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ore 16:11.


kaoru giaceva sul letto della camera, quella che aveva abbandonato qualche mese prima; i cuscini erano ancora comodi e gonfi, gli oggetti erano rimasti intoccati. per qualche secondo gli parve di non aver mai lasciato la casa, specialmente dopo la discussione avuta con il padre.

sentiva ancora i nervi a fior di pelle, aveva il viso contratto per il nervoso e stringeva uno dei numerosi guanciali per sfogare la rabbia apparente, che poi non era altro che il profondo senso di tristezza da cui aveva cercato più volte di distanziarsi. il giudice non comprendeva la pesantezza della sua insistenza né si curava di provarci. se naomi fosse stata presente, lo avrebbe già ripreso: in fondo la donna, per quanto severa, era quasi sempre dalla parte del suo terzogenito. in sua assenza, però, il ventenne sapeva che la sorella avrebbe volentieri ricoperto il ruolo della loro madre; kyōko era diretta e non tollerava le ingiustizie.

l'amore che l'avvocata provava per kaoru era immenso, così come lo era l'attenzione che iniziò a prestare nei suoi confronti dopo aver scoperto il suo vero secondo genere. si permetteva di contattare il più piccolo nei fine settimana, provava a farlo parlare e a fargli dire ciò che pensava. il tutto era necessario pur di fare uscire kaoru dalla barriera che aveva deciso di erigere quando fu costretto a lasciare la scuola.

il ragazzo non era riuscito a dimenticare cosa era successo a tokyo con l'architetto ishikawa. la frustrazione lo stava divorando vivo, senza la benché minima pietà. si era ripromesso di non piangere ma aveva gli occhi gonfi, pronti a scatenare la più cruenta delle tempeste. iniziò a sospirare e a maledire tutto ciò che aveva attorno: la casa, l'insolenza del padre, la città di tokyo, gli uomini in generale.

il ragazzo aveva difficoltà ad aprirsi con le persone e aveva anche qualche problema a gestire le emozioni; limitarsi e tacere gli venne facile per qualche anno, ma si era più volte reso conto di non poter continuare in quel modo. talvolta credeva che tornare in terapia gli avrebbe fatto bene.

"ehi..." kyōko aprì la porta della camera dopo aver bussato docilmente "ti va di parlare?"

"non so. sono stanco." bisbigliò l'omega in risposta.

l'avvocata chiuse la porta della stanza dietro di sé, poi prese posto sul letto e si avvicinò al ragazzo. ancora una volta avrebbe dovuto fare da mediatrice tra il padre e il fratello per cercare di salvare la giornata.

"mi dispiace, ho rovinato tutto. dovrei scusarmi con kōtarō."

"non hai rovinato nulla. in questo momento stai così perché nostro padre non si sa comportare. nonostante la carriera e il successo che ha come giudice, come genitore rimane negato." la donna sorrise.

"però kōtarō..." pronunciò il moro.

"non è arrabbiato. è preoccupato, come sempre! non è qui solo perché rispetta i tuoi spazi... e poi aveva paura di non essere d'aiuto. il solito paranoico, lo sai, no?"

lo studente non sapeva cosa dire, il nervosismo che provava spesso si tramutava in una lunga serie di sensi di colpa, pensieri negativi, dolore. rimase in silenzio per un po', aveva bisogno di stare tranquillo.

"kaoru..." riprese la beta "se hai bisogno di dire qualcosa, fallo. non tenerti tutto dentro, va bene? vedo che stai male e mi dispiace non poter fare nulla."

"faccio il possibile."

"lo so, lo so." pronunciò la ragazza "più tardi parla anche con papà, va bene? prometto che ti chiederà scusa."

"le sue non sono scuse sincere." kaoru sbuffò e strinse la mano a pugno "lo fa sempre: mi offende, decide per me, sminuisce i miei sentimenti e le mie ambizioni e poi si scusa solo perché glielo chiedete voi. lui continua a pensare di non sbagliare, è insopportabile."

la beta sorrise ancora. il fratello aveva iniziato ad aprirsi, anche se poco. il modo in cui cercava di argomentare il suo stato d'animo era un chiaro tentativo per far comprendere quanto dura fosse quella realtà vissuta ogni giorno per diversi anni.

"non voglio giustificarlo, ma sai che si preoccupa per te. vuole che tu abbia il meglio sotto vari aspetti. sei il più giovane di questa famiglia e sei anche speciale. non è corretto dirlo, ma pensalo come l'approccio sbagliato e pressante di un genitore che è interessato a te in modo genuino." concluse.

la donna rimase in silenzio per qualche secondo nel tentativo di ascoltare la risposta altrui, ma questa non arrivò nemmeno dopo un minuto intero di orologio: che il giovane fosse ancora abbattuto?

"troppo tecnico come pensiero?" riprese a parlare "andiamoci al contrario. se ricordi, all'inizio lui non approvava me e yua insieme. però, come vedi, dopo cinque anni, io e lei siamo ancora qui. e lui non fiata."

"sì..." disse kaoru "ma io non sono forte come te e yua. e non sono nemmeno un beta. sono la vergogna della preziosa famiglia che cercava di creare." ironizzò.

"ma..." kyōko sospirò "papà non si vergogna di te. non dovresti pensarlo, tiene tanto al tuo futuro."

"mi ha portato via dalla scuola che volevo frequentare."

"beh, era una scuola per alfa e beta... non potevi più stare lì. ti saresti potuto trovare in pericolo."

"e allora perché non mi ha iscritto in un altro istituto?" chiese il ragazzo "perché mi ha tenuto in casa per anni? perché mi ha proibito di uscire e contattare le persone con cui avevo un rapporto?"

"probabilmente perché temeva che potessero approfittarsi di te... so che lo ha fatto nel modo sbagliato, però era per proteggerti. papà sa che il mondo è ingiusto e non vuole che tu lo veda."

"è lui quello ingiusto, mi ha solo tolto tante occasioni per essere me stesso. non voleva che uscissi dalla mia camera, ha anche impedito a yua di venire qui, ha messo me e te contro. come fai a giustificarlo? e ora spera che io mi trovi un ragazzo da cui farmi tenere a bada. ha già immaginato che dispiaceri potrei dargli se qualcuno mi prendesse con la forza. che vergogna se si venisse a sapere che il suo prezioso figlio è uno scarto della società. ha paura degli scandali, non di vedermi triste."

"non è così... smettila. io e yua siamo state comunque bene e non è stato un problema per noi allontanarci da casa. ti vogliamo tutti bene e teniamo alla tua incolumità più di ogni altra cosa. trovarti un alfa non è poi così male! ti permetterebbe di fare ciò che vuoi, lo ha detto anche la dottoressa."

"preferisco imbottirmi di pillole a vita."

il moro sospirò. sembrava turbato dalle parole della sorella. più che farlo calmare, lo stava infastidendo: non poteva credere che la ragazza stesse cercando di difendere le decisioni del padre. tornò freddo all'improvviso, si alzò dal letto e si chiuse in bagno senza aggiungere altro.

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