42 - Uno schiaffo

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Tutto stava accadendo in modo quasi surreale come se, d'improvviso, fossi stata catapultata in una vita parallela, in una vita che non mi apparteneva e così, arrancando, cercavo di renderla tangibile, di renderla mia.

Mi appoggiai al corrimano e aspettai che la scala terminasse la sua corsa, poi posai mestamente la valigia e mi lasciai cadere come un peso morto sulla poltroncina della sala d'aspetto.

Sentivo ancora il suo sapore sulle labbra il suo profumo imprigionato tra i vestiti, guardai il soffitto e trattenni il respiro.

Incurante di me, il giorno riportò tutto al suo ritmo frenetico, un mare di persone mi passava davanti con indolenza: "Ancora un'ora... questa attesa è snervante...".

Mi alzai, afferrai la valigia e presi a camminare lungo il corridoio che portava al bar.

Poi una figura catturò la mia attenzione. Da principio era un'ombra lontana, poi prese lentamente forma, iniziai a distinguerne prima il profilo, dopo il viso, infine vidi un foglio stretto tra le mani.

Ma l'ultima cosa che vidi furono gli occhi.

La distanza diventava sempre più breve e in un attimo sentii il sangue gelarsi nelle vene, il respiro farsi pesante, poi la distanza sparì e restai immobile.

"Pensavi che bastasse una lettera..."

Non ero in grado di rispondere, di ribattere, non una parola mi sembrava adatta per giustificarmi, cercai di elaborare una frase che avesse un senso, Dio... sapevo che c'era un senso per tutto quello che stava accadendo, ma niente, non risposi.

"Te prego... di qualcosa... Ale, parla! Ma te rendi conto? Eh? Te rendi conto??? Non hai pensato che anche io avessi il diritto de parlare... dire qualcosa? I miei sentimenti non contano???"

Sentivo le sue parole ferirmi come coltelli, sapevo che avergli permesso di continuare, avrebbe significato rischiare di soffrire... ancora.

"Io..."

"Tu cosa?"

C'era tanta rabbia nel suo sguardo, una rabbia terribile, intollerabile.

"Tu cosa???"

Mi prese un braccio e mi trascinò verso le scale. Sentivo le sue dita stringermi come una morsa, poi uscimmo da una porta a vetri, sotto lo sguardo attonito della gente.

L'aria della mattina mi bruciò i polmoni, mi sembrò che respirare fosse diventato doloroso, doloroso e lacerante come guardarlo negli occhi.

Mollò la presa e alzò il foglio verso di me:

"Con questa pensavi davvero de risolvere tutto? Sei molto brava a tirarti indietro... vero? E' la cosa che ti riesce meglio... a quanto pare!"

"Non è vero... non è così... sei ingiusto"

"Cosa??? Io... io sono ingiusto? Oddio non ci posso credere!!!"

Poi fece una cosa che mai avrei creduto possibile, l'unica cosa che non avevo preso in considerazione, l'unica non contemplata. Mi diede uno schiaffo.

Ma il dolore che provai non veniva dalla guancia, no, quel dolore si liberò da dentro e iniziò a traboccare da ogni parte, così lasciai la valigia e cercai di scappare, ma Gael mi afferrò nuovamente il braccio e mi abbracciò.

"Scusa... scusa... non volevo... mi dispiace Ale"

La guancia indolenzita venne a contatto con il suo maglione, poi sentii una lacrima bagnarmi il viso, ma non era mia.

UN TANGO CON GAELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora