16. Fuga dalla vita (Angelica)

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(TW: le parti in corsivo presentano scene di violenza fisica e verbale)

Se fare fosse facile quanto sapere ciò che va fatto, le cappelle sarebbero chiese e le catapecchie dei poveri palazzi principeschi.

(William Shakespeare, Il mercante di Venezia)

«Sei tu la rovina della nostra famiglia!»

Una voce risuonò per tutta la casa e raggiunse Angelica, nascosta sotto le coperte con gli occhi colmi di lacrime.

Non capiva cosa stesse succedendo, ma sentiva chiaramente le urla del padre provenire dalla cucina.
Le parole della sorella pronunciate sommessamente, invece, quasi non le percepiva.

All'improvviso si sentì soffocare. Forse a causa del caldo del piumone, forse a causa della paura che la faceva respirare faticosamente.
Si fece strada fra le lenzuola con le piccole e candide mani finché non intravide uno spiraglio di luce.

Sbucò lentamente con la testa, poi fece uscire anche il resto del corpo e scese lentamente dal letto.

Si diresse con passi felpati verso la porta, allungò la mano e tirò la maniglia, ma senza successo.
Fu lì che si accorse che la porta era già aperta. Inserì le dita nello spiraglio dal quale filtrava un po' di luce e tirò.

Le urla, ora, si sentivano chiaramente e anche i sussurri della sorella si udivano con più chiarezza nonostante fossero coperti dalla voce possente del padre.

Angelica si avvicinò alla porta della cucina e si affacciò lentamente, facendo sporgere la testa il minimo indispensabile.
La scena che vide la lasciò letteralmente sconvolta.

La sorella si trovava in un angolo della stanza, rannicchiata su se stessa. I capelli biondi le ricadevano scomposti sul volto e le coprivano parzialmente gli occhi colmi di lacrime che ella cercava di non far uscire.

Angelica uscì allo scoperto e corse verso la sorella, incurante del corpo possente del padre che si stagliava su di lei.

«Arianna!»

La bambina corse ad abbracciare la sorella, che non riuscì a resistere oltre e permise alle lacrime di sgorgare dagli occhi e di rigarle le gote arrossate.

«Cosa ci fai qui, eh? È tardi, dovresti dormire» disse dolcemente Arianna accarezzandole i capelli biondi come spighe di grano.

Angelica si scusò per non essere riuscita ad addormentarsi, affondando il viso nel petto della sorella.

«Va tutto bene, Angelica. Non c'è bisogno che tu resti qui. Sistemerò tutto io»

Ma Angelica non volle staccarsi da lei. Quella notte aveva fatto di tutto per non addormentarsi, per aspettare che tornasse dal bar in cui aveva iniziato a lavorare part-time.
Voleva raccontarle ciò che era accaduto a scuola, voleva parlarle dei suoi compagni, voleva dirle di aver finalmente imparato a scrivere tutte le lettere dell'alfabeto.

Eppure, senza volerlo, aveva assistito allo spettacolo peggiore a cui una bambina di sei anni potesse assistere.

«È un brutto momento per papà e io...sto cercando di aiutarlo. Non c'è nulla di cui preoccuparsi, andrà tutto bene. Sistemerò tutto quanto e torneremo ad essere felici come un tempo. Io e te

Angelica, però, non capiva. Non capiva perché, mentre la sorella la confortava con quelle parole, le lacrime continuavano a rigarle le guance.
Non capiva perché il padre urlasse tutti i giorni, perché desse sempre a loro la colpa di ogni cosa.

Forse Cupido ha perso la bussolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora