28 - Sensazioni

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Lo spettacolo continuò per un mese, poi anche Barbara dovette rassegnarsi all’idea del distacco. Si ripromise di andare ogni fine settimana nella città in cui avrebbero tenuto la rappresentazione e così fece, ma niente fu più come prima.

Riprendemmo a ritmo accelerato il lavoro, passato gennaio, mi gettai alle spalle tutto il peso che avevo accumulato e cercai di guardare avanti, così anche febbraio e marzo trascorsero senza che quasi me ne accorgessi.

Le comunicazioni tra noi si limitarono a brevi messaggi, come se il non sentirci, avrebbe potuto, in qualche modo, alleviare il dolore.

Più il tempo passava e più sentivo la distanza aumentare, diventare abissale. Quello che mi spaventava maggiormente, era il senso di vuoto che aveva lasciato. Non riuscivo a capacitarmi di come avesse potuto, in così poco tempo, entrare con tanta prepotenza, tra le cose che ritenevo indispensabili.

Verso la fine di aprile, Barbara decise di andare via con Diego per una settimana.

“Dai Ale… vieni anche tu…”

“Ma non ci penso proprio! Tu Diego ed io… non esiste… sto già abbastanza male per conto mio… di fare il terzo incomodo non ne ho voglia…”

“Ma perché? Senti… Diego ha finito con lo spettacolo… avevamo intenzione di andare in Messico… davvero non hai voglia di vedere Gael?… dai… ti farebbe bene…”

“Cosa? Vederlo sei giorni? E poi? Sono satura di addii. Certo che ho voglia di vederlo… ma è meglio evitare di aggiungere altro dolore, non credi?”

“Ma Ale… se le tue intenzioni sono queste… allora… significa che non lo vuoi più rivedere?”

“Non ho detto questo… ma non è così che riuscirò a risolvere il problema”

Barbara, prese dal cassetto del mobile un album, venne vicino a me e lo aprì.

“Ti ricordi?”

Erano le foto della nostra prima gita scolastica. Una comitiva di cinquanta delinquenti minorenni, in trasferta per cinque giorni, a Praga.

“Oddio… ma com’eravamo conciate?!?”

A pensarci, di quei cinque giorni, avevo un ricordo molto vago e non perché fossero passati quattordici anni, ma perché ci devastammo a tal punto, da non essere più in grado di capire niente.

“Non sapevo che le avessi tenute… ma guarda… eravamo orribili…”

“Non è vero! Guarda questa… ti ricordi?”

“Ma questo è Paul! Si… ricordo… avevamo incontrato, in albergo, una classe di inglesi… e abbiamo fatto amicizia…”

“Amicizia? No Ale… forse non ti ricordi bene… tu avevi completamente perso la testa per lui e avevi deciso di scappare a Londra! Avevi pianificato ogni cosa… eri intenzionata a mollare tutto e tutti per un perfetto sconosciuto… per amore!”

“Amore… se ci penso adesso mi scappa da ridere…”

“Beh, non dovresti…”

“In che senso? Sarei dovuta scappare secondo te? Ma se alla sola idea, ti mettesti a piangere disperata! Dai… avevano diciassette anni… se ne fanno di cazzate a quell’età… e se ne dicono ancora di più…”

“Non ti ricordi più com’eri?”

“Ero deficiente… come qualunque altra adolescente… ero impulsiva e insensata…”

“No… eri viva! Eri pronta a rischiare… davi all’amore il giusto peso che meritava…”

“Ancora con questo amore! Quello non era amore… erano ormoni in iperattività…”

“Va bene… chiamalo come vuoi… ma tu eri disposta a tutto per quegli ormoni!”

“Mi dici dove vuoi arrivare Baby?”

“Se a diciassette anni eri disposta a qualunque cosa per un’idea… perché a trentuno non sei in grado di fare niente per amore?”

Avevo capito perfettamente dove volesse arrivare con quel discorso.

“Io rivoglio la mia Ale… la mia piccola pazzesca Ale… anche a costo di perderla!”

“Ma è tutto diverso adesso… a diciassette anni, ero piena solo di me stessa… adesso sono piena solo di casini… secondo te dovrei mollare tutto? La mia vita, il mio lavoro… te… e andare dove? A vivere come un’ombra per stare con lui? Credi che sarei in grado di rinunciare a tutto, per rincorrere un sogno? Dai Barbara… ti facevo più sensata…”

“Qui non si sta parlando di essere sensati… ma di essere felici… uno ci deve almeno provare cazzo… non hai voglia di tornare ad essere quella che eri un tempo?”

Mi alzai e andai verso la finestra. Sentivo il peso di tutte quelle parole, sentivo il peso delle mie decisioni.

“Siamo due mondi troppo diversi…”

“Siete due mondi che si sono incontrati… già questo è un miracolo… io non ci sputerei su… di miracoli non se ne vedono molti ultimamente!”

“No Barbara… non ho intenzione di rischiare un’altra volta… non adesso… non me la sento di mettere in preventivo un altro abbandono. Ci ho pensato sai… forse sono io quella sbagliata… anche con Federico… sono io che ho sbagliato… sono io che ho invaso il suo spazio, che l’ho soffocato, che l’ho spinto ad andarsene…”

Come una furia che si abbatte, sentii uno schiaffo bruciarmi la guancia.

“Adesso è ora di finirla!”

Vedevo distintamente le lacrime scorrerle lungo il viso, le sue mani tremare.

La fissai allibita, sentivo un dolore crescente martellarmi nel punto in cui mi aveva colpito ma non reagii.

“Barbara…”

“Mai più… ripeto mai più, voglio sentirti dire che è stata colpa tua!”

Si voltò e andò in bagno senza aggiungere altro e io restai lì, a fissare la porta socchiusa, a sentire l’acqua scorrere, a sentirla singhiozzare.

UN TANGO CON GAELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora