26. Inspiegabili alleanze (Elena)

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Io sono quel che sono e chi mira ai miei errori colpisce solo i propri. 

(William Shakespeare, Sonetto 121

Quando Elena aprì gli occhi, si trovava nel vicolo accanto alla scuola insieme ad una ragazza che la teneva bloccata al muro.

Non aveva già vissuto quella situazione?

Elena si strofinò gli occhi con le mani, mettendo a fuoco la ragazza che le stava davanti e che aveva poggiato le mani sul muro ai lati della sua testa. Due occhi verdi la fissavano intensamente, mentre un sottile ricciolo rosso ricadeva sul naso spruzzato di lentiggini.

Perché fra lei e Aurora, quando si incontravano fuori dalla scuola, finiva quasi sempre in quel modo?

«Un attimo. Fammi mettere a fuoco la situazione» disse Elena inarcando leggermente le sopracciglia.

Tornò con la sua mente a quella mattina, ripercorrendo tutto ciò che le era accaduto e cercando di capire come fosse finita per la seconda volta in quella situazione.
Si era alzata dal letto, aveva fatto colazione con il padre e la sorella, aveva provato in tutti i modi a evitare la madre e, dopo essersi preparata, era uscita di casa.
Oh, e aveva anche letto i soliti messaggi che quei gentili omofobi della sua scuola le inviavano nascosti dietro quel loro sicurissimo scudo chiamato "internet".

Poi si era incamminata verso la scuola, e, poco prima dell'entrata, era stata trascinata in quel vicolo dove ormai aveva accumulato una collezione di brutti ricordi.

Aurora avvicinò il volto a due centimetri da Elena, che, nonostante avesse ripercorso tutto ciò che era accaduto quella mattina, ancora non riusciva a capire in quale strana o pericolosa situazione si fosse cacciata.

«Ti sto chiedendo se sei stata tu a scrivere quelle cose sul mio banco!» sbottò la ragazza prendendo violentemente Elena per il polso.

«Se stai ferma e mi lasci andare magari potrei risponderti!» ribatté la mora alzando lo sguardo verso gli occhi della ragazza, che lasciò subito andare il suo polso.

«Voglio sapere se siete state tu o la tua amichetta a scrivere quelle cose sul mio banco! Ecco cosa voglio sapere!»

Elena inarcò un sopracciglio. Continuava a non capire. Cosa avrebbe dovuto scrivere sul banco di Aurora?
Era da quando l'aveva trascinata a forza in quel vicolo che continuava a blaterare qualcosa su banchi e scritte di qualche tipo.

«Quali cose?» Chiese Elena alzando gli occhi al cielo, preparandosi a ricevere un insulto o uno strattone come risposta.

Aurora, invece, rimase in silenzio e frugò nelle tasche del giubbotto per trovare il telefono. Aveva lo sguardo pensieroso, a tratti persino afflitto, ed Elena non riusciva ad immaginare cosa potesse averla ridotta in quello stato.
Quando finalmente lo trovò, lo accese e iniziò a cercare una fotografia.

«L'ho fatta ieri prima di uscire da scuola. È autentica, non sto mentendo.» disse girando il telefono verso Elena e abbassando lo sguardo verso l'asfalto.

Era la foto di un banco, probabilmente del suo, con sopra degli insulti scritti con il pennarello.

Stronza. Lesbica. Falsa. Doppiogiochista. Infame. Bugiarda. Violenta. Cesso. Rifiuto. Errore. Sbaglio della natura. Scema. Rimbambita. Stupida. Figlia di papà. Scrofa.

Elena spalancò gli occhi e non riuscì a trattenere un'esclamazione stupita e colma di sconforto allo stesso tempo.
Aurora non le stava simpatica, anzi, si poteva dire senza troppi giri di parole che la odiasse per tutto ciò che le aveva fatto.
Eppure non si sarebbe mai permessa di scrivere delle cose del genere, non avrebbe mai e poi mai pensato di farlo.

Forse Cupido ha perso la bussolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora