23 - Ricordi

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Fu in una calda serata di luglio, che incontrai Federico per la prima volta.

Avevo accompagnato Barbara all’inaugurazione di un nuovo locale in centro, anche se mi ero ripromessa che non mi sarei più fatta fregare dalle sue teorie su come “ci si deve divertire”.

Passai due ore al bancone, bevendo un cocktail a dir poco orrendo e chiacchierando con Il barman. Poi d’improvviso, percepii la presenza prepotente di uno sguardo, mi voltai e lo vidi.

Era seduto poco distante da me e quando i nostri sguardi si incrociarono, lui sollevò il bicchiere che aveva in mano, in segno di saluto, si alzò e mi venne incontro continuando a fissarmi con insistenza.

“Ciao… mi sembra che tu non ti stia divertendo molto… posso sedermi qui?”

“Si… figurati…”

“Piacere io mi chiamo Federico”

“Piacere… Alessia”

Il resto della serata, la passammo a bere e a parlare di noi.

Abbiamo cominciato a frequentarci saltuariamente, in seguito con più frequenza, infine, dopo solo sei mesi, siamo andati a vivere insieme.

Ero priva di ogni senso logico, priva del minimo istinto di autodifesa. Affrontai la situazione senza pensare, escludendo la possibilità che quello che stavo facendo potesse essere per lo meno azzardato. Non valsero a niente le raccomandazioni di Barbara, di mia madre e di Luca. Mi tuffai  in quella nuova vita convinta di poter galleggiare senza problemi, invece mi ritrovai ad arrancare senza trovare appiglio. Iniziai a dipendere completamente da lui. Sentivo che niente poteva servirmi se Federico era con me, quindi il passo successivo fu quello di modificare la mia vita in funzione della sua, ma senza consapevolezza, semplicemente trasportata dalla passione del momento, trasportata da quello che credevo amore.

Dopo un anno, avvertii una distanza improvvisa che si era frapposta tra noi. Ho cercato in tutti i modi di capire quale fosse il problema, ma la ragione mi aveva ormai abbandonata, lasciando il posto ad un susseguirsi di paranoie deliranti e crisi di panico improvvise. Più lui si allontanava e più io sentivo mancarmi l’ossigeno. Così decisi che per risolvere i nostri problemi avrei dovuto fare qualcosa di spettacolare, di sorprendente e inatteso. Smisi di prendere la pillola senza dirgli niente e dopo poco tempo arrivò la notizia: ero incinta.

Intorno a me le cose continuavano a precipitare rovinosamente, ma io non ero più in grado di avvertire niente, se non quello mi stava accadendo.

Una sera tornai a casa prima, per dargli la notizia, ma lo trovai in piedi davanti alla porta con le valige in mano.

“Cosa stai facendo?”

Sentivo un peso comprimermi il cuore.

“Io non ce la faccio Ale… abbiamo sbagliato tutto… io ho sbagliato… ma siamo ancora in tempo per riprenderci le nostre vite… io ho bisogno di stare da solo… mi sento soffocare”

Assimilai le sue parole come fossero veleno, mi entrarono in circolo nel sangue provocandomi spasmi di dolore, poi un conato di vomito, poi il buio.

Mi risvegliai in ospedale, ipnotizzata dal gocciolio costante della flebo.

“Ci ha fatto prendere un bello spavento… sa signorina?”

Il viso di quella minuta infermiera, fu la prima cosa che vidi.

Ero in uno stato confusionale che mi impediva di capire.

Sentivo il brusio delle voci venire dal corridoio: “La ragazza sta bene… non si preoccupi… ma per il bambino non abbiamo potuto fare niente… ha abortito spontaneamente… sono cose che posso succedere soprattutto i primi mesi… mi dispiace”

Vidi il viso di Federico diventare improvvisamente bianco, poi, dopo essersi congedato dal medico, si fermò sulla porta della camera.

Tutto quello che avevo fatto, tutti gli sforzi che mi ero imposta di  affrontare per noi, si erano trasformati in un incubo dal quale non ero in grado di uscire. Quella doveva essere la mia sorpresa per lui, per noi e invece diventò la tomba di un amore che aveva cessato di esistere molto tempo prima.

Mi guardò un tempo infinito poi disse solo una cosa: “Non sarebbe servito a niente…”

Se n’è andato, lasciandomi ad ingoiare le lacrime, che per troppo tempo avevo rifiutato di versare.

Quando tornai a casa mi sembrò di aver perso una parte di me. Ogni stanza, ogni piccolo angolo, mi pareva privo di tutto quello al quale mi ero aggrappata disperatamente per un anno. Più niente era in grado di risollevarmi, solo lavorare mi ha permesso di affrontare lo scorrere del tempo.

UN TANGO CON GAELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora