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Hoseok aveva il cuore a pezzi e gli occhi arrossati.
Aveva pianto fra le braccia di Jimin e ora si apprestava a imbarcarsi sull'aereo che l'avrebbe riportato a Seoul.
Era naturale, si era detto, sentirsi così. Dopotutto stava per lasciare l'Italia dopo quattro mesi permanenza. Stava dicendo addio agli amici e alla routine che si era creato lì.
L'esperienza vissuta coi suoi compagni di band, e di vita, si era rivelata divertente ma, di certo, non si aspettava quell'epilogo.
Non aveva previsto che si sarebbe innamorato.

Camminava dietro le spalle possenti di Jin che, forse, era quello più entusiasta all'idea di rientrare in Corea; lì avrebbe rivisto Hae, la sua ragazza, dopo tanto tempo.
Hoseok, invece, aveva appena salutato la donna che gli era entrata nel cuore.
Tutti avevano pianto, quel giorno. Sapevano che quella realtà era svanita, come un sogno, e che sarebbero tornati a fare la vita da idol. Li aspettava un periodo intenso: l'uscita della serie basata sulla loro esperienza in Italia e, subito dopo, il nuovo album con annesso tour mondiale.
Addio tranquillità e privacy!

"Se io e Namjoon non avessimo insistito per venire in Italia, forse tutto questo non sarebbe successo. Forse ci saremmo comunque divertiti, altrove, senza tutte queste complicazioni. Forse, invece, doveva andare così e basta" pensò, mentre saliva la scaletta dell'aereo.
Sei mesi prima, lui e il leader della band, avevano notato due straniere in un piccolo ristorante di Itaewon e aveano attaccato bottone. Le loro risate erano contagiose e morivano dalla voglia di scoprire chi fossero e che ci facessero lì. Avevano trascorso con loro tre serate, prima di tornare in Italia.
Si erano divertiti; li avevano trattati come "comuni mortali" e non come idol. Chiara e Elsa, così si chiamavano, erano simpatiche e, anche se le conoscevano appena, sentivano di potersi fidare delle due.

Quando la loro agenzia gli aveva illustrato il progetto di mandarli a vivere in un altro Paese, nel totale anonimato, per alcuni mesi e di riprendere il tutto coi loro dispositivi, subito la loro mente si rivolse all'Italia e alle due amiche.
L'idea era quella di farli ospitare da una persona fidata, che sarebbe stata la loro referente, e di farli vivere come persone qualsiasi: avrebbero lavorato, o studiato, e contribuito all'andamento della casa.
Alcuni di loro erano entusiasti perché non ne potevano più di vivere in quella gabbia dorata fatta di lusso e zero privacy; altri, come Jimin e Jungkook, invece, temevano di non riuscire ad adattarsi e di sentire troppo la mancanza di casa.
Anche per questo, lui e Namjoon, avevano pensato alle due italiane; si erano trovati così a loro agio con loro che non avevano dubbi sul fatto che sarebbe stato lo stesso anche per gli altri.
Non aveva idea di quanto le loro vite sarebbero cambiate, proprio per questa scelta.

«Benvenuto» Un'hostess lo salutò in un perfetto inglese.
Il cappellino alla pescatora, e una mascherina chirurgica che lasciava scoperti solo gli occhi, gli garantivano una perfetta privacy. Anche se avrebbero viaggiato in prima classe, si trovavano comunque su un volo pubblico e non rendere nota la loro presenza era fondamentale.
Ripensò a quando erano atterrati in Italia, ormai mesi prima. Era stato così felice di rivedere Chiara ed Elsa! Quello che lo aveva attratto, in loro, erano state la spontaneità e l'essere a proprio agio con sé stesse. Proprio per questo le avevano trovate anche attraenti e sensuali, seppur molto diverse dalle donne con cui di solito avevano a che fare.
Sospirò. Non era partito con l'intenzione di portarsele a letto, per niente. Eppure...

«Ahi! Aspetti, aspetti! I capelli!» Una voce femminile attirò la sua attenzione, mentre passava attraverso i sedili della seconda classe. Si voltò verso l'origine del suono e vide una giovane donna col collo piegato e il volto dolorante. «I miei capelli sono finiti nel suo braccialetto» si lamentò.
Hobi abbassò lo sguardo sul proprio polso, notando come una ciocca di capelli scuri fosse impigliata fra maglie di uno dei suoi bracciali.
«Oh, mi scusi.» Si fermò, bloccando la fila e cercando di sbrogliare la matassa, senza però riuscirci.
La donna, con le mani, teneva ferma la base della coda per mitigare il dolore.
«Ehi, andate avanti o no?» si lamentò un uomo più indietro.
Hobi sbuffò. Era già abbastanza nervoso per la partenza, ci mancava solo quell'inconveniente.
Si infilò in una fila di sedili e fece cenno a Jimin, alle sue spalle, di proseguire.
Nel frattempo, continuava a cercare di liberare i capelli della povera malcapitata. «Mi dispiace, signorina.»
«Sono cose che capitano, si figuri» rispose lei, facendo una smorfia di tanto in tanto, quando sentiva tirare i capelli.
La osservò senza riuscire a identificare la sua origine. Sembrava coreana ma, al tempo stesso, occidentale.
Aveva i capelli scuri, il mento piccolo e gli occhi a mandorla, come lui, ma questi erano insolitamente grandi e nocciola. Sul viso aveva molte lentiggini e c'era qualcosa, nei suoi tratti, che lo confondeva.
«Ecco, ce l'abbiamo fatta!» esclamò con sollievo, dopo aver liberato gli ultimi capelli dalla morsa del bracciale.
«Menomale» gli sorrise lei.
«Mi scusi ancora, buon viaggio» la salutò, proseguendo verso la prima classe, dove lo attendeva il resto della combriccola. Si sentiva teso e, quel contrattempo, aveva aumentato la sua insofferenza.

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