29

683 68 8
                                    




Se la rabbia si fosse potuta misurare in passi, i suoi sarebbero stati chilometri. Se la guerra si fosse potuta scatenare con uno sguardo, nel sottosuolo era arrivata la fine.

L'udito ovattato isolava Camila dai segnali esterni. Era immune ai sintomi del Mondo. Schiava dalla nascita di celle dorate, stava per irrompere in tutte le sue prigioni. La menzogna e l'ingenuità, i suoi carcerieri, stavano per perire con lo stesso ferro con cui avevano costruito le sue sbarre. Un uomo in gabbia non si accontenta mai del cielo, perché se la libertà gli è concessa, la vendetta gli è dovuta.

Svoltò l'angolo. Il caricatore pieno come le sue tempie e la mano leggera come il suo cuore. A malapena ricordava dove si trovasse e perché. Le importava solamente di sua sorella. Tutti gli altri erano ombre lontane.

Aprì la porta della stanza  dove ricordava di essere entrata l'ultima volta. Due dottori interagivano con l'interno attraverso un interfono. Rimase acceso quando i proiettili sferragliarono nella stanza. Una cristalleria di ossa che si infrangeva. Lo sguardo vacuo di Camila rimase fisso oltre il vetro. I due scienziati al suo interno si erano voltati verso di lei. Non sapevano chi fosse, ma la certezza di ciò che li attendeva aveva già paralizzato i loro muscoli. Tessiture glaciali di vene congelavano i loro cuori conservandoli qualche secondo prima di disgelarsi in una calda pozzanghera. Camila spalancò l'uscio e senza guardare in faccia nessuno fece fuoco. Non ebbero nemmeno il tempo di protestare o di realizzare. Erano già a terra.

Il lettino al centro della stanza ospitava l'unico respiro ancora in vita. Sofia stringeva i pugni e le palpebre, tenendo il capo all'indietro verso la luce, aspettandosi di andare in quella direzione a breve. Invece non furono le pallottole a sfiorarle la pelle, ma una carezza sulla fronte. Schiuse lentamente gli occhi, temendo fosse l'ultimo inganno della morte. Aprendoli scoprì invece che l'inganno, ancora una volta, apparteneva al Re. Sbarrò le pupille e tentò di articolare una parola, ostacolata dal laccio sulla bocca.

«Va tutto bene.» La rassicurò dolcemente, slegando uno ad uno le manette che la immobilizzavano. «Ora ci sono io.» Un'unica lacrima traversò la sua guancia, bagnando interi fiumi disseccati. Nemmeno la pioggia poteva rimpolpare quelle acque, ma in un'unica lacrima erano stati ridisegnati oceani.

Camila fece attenzione a sganciare cautamente le catene. L'arrossamento della pelle non nascondeva le croste. «Va tutto bene.» Ripeteva instancabilmente; era una voce rivolta più a sé stessa che alla sorella. Camila, fra le due, era la più indifesa. Sofia aveva dovuto fare della difesa la sua abitudine, mentre gli attacchi di Camila erano lezioni ancora da imparare.

Appena le gambe furono libere, passò ai polsi. Si chiedeva come fosse possibile che battesse un battito sotto lo strato di ferite.

«Dobbiamo andare da quella par...» Prima che potesse terminare la frase, Sofia la spinse violentemente, allontanandola.

Camila barcollò, più col pensiero che con i talloni. Corrucciò la fronte, scrutando ogni fremito della ragazza per comprendere in quale si nascondesse sua sorella.

«Stai lontano da me.» Farneticò. L'additò con ossa tanto tremanti quanto fragili. «Non ti avvicinare.»

«Sofia...» Scosse la testa, confusa. «Sono io.» Le sorrise rassicurante, protendendo una mano, ma Sofia balzò ancora più velocemente all'indietro.

«Non toccarmi.» Balbettò. Gli occhi lucidi erano l'ultimo baluardo della sua innocenza. Non restava nessun sogno da portarle via.

«Sofia, ti prego.» Disse con voce rotta Camila, facendosi forza solo per non obbligare Sofia ad esserlo per tutte e due. Ancora. «Sono venuta a portarti via da qui. Ti prego.»

Opposite SidesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora