DRUZHBAHC.STE

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2020年 10月 02日,
ore 16:15.


il quartiere era silenzioso e, nonostante l'ora, non si vedevano né bambini né madri intente a chiacchierare. per kaoru quella era una situazione ottimale, addirittura perfetta, per rincasare. una delle sue grandi ansie, infatti, era quella di doversi fermare a parlare con qualcuno; rispondere alle domande, controllare il tono di voce, la mimica facciale, era tutto troppo impegnativo e sfiancante.

il cielo di tanto in tanto minacciava di rabbuiarsi e di far piovere, ma le temperature erano ancora talmente alte da poter assicurare a chiunque di non patire il freddo o un qualche vento gelido tipico della stagione. le panchine erano vuote esattamente come le strade e come i parchi. per un venerdì pomeriggio sembrava tutto fin troppo surreale per essere vero. il giovane omega pensò a lungo e si chiese dove potesse essere finita tutta la gente che in genere evitava.

camminava a passo lento e accompagnava la valigia tirandola dal manico nero e spesso. il bagaglio non era altro che un carico pieno di vestiti sporchi da dover gettare in lavatrice; il moro si era fatto spiegare dalla sorella come impostare un programma di lavaggio, quale detersivo utilizzare e quanto metterne, così come la scelta dell'ammorbidente. le informazioni erano numerose e kaoru non sapeva se sarebbe stato in grado di memorizzarle tutte, ma si era ripromesso di far pratica: a mali estremi avrebbe ripreso a consultare la lavanderia a pochi passi dal complesso di appartamenti in cui viveva.

il ragazzo si era trattenuto qualche giorno fuori città, più a lungo del dovuto. kyōko aveva compiuto venticinque anni, un traguardo importante che kaoru non aveva motivo di perdersi. oltre a ciò lo studente aveva bisogno di dimenticare le pressioni della vita di tokyo, così come le responsabilità che aveva deciso di assumersi qualche settimana prima: lavorare era complicato, farlo mentre preparava gli esami ancora di più. si meritava una vacanza dalla vita, anche se parziale. purtroppo hayato non aveva smesso di punzecchiare il figlio nemmeno per un secondo, proprio come previsto. era ormai palese che avesse un piano per farlo tornare a casa, ma il giovane era più determinato del genitore.

il cellulare del moro iniziò a vibrare e lo schermo si illuminò all'istante: il nominativo che continuava ad apparire era quello di なな, nomignolo affidato alla madre. nana era un'abbreviazione del nome naomi, una piccola invenzione di kaoru di quando aveva appena compiuto qualche anno di vita. era un nome molto utilizzato, senz'altro; crescendo, però, rimase semplicemente un ricordo da custodire.

"mamma?" l'omega rispose.

"amore, finalmente ti sento. perché non mi chiami mai?"

"eh... è più bello quando mi chiami tu."

"ah, sì?" kaoru sentì la madre ridacchiare "lo farò più spesso, però promettimi che risponderai."

"ci proverò. dove sei? che fai?" il giovane era quasi giunto a destinazione.

"sono appena uscita da lavoro! ho concluso un caso complicato... sto andando a mangiare fuori con qualche collega del tribunale. ma non parliamo di me, amore. voglio sapere cosa fai tu."

kaoru fece spallucce, non sapeva cosa dirle di concreto. iniziò a fare le scale per raggiungere il secondo piano della struttura, nel frattempo cercò di raccontarle cosa aveva fatto in quei giorni di tregua a yokohama. la donna sapeva che aveva il compito di chiamare il marito e di riprenderlo, proprio come ogni volta in cui padre e figlio si ritrovavano a discutere.

naomi viveva in corea del sud ormai da due anni. aveva trovato lavoro come capo procuratore in un tribunale minorile; si occupava di giovani perché li riteneva il centro del suo mondo. oltre a ciò era convinta che la società dovesse essere rifondata proprio da quel gruppo sociale, quello più fresco e indifeso. anche per questo era molto attenta alle vite dei suoi tre figli; nonostante la distanza, cercava di fare il possibile affinché questi non dimenticassero che la mamma era sempre presente, anche quando non c'erano baci e abbracci a confermarlo.

"parlerò di nuovo con tuo padre, però cercate di non discutere... siamo una famiglia e dovremmo andare sempre d'accordo."

"nemmeno quelle dei manga sono così tanto affiatate, sai?" kaoru sbuffò "come sempre, non prometto nulla."

l'ascensore era fuori servizio. il giovane raggiunse il piano con qualche difficoltà nel sollevare e appoggiare il bagaglio; si mise in marcia verso l'appartamento numero 206, ma a pochi metri dalla porta trovò l'unica persona che quel giorno avrebbe voluto evitare veramente.

"mamma... ti chiamo dopo. ho avuto un imprevisto. nulla di grave, tranquilla. a dopo, a dopo." e agganciò.

l'architetto ishikawa stava fermo davanti alla porta altrui. osservava il giovane con timore e gli era complicato astenersi dal deglutire. era arrivato il momento del confronto che aveva tanto desiderato e che, in quell'istante, avrebbe voluto rimandare. kaoru non mutò espressione nemmeno per errore, lo osservò in viso per qualche secondo, poi riprese ad ignorare la sua presenza e si affrettò ad andare all'abitazione accanto, la 207, per recuperare quanto ordinato. la vicina, una signora di circa sessant'anni, uscì fuori tutta imbellettata, con la posta del giovane omega.

"bentornato, kaoru! com'è stato il viaggio? sei stato via parecchio tempo!" esclamò.

"sì, sì... sono appena tornato. le chiedo scusa per il disturbo." si avvicinò per stringere i due pacchetti tra le mani "dove va di bello oggi pomeriggio?"

"nessun disturbo, stellina. ah, io sto per andare a vedere lo spettacolo teatrale di uno dei miei nipotini!" la donna si mise a ridere.

"oh, chiaro. faccia attenzione, fa ancora caldo per strada. non le rubo più tempo... la ringrazio e le auguro un buon pomeriggio." disse il moro.

"che carino... a te, stellina! e anche al tuo ragazzo... cercate di fare pace." disse, indicando il biondo.

"no... non è il mio ragazzo."

"no? ma come? è da giorni che viene qui a chiedere di te. in ogni caso, se avete discusso, fate la pace! buona giornata!" concluse la signora.

il ventenne si congedò con un lieve cenno del capo, in seguito tornò di fronte alla porta della propria abitazione e, continuando a ignorare l'architetto, entrò all'interno.

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