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«Sono in ritardo.» Tamburellò con una mano sul calcio della pistola, per metà nascosta sotto la felpa.

«Siamo noi in anticipo.» Sospirò irritata Dinah, stravaccata contro il sedile di pelle come se si trovasse in vacanza e non in missione.

«Ti stai per caso lamentando? Di nuovo?» Normani inarcò un sopracciglio nella sua direzione, ma Dinah fissò imperterrita la strada di fronte a sé. Era ancora troppo buio per poter scorgere dove finisse, anche se la luce dell'alba non avrebbe comunque diradato la nube scura delle fabbriche.

«Non mi sto lamentando, dico solo che potevamo bere almeno un caffè prima di metterci in marcia.» Sì, si stava lamentando.

La collega roteò gli occhi al cielo. Tanto tempo assieme e ancora non avevano imparato a condividere la giornata senza tornare a casa col mal di testa. Era difficile volere così tanto bene a qualcuno che ti faceva dannare.

«Il caffè è comunque pessimo.» Si strinse nelle spalle Normani, camuffando la sua ansia con qualsiasi giustificazione.

«Sempre meglio di niente.» La voce di Dinah subì un'inclinazione. Succedeva così quando una quantunque affermazione le ricordava la vita misera a cui erano costrette. Non certo quello che aveva sognato da bambina ammirando le guglie dorate di River Side dalla finestra della sua cameretta. Adesso sognava solo di farle esplodere, quelle maledette lance aure.

Normani la colpì sul ginocchio, sgraziatamente poggiato sul cambio del fuoristrada. «Ci siamo.» Sibilò tenendo gli occhi puntati sul camion sgangherato che procedeva a singhiozzi verso di  loro.

«Mi raccomando. La...» Non le diede il tempo di terminare la frase che sveltamente eclissò anche il calcio della pistola sotto il tessuto.

«L'userò solo se serve. Chiaro.» Rispose come un'automa, pretendendo di non sentire il grugnito di Dinah.

Il camion aveva rallentato andatura notando la jeep stagliata di tralice accanto al garage. Normani fuoriuscì dal sedile del passeggero e si issò sopra la portiera, attendendo che fossero abbastanza vicini per farsi udire. Abbastanza vicini da poter forare il vetro del parabrezza, se fosse... servito.

L'autista abbassò il finestrino e protrasse la testa calva verso il refolo di vento fresco che spazzava l'aria mattutina. «Che diamine succede?» Chiese con tono scorbutico. Il buonumore non era una prerogativa del luogo. Per trovarlo bisognava trasferirsi sull'altro lato dell'isola.

«Il Magazzino 4 è chiuso per incendio doloso. Devi scaricare al 2.»

«Ancora?! Ma non è possibile.» Sbottò esasperato il pilota. «Quegli idioti non cambiano mai. Quando capiranno che non aiutano nessuno con le loro proteste del cazzo? Ci fanno solo perdere tempo, maledizione.»

«Già, sono solo degli imbecilli.» Normani era quasi buffa quando si sforzava di offendere i suoi compagni e la sua causa. Dinah si grattava sempre il naso per occultare una risatina.

«D'accordo, torno indietro.» Borbottando fece retromarcia e svanì nella fitta coltre da cui era sbucato.

Normani si accertò che il rumore del motore si allontanasse senza ripensamenti, dopodiché si accomodò contro il sedile con più tranquillità. «Cretino.»

«Smettila.» La corresse severamente Dinah.

Normani si girò con uno scatto verso di lei. «Smetterla? Hai sentito come ci ha chiamati lui?» Restava sempre attonita per lo smodato buonsenso di Dinah. Non comprendeva come un'anima tanto coscienziosa fosse finita a commettere atti tanto impudenti.

Opposite SidesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora