Fu la caduta più lunga della mia vita. Più lunga di quella volta che, a sei anni, ero precipitata da un albero mentre tentavo di arrampicarmi sempre più su facendo a gara con un compagno di classe.
Più lunga di quella volta che, praticando equitazione, ero stata sbalzata dalla groppa del mio nobile destriero ed ero atterrata svariati metri più in là contro una staccionata.
Più lunga di tutti gli incubi in cui sogno di precipitare nel vuoto e non atterro mai e sto lì, col fiato sospeso e il cuore in gola, perennemente in attesa di uno schianto che non arriva mai.
Fu la caduta più lunga che avessi mai sperimentato, e non durò neanche un secondo.
Non appena avvertii il vuoto sotto i piedi, le dita si aprirono, lanciando il cellulare che atterrò con un rumore secco sulla passerella bagnata, le braccia mulinarono e, mentre il mio corpo si capovolgeva e le mani che mi tenevano per le gambe improvvisamente mi lasciavano andare, la mia testa vide l'incubo in cui stavo precipitando. Vide l'acqua viola e blu laggiù in fondo e le rocce che affioravano come quelle trappole preistoriche in cui riempivano una buca di pali appuntiti e la coprivano di foglie ed erba per attirare le ignare vittime.
I miei sensi si acuirono, infiammati dall'adrenalina. Gli occhi videro ciò che sarebbe accaduto se il resto di me non avesse collaborato per sventare il pericolo.
Le mani si lanciarono verso la passerella e riuscii ad attaccarmi a un palo di ferro viscido e muschiato.
Il peso del mio corpo mi stirò il polso e solo allora urlai.
Urlai senza preavviso, senza volerlo, per il dolore e la sorpresa. Poi continuai a urlare per il terrore.
Strinsi la presa intorno alla balaustra della passerella, mentre invano tentavo di muovere le gambe in tutte le direzioni, cercando un appiglio. La cascata era a vari metri da me ma era come esserci dentro. Non vedevo nulla: bagnata, cieca, dolorante, potevo solo continuare a emettere suoni che nessuno avrebbe mai potuto udire in quel frastuono.
E poi accadde l'inevitabile. La presa iniziò a venire meno.
Non sono mai stata una ragazza atletica, non ho la minima forza nelle braccia, ma sono certa che, di fronte a una tale minaccia di morte, avrei potuto raccogliere ogni grammo di resistenza per restare appesa lì all'infinito. Ma il ferro scivolava sotto i miei palmi bagnati, mi scorreva sulle dita, fuggendo la mia presa. Volevo recuperare terreno ma non riuscivo a decidermi a staccare una mano.
Continuai a urlare, il corpo che fremeva e roteava e veniva investito dalla furia della cascata.
Poi vidi delle gambe sopra di me, delle braccia protese nel vuoto, dei visi sconvolti e agitati. Una mano si infilò tra le sbarre e mi strinse un polso proprio mentre le mie dita cedevano. Scivolai in basso ma la mano che mi teneva era forte e sicura. Qualcuno mi afferrò anche l'altra mano, qualcun altro si allungò verso la mia testa e mi afferrò sotto il mento, piegando le dita dietro la mia nuca.
E tutti insieme tirarono. Fu come venire lentamente decapitata e mutilata delle mani nello stesso momento ma riuscirono a issarmi oltre la balaustra e mi condussero fuori dall'oscurità, verso la luce, verso il calore del sole.
Non seppi mai i nomi dei miei salvatori. Erano turisti tedeschi alti e forzuti che continuarono per un bel pezzo a battermi manate sulle spalle e a rivolgermi domande che non potevo in alcun modo capire.
Ben presto fummo circondati da una folla di curiosi. Cercavano di capire come avevo potuto scivolare oltre la passerella in quel modo, forse per non ripetere il mio stesso errore. Io tremavo e non parlavo, scossa come mai nella mia vita.
Dopo aver recuperato le forze e calmato i nervi, ringraziai i miei soccorritori con un rapido "danke", recuperai il cellulare fradicio e barcollai verso il punto dove avevo lasciato l'auto. Non sapevo cosa fare, cosa pensare, ma il mio corpo prese il comando della situazione e io mi lasciai volentieri guidare.
<<Quel pazzo figlio di puttana ha cercato di uccidermi!>> stavo sbraitando poco dopo al telefono con Staff.
Guidavo ben oltre i limiti di velocità, l'adrenalina che mi pompava il doppio del sangue nelle vene, gli occhi che scattavano febbrili e le mani uncinate intorno al volante.
<<Cosa? Di chi parli?>>
<<Davide Paccagnella! Deve avermi seguita fino alle cascate e mi ha buttata di sotto!>>
<<Oh mio Dio! Okay, calmati un attimo. Dove sei?>>
<<Sto andando da quello stronzo e mi sentirà!>>
<<No, voglio dire, che cascate?>>
<<Le cascate del Varone.>>
<<Volevi fare la turista?>>
Digrignai i denti. <<Un'amica di Alice lavora in un negozio di souvenir lì, volevo parlarle e poi ho fatto un giro alle cascate, ma Paccagnella mi ha gettata oltre il bordo! Sarei morta se non fossi riuscita ad aggrapparmi e se dei turisti non mi avessero tirata su! Ti rendi conto? Ha cercato di uccidermi!>> Sapevo di apparire leggermente isterica, mentre urlavo come una pazza con la mia voce stridula e offrivo un contesto del tutto inadeguato alle mie parole, confondendo Staff ancora di più, ma non potevo farci nulla, non riuscivo a calmarmi.
Qualcuno aveva tentato di uccidermi, porca miseria!
<<Lo hai visto? Sicura che fosse lui?>>
<<No che non l'ho visto, mi ha colta di spalle e poi dev'essersi dileguato, ma è stato l'unico a minacciarmi fisicamente di stare alla larga da sua figlia, e sicuramente era lui l'autore del biglietto di stamattina.>> Mi feci un appunto mentale, con la poca lucidità che mi era rimasta, di chiedere al portiere dell'hotel di controllare le telecamere di sicurezza per capire chi potesse averlo lasciato alla reception, ma ero praticamente sicura che si trattasse del bel dottore.
<<Quale biglietto?>>
Trattenni un sospiro e gli spiegai tutto. Quindi aggiunsi: <<E prima che tu mi rivolga l'inevitabile battuta, non te l'ho detto perché sapevo che ti saresti preoccupato e avresti cercato di fermare le mie investigazioni.>>
<<Non lo avrei mai fatto. Forse non ti conosco da molto tempo, ma ho visto quanto sei determinata. Però sarei venuto con te.>>
<<Devi lavorare.>>
<<Potevamo metterci d'accordo sull'orario, non cercare scuse, Micol. Devi imparare a fidarti delle persone.>>
<<E come faccio, dato che uno che neanche conosco ha appena tentato di ammazzarmi? Ma ho finito di giocare in difesa. Vedrà un lato di Micol Cappellini che non credeva potesse esistere!>>
<<Stai davvero andando a casa sua?>>
<<Oh, sì, e chiamo pure la polizia.>>
<<Cosa? Aspetta, Micol...>>
<<Ti scrivo quando sono a Trento.>>
<<Aspetta!>>
Spinsi il pulsante rosso e chiamai subito la polizia del luogo, spiegando che un uomo aveva tentato di uccidermi e avevo dei forti sospetti che potesse essere lo stesso che mi aveva minacciata qualche giorno prima. Aggiunsi che stavo anche andando a casa sua per investigare di persona e ignorai i loro tentativi di farmi stare calma e di non agire in modo avventato: se davvero era Paccagnella il responsabile della mia aggressione avrebbe potuto provare a farmi del male...
<<Ci deve solo provare!>> ringhiai, prima di dare loro l'indirizzo del dentista.
E pigiai l'acceleratore a tavoletta.

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Mistero in riva al lago
Mystère / ThrillerUna scrittrice senza ispirazione. Una coppia scomparsa. Un mistero che tutti sembrano voler lasciare irrisolto. Micol è in vacanza al lago di Caldonazzo quando scopre che, solo due mesi prima, una coppia di fidanzati è scomparsa nel nulla insieme al...