anche lui aveva gli occhi scuri con un sottile accenno di barba sulle guance e come sempre entrambi provavano a parlare con me durante i pasti, l'unico momento in cui non stavo chiusa nella mia stanza.

«Il solito» scrollai le spalle, giocando con il cibo nel piatto.
Non avevo molta fame, volevo tornare in camera mia ad ascoltare la musica. Facevo quello quasi tutto il giorno, mi rilassava, le parole delle canzoni arrivavano nel profondo della mia anima e riuscivano a capirmi.

«Che ne dici di andare al parco domani?»propose quella che sarebbe dovuta essere mia madre, che però non riuscivo a considerare tale.
La mia mi aveva abbandonato e lasciato con mio padre che non faceva altro che torturarmi.
Il bene o l'amore non esistevano nella mia vita e la cosa più brutta era che lo dicevo a soli undici anni.

«Preferisco stare a casa, ora comunque voglio andare a dormire, buonanotte» sospirai frustata, alzandomi dal tavolo.
Ricambiarono il saluto, abbozzando un sorriso dolce, che non riuscii a ricambiare, salendo in camera.
Mi chiusi la porta alle spalle, slegando i miei capelli neri, con delle strane ciocche blu sulle punte che avevo da quando ero piccola, lasciandoli sciolti in modo che la coda non mi desse fastidio.
Mi misi sotto le coperte, smettendo di pensare alla mia vecchia famiglia, chiudendo gli occhi, ormai stanchi di osservare sempre il buio che mi circondava.

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Erano quasi le tre del mattino quando degli strani rumore mi fecero svegliare.
Stavo dormendo, stranamente senza far nessun incubo, quando un grido mi fece completamente alzare.
Sembrava Hannah.
Era entrato un ladro forse?

Mi avvicinai alla porta della mia stanza, provando ad origliare ma non capivo. Dovevo controllare che fosse tutto apposto. Per quanto non avrei mai desiderato legarmi ad altre persone, non potevo perdere anche loro.
Misi una mano sulla maniglia, pronta ad aprirla.

«Non avere paura Mad» sussurrai, stringendo forte il pugno, ripetendo le parole che mio fratello mi diceva ogni volta quando sentivamo i passi dell'uomo che ci aveva rovinato la vita arrivare nel seminterrato dove mi faceva vivere.

Aprii la porta, sperando non facesse troppo rumore, scendendo silenziosamente le scale. Più mi avvicinavo, più sentivo delle parole sconnesse dette da qualcuno che non faceva parte della casa, udivo dei rumori di vetri rotti schiacciati dalle scarpe, oggetti lanciati a terra e singhiozzi trattenuti.

«Non fatele del male, ha già sofferto abbastanza» urlò Jonny, con le lacrime agli occhi.
Sentendo la sua voce disperata, mi dimenticai di non farmi sentire, correndo in soggiorno dove trovai i miei genitori adottivi legati con delle funi ben strette attorno ai polsi e alle caviglie.
Non avevano via di fuga, erano in trappola.
Hannah aveva una faccia addolorata e perdeva del sangue dal labbro spaccato, mentre a Jonny il sangue dal naso gli aveva sporcato la camicetta da notte bianca, in oltre lo zigomo destro era gonfio, presto sarebbe diventato violaceo.

Guardai furiosa le persone che avevano fatto del male alla mia famiglia, ignorando la paura alla visione di quattro persone vestite completamente di nero.
Avevano una maschera in volto, sembrava la faccia di uno scheletro grigio.
Erano dei mangiamorte.

«Madison scappa» strillò Hannah, provando inutilmente a liberarsi. Le corde erano troppo strette.

«Ecco la piccola Madison, il signore oscuro sarà così felice di vederti» parlò uno dei quattro avvicinandosi a me, con la sua bacchetta puntata nella mia direzione.
Non ti temo.

«Liberateli» sentivo già il sangue circolare più velocemente, il respiro affannoso e la voglia di far uscire il demone che avevo all'interno.
Non avevo bisogno di una bacchetta, non ero una strega, ero diversa da loro, lo sentivo ma non lo capivo.
Mi arrabbiavo facilmente ma i miei genitori cercavano sempre un modo per evitarlo.

«E che divertimento ci sarebbe poi?» rise di gusto un altro dei quattro mangiamorte. Era quello più vicino ad Hannah e Jonny, seduti a terra che mi fissavano preoccupati.
Ero ferma a guardare la scena, la rabbia stava prendendo il sopravvento.

«Cosa credi di fare contro di noi? Sei solo una bambina. Non vedo l'ora di sentire le tue grida in preda al dolore, ma adesso mi accontenterò delle loro» continuò quello vicino ai miei genitori, alzando la bacchetta dalla parte dei loro corpi.

«Crucio» pronunciò una delle maledizioni senza perdono che ben conoscevo, facendo urlare Hannah e Jonny davanti ai miei occhi. Era un dolore che ricordavo a memoria, non mi faceva quasi più niente.

«Smettila» sbraitai, notando dal riflesso dei vetri rotti a terra, causati dalle finestre spaccate, i miei occhi diventare blu scuro, come la notte, ma senza stelle, nella mia vita non brillava niente.
Non erano più i miei classici occhi neri, non ero io in quel momento.
Dovevo mantenere la calma o sarebbe successo qualcosa, ne ero certa.
Che cosa ero?

Le mani formicolavano e il piccolo fulmine nero che avevo nel polso da tutta la vita bruciava ed era della stessa tonalità dei miei occhi. Non avrei permesso di vedere i miei genitori adottivi soffrire, ecco perché lasciai uscire il potere che avevo. Pensavo di essere normale, una semplice umana e invece avevo dei poteri anch'io insieme al sangue magico.
La vita era una sorpresa o meglio, una fregatura.

Chiusi gli occhi, lasciando che la rabbia prendesse il controllo del mio corpo.
Fagliela pagare.
Loro devono soffrire.
Uccidili.

«Mostro» bisbigliò un mangiamorte, prima di essere colpito da un fulmine blu uscito dalle mie mani.
L'elettricità era padrona di me, non vedevo niente e nemmeno sentivo qualcosa e soprattutto non riuscivo a fermarmi.
I fulmini uscivano dalle mie mani come qualcosa di naturale, come se l'avessi sempre fatto.

«Mad...» la voce di Hannah mi risvegliò.
Tutto cessò, il potere che sentivo sparì in una frazione di secondo appena vidi ogni mangiamorte a terra, ormai morto praticamente carbonizzato, insieme ai miei genitori adottivi.
Jonny era morto e Hannah quasi.
Che avevo fatto?

«No, n-no... Ti prego perdonami» con le lacrime che senza neanche accorgermene bagnavano il mio viso, mi avvicinai a mia madre adottiva, appoggiandole la testa sulle mie ginocchia, scusandomi per il male che avevo fatto a lei e suo marito.
Ero davvero un mostro.

«Non è colpa t-tua, ma il potere è troppo forte... Ti voglio bene Madison» provò ad accarezzarmi con la mano bruciata, ma non ci riuscì, così lasciò perdere, chiudendo gli occhi per sempre.

«Ti voglio bene anch'io» dissi, appoggiando il corpo di Hannah a terra, alzandomi in piedi, scappando da quella casa.
Perché non ero riuscita a controllarmi?
Ero un'assassina.
Avevo ucciso due innocenti da bambina, da adolescente che avrei fatto?

Spalancai la porta, notando le mie mani leggermente sporche di sangue per quei strani fulmini usciti da esse, ignorando il freddo causato dalla neve che cadeva sulle strade, cercando un posto dove andare. Indossavo un vecchio pigiama rosso fuoco, abbastanza leggero, ma non ero quello il momento per pensarci.
Ero riuscita a dire ad Hannah per la prima volta "ti voglio bene" e lei era davvero morta?
Per colpa mia.

Era notte fonda, la testa scoppiava, gli occhi bruciavano e vedevo a malapena per le lacrime. Girai in un vicolo cieco, era buio e stretto, ma poco m'importava, non sarei rimasta altro tempo in quella casa, non potevo vedere che cosa avevo combinato.
Dovevo scappare e andare via, sperando di non perdere mai più il controllo.
Avevo un demone all'interno.
Io lo ero.

Dalla troppa preoccupazione chiusi gli occhi e svenni, sentendo prima di cadere a terra due braccia prendermi in tempo. Era un uomo, la sua lunga barba mi solleticava le braccia.

«Ora ti porto nella tua nuova casa signorina Madison» da lì non mi accorsi più di nulla, se non del vero dolore che provavo e che non mi avrebbe mai abbandonato.

The true pain // Mattheo RiddleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora