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"Mi raccomando signora Reed molto riposo, anzi assoluto riposo." La dottoressa è ostinata, ma mia madre è sempre stata una testona di prima categoria. "La accompagnano alla macchina, suo figlio ha parcheggiato qui davanti." Le dice con premura, purtroppo per mia madre sarà l'ultima volta che vede la dottoressa.
Aiuto mia madre a salire nella macchina, la corvette non è proprio il massimo della comodità per chi fa fatica a muoversi. "Asher, non potrei dartele, ma dato che dovrete andare a Londra è meglio che tu sia preparato." Mi passa un flacone di pasticche senza etichetta, è la quantità consentita in aereo. "Se dovesse avere una crisi respiratoria dalle una di queste, e nient altro mi raccomando." Spiega e io annuisco per poi ringraziarla di tutto per questi anni in cui ha seguito mia madre e la sua malattia.
Nel baule ci sono già i borsoni coi panni, ho mandato anche un email al padrone di casa per avvisarlo che lasciamo la casa e disdire il contratto di affitto.
Imbocco la superstrada con direzione aeroporto di New York, il Kennedy per la precisione.
Quando scendo vedo Jack e Liam, quei pochi amici che mi sono rimasti dalla scuola.
"Ehi ci dispiace per che parti così con poco preavviso, vi abbiamo comunque preso qualcosa per il viaggio." Mi passa una sportina con qualche parola crociata, due biscotti e le palline anti stress che uso spesso nei momenti di maggiore difficoltà. "Grazie ragazzi, veramente." Batto il pugno ad entrambi. Mi aiutano a mettere mia madre sulla carrozzina e la copro con il plaid, fa freddo in questo momento e ci stiamo avvicinando al Natale, dovrò anche comunicare al college che abbandono gli studi.
"Ma tornerai vero?" Domanda Liam e io scuoto la testa. "Non posso dirti con certezza che tornerò." Ammetto e loro capiscono dato che sapevano che in famiglia eravamo solo io e mia madre, non ho nessun partente che conosca qua in America e di mio padre non so nulla, mamma non mi ha mai voluto dire niente.
Lascio le chiavi della macchina a Jack, per mia fortuna sul padre ha una concessionaria di auto e la venderà per me, saluto un'ultima volta i ragazzi per poi addentrarmi al aeroporto con mia madre e i due borsoni.
Arrivato al body scanner gli addetti scansionano accuratamente mia madre mentre io passo per gli scanner normali, sarei un pazzo a portarmi un'arma in aeroporto senza alcuna licenza.
Il controllo dei passaporti è andato bene e i biglietti erano già prenotati dallo zio, vedo che mia madre è molto tesa, il macchinetto di battiti mostra che li ha alti.
Avendo la carrozzina mia madre ha la corsia preferenziale per salire in aereo, una delle hostess ci raggiunge assieme ad un addetto per il macchinario.
Saliamo in aereo e prendiamo posto dove l'hostess assicura la carrozzina con gli appositi blocchi. Vedo che ogni tanto mi manda certe occhiate, probabilmente se non fossimo su un aereo con mia madre accanto una botta gliela darei volentieri.
"Che cosa ti preoccupa mamma?" Le domando sistemando bene la borsa da cabina. "Non vedo mio fratello da sedici anni, l'ultima volta che lo abbiamo visto tu avevi 3 anni." Afferma con voce stanca. "E tu avevi la mia età." Rammento, è rimasta incinta a sedici anni ed è stata coraggiosa a volermi tenere, sono molto legato a lei.
"Eri un bimbo così vivace e spontaneo, non si poteva non volerti bene." Afferma e io le do un bacio casto sul dorso della mano. "Ti voglio bene anche io." Le dico sincero, l'amore con lei non è mai mancato, è l'unica che può abbracciarmi, non mi sento a mio agio con le mani di estranei addosso.
"Vedrai che andrà bene il volo, lo zio ha già predisposto il taxi per arrivare dall'aeroporto a casa sua." La informo continuando a tenerle la mano.

Atterriamo che sono le tre di notte, per fortuna il volo è andato bene, mamma ha dormito quasi tutto il tempo mentre io ho guardato qualche film oltre che sonnecchiare. Spingo la carrozzina fino all'uscita dell'aeroporto Heathrow, non sono mai stato a Londra prima d'ora, mi guardo attorno e dopo non molto un tipo alto e slanciato si avvicina a noi. "I signori Reed?" Ci domanda e io annuisco. Il tipo ci fa strada fino ad una monovolume adattata per diversamente abili e io invece salgo davanti accanto a lui, per fortuna sa già dove ci deve portare.
Parcheggia davanti una casa sviluppata in altezza e siamo nel centro di Londra, dalle finestre secondo me si vede il Tamigi.
Lo aiuto con mia madre e poi prendo i bagagli, attraversiamo la strada, il traffico per fortuna è poco in questa zona.
Sono il campanello e mi apre un uomo sui quaranta, barba tenuta bene e capelli brizzolati. "Asher! Mina! Adele vieni che sono arrivati." Afferma raggiante. "Cazzo, sei cresciuto parecchio Asher." Mi da qualche pacca sulla spalla, una donna sulla stessa età di mio zio compare sulla porta, lunghi capelli corvini e il sorriso di una persona gentile sul volto sono le prime caratteristiche che mi colpiscono di lei.
"Aaron vieni anche tu, avremo bisogno anche di te per portare su Mina." Afferma mio zio, dietro Adele che si sta avvicinando a noi compare un uomo con gli occhi azzurri, lo sguardo di sfida come se fosse un ragazzino e coi vestiti sportivi, ma comunque firmati che spiccano. "Mina? La tua sorella?" Domanda e mio zio annuisce guardandolo storto.
"Non c'è bisogno, la porto su io. L'unica è prendere su la carrozzina." Avviso, mi piazzo davanti a mia madre. "Mamma, mettimi le braccia a collo." Le dico e ormai con un tecnica collaudata la sollevo e la prendo in braccio. Adele mi fa strada al secondo piano, la casa è veramente grande.
Adele apre la porta di una camera ben arredata però molto spartana, presumo l'abbiano ripulita di tutta l'oggettistica per far spazio.
Mi scosta la coperta e adagio mia mamma sulle lenzuola pulite. "Asher, siamo arrivati?" Domanda e io annuisco. "Tobias." Chiama e così suo fratello la raggiunge, i due si salutano dopo tanto tempo che non si parlavano.
"Mina, perché non mi hai mai detto nulla della tua malattia?" Le chiede trattenendo a stento le lacrime.

Sono io quello giustoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora