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VENERDI' 13 AGOSTO

Non ci mettemmo un anno, come quel pessimista di Staff aveva predetto.

Passò meno di una settimana prima che il mio infiltrato mi chiamasse al cellulare, esclamando un eccitato "Eureka!".

Si chiamava Cristiano Bortolotti e la sua battuta preferita era che il suo nome era una esilarante presa in giro perché, ateo e omosessuale, era stato scomunicato da tutta la sua famiglia quando aveva compiuto diciotto anni. Era convinto che esistesse un cartello con la sua faccia e la scritta "Se entro in questa casa brucerò all'inferno" che i suoi avevano realizzato quando lo avevano visto in prima linea a una parata per il Gay Pride con una parrucca da donna e il petto fitto di slogan per la causa.

Ma tralasciando le sue inclinazioni sessuali, Cristiano Bortolotti mi interessava soprattutto perché da oltre cinque anni lavorava come giornalista presso "L'Adige" e tra i colleghi aveva fama di essere peggio di - cito le loro testuali parole - "un cimice che continua a sbattere contro il vetro del lampadario nel cuore della notte" quando si trattava di ottenere un'intervista o di scavare nel torbido per ricavare un articolo assolutamente scandaloso, scabroso e politicamente scorretto. Non aveva remore, né fisiche né morali. Era capace di scavalcare una zona militare tratteggiata dal filo spinato o di farsi arrestare solo per fare due chiacchiere con un detenuto o di trascorrere un mese in un motel che aveva fama di essere infestato dal fantasma della donna che vi era stata uccisa anni prima durante alcuni giochi erotici finiti male.

Era un ragazzo metodico, paziente, assiduo e con una gran parlantina: prima di fare il giornalista era stato un venditore e, con la lingua che si ritrovava, sarebbe stato capace di vendere persino sua madre, anche se era antipatica, razzista, omofoba e pure artritica.

Insomma, era l'uomo perfetto per questo lavoro.

Lo incontrai poche ore dopo la nostra fallita spedizione nel fienile. Gli firmai un assegno da cinquecento euro e gli promisi una storia sensazionale se mi avesse dato una mano.

Cristiano mi aveva fissata con aria maliziosa, aveva messo da parte l'assegno e, incrociate le mani sotto il mento, si era dichiarato disponibile a fare qualsiasi cosa, tranne una, per scrivere l'articolo che gli avrebbe cambiato la vita.

Così gli avevo raccontato tutta la storia di Alice e Mosi, specificando che ora anche la polizia si sarebbe messa a indagare, mentre fino a quella mattina ero stata una lupa solitaria che si aggirava tra segreti e menzogne, e che avevo pure rischiato la vita.

Gli occhi di Cristiano brillarono per tutto il tempo. Quindi mi garantì: <<Da ora fino a quando non avremo appurato la verità, io sono tuo, anima e corpo. Fa' di me ciò che vuoi.>>

Nonostante i modi teatrali, non venne meno alla parola. Quando gli spiegai il mio piano, fece una smorfia. <<Non sarà facile, e ci vorrà del tempo. Quali sono i miei fondi?>>

<<Non voglio dire illimitati, ma se devi sciogliere qualche lingua tira pure fuori il portafoglio. Ti rimborserò tutto.>>

Sventolò l'assegno. <<Oltre a questo?>>

<<Oltre a quello.>>

Sospirò alzando gli occhi al cielo. <<Mi piacciono i ricchi che usano le banconote come carta igienica. Conta su di me, amore. Setaccerò ogni singolo buco della zona che mi hai indicato e ti fornirò un reportage giornaliero fino a quando non avrò colto nel segno.>>

<<Grazie mille.>> Mi alzai in piedi. <<Ah, qual è la cosa che non avresti mai fatto per l'indagine?>>

<<Sedurre una donna. Ci sono limiti che un uomo non può oltrepassare.>>

Una settimana dopo, quando ormai iniziavo a perdere le speranze e nemmeno sul fronte "polizia" c'erano stati significativi colpi di scena, mi trovavo nella mia suite per una pennichella post-prandiale e mi rigiravo tra le mani guantate il braccialetto che avevo trovato nel fienile.

Mi pareva di averlo già visto da qualche parte, ma la mia mente si rifiutava di unire i puntini. Avevo la soluzione a portata di mano ma, più mi ci avvicinavo, più qualcosa mi respingeva in un abisso di ignoranza.

Quando Cristiano mi telefonò, l'umore mi si risollevò all'improvviso. <<L'hai trovata?>>

<<Ho trovato l'hotel dove ha soggiornato Alice nella notte tra sabato 5 e domenica 6 giugno.>> Avevo chiesto conferma a Elena della data. <<Si chiama Hotel Al Ponte e si trova a Pergine Valsugana.>>

Una rapida ricerca su Google Maps mi confermò che si trovava a circa quattro chilometri da San Cristoforo, il paesino dove Alice e Mosi erano sbarcati dal pedalò, e a tre chilometri dal fienile dove Davide Paccagnella era stato aggredito.

<<C'è un gran via vai di ospiti, e il portiere non ricordava nessuna bionda ex modella insieme a nessun africano ma davanti a due grossi bigliettoni mi ha concesso di visionare la registrazione della telecamera all'ingresso. E... Eureka!>>

<<Li hai visti? Erano proprio loro?>>

<<Beh, la bionda è sicuramente la Paccagnella.>> Gli avevo fornito una copia della foto del concorso di bellezza. <<Ma - e qui viene il bello - non è accompagnata dal suo fidanzato.>>

<<Si è registrata in hotel da sola?>>

<<Non da sola. Guarda l'e-mail che ti ho appena inviato. Ti avviso: la qualità è pessima, ho fatto un video col cellulare allo schermo della videosorveglianza.>>

Aprii la mail, scaricai il video e schiacciai play.

Inizialmente quello che vidi mi lasciò esterrefatta e confusa. Non aveva il minimo senso.

Cosa ci faceva lei lì?

Ma poi, la folgorazione.

Aprii frenetica la sua pagina Facebook e osservai meglio la foto profilo.

Eccolo lì, non c'erano dubbi. Il braccialetto con la S, un po' tagliato ma visibile.

Al polso della stessa ragazza che, nel video, mostrava i propri documenti alla reception dell'hotel dove aveva soggiornato con Alice il giorno in cui era scappata di casa.

Noemi Storti.

Mistero in riva al lagoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora