11. Fantasmi (Angelica)

407 34 128
                                    

Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?

(William Shakespeare, Romeo e Giulietta)

Nell'oscurità, si sentirono le urla di una donna. Urla disperate, urla di dolore, urla che chiedevano pietà.
Angelica ormai c'era abituata. Era abituata al non poter fare niente per aiutare quella donna.
Era obbligata a rimanere lì, nel suo letto, a sentire le urla strazianti della sua matrigna senza poter fare nulla.
Quella notte la sorella era al lavoro, come quasi tutte le notti, e lei era da sola in quella casa con il padre e la sua compagna.
Quanto voleva che la sorella rimanesse lì con lei in quei momenti. Eppure, capiva che era necessario che lei andasse a lavorare in quel pub per aiutare il sostentamento della famiglia.
Il padre impediva a Roberta di andare a lavorare, perciò Arianna era l'unica che poteva portare soldi a casa che non servissero solo per l'abbonamento in palestra del padre o per la birra e le sigarette.
Angelica capiva, eppure non voleva rimanere da sola in quelle notti di terrore.
Aveva paura che, muovendo anche solo un muscolo, avrebbe potuto scatenare l'ira indomabile dell'uomo.
Quella paura le penetrava nelle ossa, la costringeva a restare ferma nel suo letto, afferrando le coperte con tutta la forza che possedeva.
Era l'unica cosa che poteva fare: piangere in silenzio sperando che quello strazio finisse.
Eppure, una parte di lei cercava sempre di ribellarsi.
Una parte di lei voleva entrare in quella camera e porre fine a quel supplizio. Quella notte, quella parte di lei coraggiosa e sconsiderata allo stesso tempo, si alzò lentamente dal letto, scostando le coperte senza far rumore, e si diresse verso la camera.
Avvicinò l'occhio alla serratura, ma non vide nulla.
Così provò ad aprire la porta.
Fu uno sbaglio fatale.
Ciò che vide le rimase impresso nella mente e nel cuore, distruggendo quel poco di innocenza che le era rimasta.
Aveva solo dieci anni, non conosceva ancora le crudeltà del mondo.
Gli unici gesti di cattiveria che conosceva erano gli scherzi di cattivo gusto o le battute offensive dei suoi compagni di classe.
Non aveva mai visto con i suoi occhi la crudeltà nella sua forma più cruda.
E, in quel momento, desiderò non averla mai vista.
Richiuse velocemente la porta e si nascose sotto le coperte, rannicchiandosi e coprendosi le orecchie per non sentire le urla che provenivano dall'altra stanza.
Quella notte, il padre le aveva rovinato la vita. Aveva rovinato la sua concezione dell'amore. Aveva rovinato la sua concezione della famiglia.

Nel buio della notte, Angelica sentì una voce. Era di Arianna.
All'improvviso era diventato giorno ed entrambe le sorelle si trovavano in piedi una davanti all'altra nella stanza di Angelica.

«Chi mi ha dato quello specchio?» chiese Angelica osservando il piccolo specchio di metallo poggiato sulla scrivania di legno.

«Io non...non lo so» rispose Arianna a bassa voce, posando lo sguardo sull'oggetto con espressione vacua.

«Allora posso buttarlo? Le mie compagne non hanno specchi così nelle loro stanze. Sono più belli, più grandi...»

Ovviamente Angelica non pensava quelle cose. Aveva imparato a capire cosa fosse necessario e cosa no, cosa la famiglia potesse o non potesse permettersi.
E di certo uno specchio grande come quello delle sue compagne di classe non era la priorità.
Ma aveva bisogno di sapere a chi fosse appartenuto quell'oggetto o chi glielo avesse regalato.
Aveva un presentimento, una vaga sensazione che le diceva che quello specchio era qualcosa di importante per lei.
Per non parlare del sogno in cui il misterioso ragazzo glielo consegnava dicendole di conservarlo per sempre.

Voleva tenere quello specchio, non l'avrebbe buttato via per nulla al mondo. Ma, per sapere la verità, aveva bisogno di stuzzicare un po' la sorella.

Forse Cupido ha perso la bussolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora