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Camila richiuse l'uscio alle sue spalle. Lauren non si sedette, rimase appoggiata alla scrivania. Braccia conserte, mascella serrata.

«Se vuoi uccidermi,» cominciò Camila, «eviterei di sporcare il tappeto.»

Lauren non rise, anzi. Scosse la testa, allibita dalla superficialità della ragazza. «Per te è tutto un gioco, vero?» Il tono ammonitore alludeva ad una falsa partenza.

Camila roteò gli occhi al cielo: «No, non è così.»

«È sempre così per chi non ha niente da perdere.»

Camila avanzò un passo, frustrata dalla saccenza della corvina. «Sai che c'è? Mi sono rotta le palle del tuo atteggiamento del cazzo.»

«Come, prego?» La stupore della corvina imbrigliò la rabbia.

«Voi ci accusate di essere tutti uguali, ma tu non sei da meno.» Stavolta fu lei a puntarle il dito contro. Non stava ponderando le conseguenze, era guidata solo dal fuoco dentro di lei.

«Non ti permettere.» Ringhiò a denti stretti Lauren, stringendo con più forza le sue stesse braccia.

«Mi permetto eccome. Non sei da meno perché anche tu commetti lo stesso errore nostro: non ci vedi come persone!» Camila ormai aveva accorciato le distanza, rendendole irrisorie. Bastava sventolare un millimetro in più il dito per toccarle il naso. «Solo chi è nato da questa parte sa cosa sia il dolore, no? Solo voi avete il diritto di soffrire, o sbaglio? Noi siamo dei semplici arroganti che giocano come preferiscano.»

Lauren inalò, calmando i nervi. «Descrizione accurata.» Le afferrò l'indice impettito e lo allontanò dal suo volto.

Camila si stampò un sorriso amareggiato: «Allora non fingere di essere diversa da noi, perché sei uguale, solo meno fortunata.» Camila non possedeva nessuno scettro, ma quella condanna pesò più di qualsiasi colpa.

Lauren gonfiò il petto, ma non ebbe tempo di ribattere perché la porta si aprì di nuovo e Dinah si materializzò al di là. «Scusate se vi interrompo, ho una domanda per Camila.» Fra le mani racchiudeva una fiala, piccola e scintillante come una pepita ed era oro davvero: «Che cos'è questa?» Innalzò un sopracciglio, girandosela fra le mani come se la risposta si trovasse sull'altro lato.

«È una fiala di Rematil.» Rispose semplicemente Camila, ma la confusione generale la indusse a specificare. «Davvero non sapete cosa sia?» Entrambe scossero la testa. «Questa è la miglior medicina prodotta fino ad oggi. Non è una cura, sia chiaro, ma qualcosa di molto simile.»

«Non ne esiste già una?» Suonò scettica Dinah, che ora però reggeva con entrambe le mani la fiala, quasi potesse rompersi da un momento all'altro.

«Certo, ma quella è pensata per prevenire la malattia, infatti somministrandola si ottiene una sospensione dei sintomi non più lunga di qualche ora.» Guardò prima l'una e poi l'altra per capire se stessero effettivamente seguendo. Proseguì. «Questa è pensata per alleviare i sintomi. Non succede spesso... da noi... ma talvolta la malattia insorge anche in presenza del trattamento, così interveniamo con quella.» Indicò il flaconcino argenteo fra le dita di Dinah.

«Per quanto cura i sintomi?» Chiese quasi balbettando.

«Dipende dallo stadio della malattia, ma...» Si strinse nelle spalle calcolando una stima approssimativa. «Solitamente almeno un mese.»

Gli occhi di Dinah guizzarono sfavillanti verso Lauren. Non aveva mai avuto niente di cui essere grata prima di allora. E Lauren la capiva.

«Un mese...» Sussurrò incredula, con gli occhi lucidi per la felicità. «Un mese!» Esultò con più impeto, ridendo.

Opposite SidesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora