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Il Mondo non era mai stato un posto felice, ma non era mai stato nemmeno così triste. Dinah aveva sempre vissuto chiedendosi come fosse camminare sulla sponda giusta del Mondo, ma adesso le sembrava talmente banale scatenare una guerra per pochi passi.

Sotto le strade lastricate c'era lo stesso terreno. Si guardava attorno in cerca di comprensione, ma le espressioni erano intagliate con la medesima rabbia. Nessuno era nato senza una vena di rancore e nel petto di tutti batteva più risentimento che cuore. Non potevano capire, loro. Loro che ancora speravano di ritrovare ciò che avevano perso togliendolo a chi lo aveva ancora. Non avrebbero mai capito perché invece avrebbe voluto che tutti si stendessero in attesa della loro sorte, invece di sfidarla a braccio di ferro. Il tavolo del Mondo era troppo instabile per qualsiasi bicipite. Non importava essere forti e tantomeno dimostrarlo valeva qualcosa; bisognava solo essere bravi a resistere. Non era più il suo gioco quello, e ancor meno il suo spettacolo. Se solo qualcuno avesse compreso quanto fosse coraggioso arrendersi, allora portare il peso della vergogna sarebbe stato meno gravoso. Non lo vedeva negli occhi di nessuno. Di quasi nessuno. Quelli di Camila non le erano mai stati più compagni. Era paradossale: l'unica che pareva condividere la sua scelta era la prima ad aver iniziato la guerra. Ma se gli ultimi saranno i primi, chi ha mai detto che i primi non vogliano essere ultimi?

Camila vagava nei corridoi senza meta. Aiutava, si teneva affaccendata, spiccicava qualche parola ma non parlava mai davvero. Pareva che il suo corpo avesse inserito il pilota automatico mentre lei si era rintanata in un angolo, custode e assassina di sé stessa. Forse il Sole non avrebbe mai corroso il suo cervello, ma la pelle non sarebbe mai stata più la stessa. Il Mondo le cadeva addosso irruento, graffiandola dove prima la carezzava. E a Camila parevano quasi più sinceri i graffi di tutte le carezze: odiava maggiormente la dolcezza della sua precedente vita che la violenza di questa. Ma non sapeva come vivere in nessuna delle due.

Lauren la teneva d'occhio da lontano. Non la lasciava sola, ma non si avvicinava neppure. Sapeva che certe ferite smettevano di dolere solo col silenzio e ne rispettava i confini. L'unico muro che non voleva abbattere, ma su cui non chiudeva mai gli occhi. Le portava il vassoio davanti alla porta, quando la sua razione non veniva consumata. Diminuiva i turni di lavoro a tutti, quando Camila raddoppiava le ore per ammezzare il giorno. Accendeva la radio quando le ore del mattino confluivano in quelle della notte e il cuscino restava l'unico con cui Camila volesse rapportarsi. Era sempre stato vietato il rumore, ma ora il silenzio pareva un crimine maggiore. La sua persona non la invadeva, ma la sua presenza non la lasciava mai. Un giorno poggiò la chiave della biblioteca sulla sua scrivania e un paio di volte trovò la porta socchiusa, ma non azzardò mai ad entrare. Piuttosto sedeva al di là del muro e attendeva di udire i passi dall'altra parte per andarsene senza essere vista. Qualche settimana dopo, la chiave della porta sostava sulla sua di scrivania. Sorrise tenuamente. Camila aveva saputo per tutto il tempo.

Riprese a mangiare in mensa, ad adeguarsi alle ore lavorative e a quelle notturne. Il silenzio non era ancora suo amico, ma scendevano a compromessi come coinquilini accomodanti. Nessuno dei due poteva lasciare la casa, ma tutti e due potevano migliorarne la permanenza. Lauren le fece trovare la radio nella sua stanza. Camila l'accendeva quando la notte era troppo lunga per respirarci dentro o quando il giorno non prometteva riposo. Poi, quando ebbe ristabilito l'ordine nelle stanze della sua dimora, consegnò indietro anche la radio, ma invece di piazzarla nella sala comune dove prendeva solo polvere, la lasciò davanti all'uscio di Dinah. Non si faceva vedere mai. Pareva non esserci nessuno là dentro; la sapevano esistere solo perché il vassoio della cena, al mattino, era sempre vuoto. Camila prese il vizio, o meglio l'abitudine, di portarle la razione davanti alla porta, di accendere la radio ogni tanto; sedersi accanto all'uscio ad aspettare di udire dei passi dall'altra parte. Lauren la guardava da lontano. Non diceva niente. Una sola volta, mentre andava a letto, passò davanti a lei. Era seduta nel corridoio, con la schiena contro l'uscio di Dinah. Si scambiarono a lungo uno sguardo. Camila sorrise flebilmente verso di lei. Le stava dicendo "se conosco come curarla è solo perché tu l'hai fatto con me". Lauren annuì piano. Rispondeva: "le mani per curarti le ho ricevute da te". Qualche giorno più tardi, Dinah aprì la porta.

Opposite SidesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora