capitolo 36 - Chloe

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Chloe

Apro l'armadio e come al solito sono indecisa su cosa indossare, guardo i miei vecchi vestiti, semplici, che mi rappresentano di più, e poi i nuovi, scelti da Andrea, con qualche trasparenza, con qualche centimetro in meno.

Chi sono?

Lui mi ha cambiata e gliel'ho lasciato fare, e non parlo di una gonna, neanche di una camicetta con qualche trasparenza in più, ma bensì, a ciò che ha messo radici dentro di me iniziando a sbocciare.
Parlo di ciò che provo mandando al diavolo ogni logica quando gli sono vicina, di quel che vorrei inspiegabilmente, della testa che parte ed è incontrollabile e continua a battere su un pensiero fisso.

È inutile per me tentare di convincermi che sia sbagliato pensarlo, che sia inutile farlo, che non mi servirà a niente se non a farmi a pezzi, e soprattutto, temo sia inutile provare per l'ennesima volta a costruire qualcosa con Mark.
A quest'ultimo pensiero mi lascio sfuggire un sospiro che sa tanto di sconfitta, perché ancora oggi io non riesco davvero a capacitarmi di come sia potuto accadere questo, di come e quando Andrea abbia stravolto tutto.

Cedo finalmente, credo di essere arrivata ad ammettere che con Mark, il ragazzo per il quale credevo di provare qualcosa, e che oggi so essere una banale e piccola infatuazione adolescenziale, tra l'altro già sfumata, non ci sarà niente.
L'altra sera era ovvio che volesse baciarmi quando mi ha riaccompagnata a casa, continuava a ripetere lungo il tragitto di quanto feeling ci sia fra noi, mentre la mia mente era altrove e lo ascoltavo a malapena.
Arrivati sotto casa la sua mano ha stretto la mia, istintivamente l'ho fissato e stava accorciando le distanze, oppure era la macchina a stringersi facendosi sempre più piccola, costringendolo ad avvicinarsi a me.
La mano libera a tastoni ha cercato di aprire lo sportello da sola, manovrata dall'ansia di scappare, stavo quasi per cadere sull'asfalto quando ci sono riuscita, visto che ero spalmata su questo per cercare più distanza possibile.
Dovrò mettere fine a questa sceneggiata fra noi appena arrivo in ufficio.

È tutta colpa di quel grande idiota di Andrea, è entrato nella mia vita per farmi impazzire.

Afferro l'abito chiaro con le stelline preso insieme a lui, contro la sua volontà, ma che io ho adorato, ci abbino una giacca nera, ravvivo con le mani i lunghi capelli scuri e mi osservo allo specchio della mia stanza.
Niente, per quanto ci provi e riprovi le sue parole mi martellano incessantemente in testa facendo quasi male, è come se avesse paura di accettare queste emozioni, me lo spingono a credere i suoi occhi che sembravano nascondere dolore mentre diceva di andare avanti ognuno per la propria strada.
Oppure sono solo una grande sognatrice come al solito e l'unica cosa che dovrei fare è disdire l'abbonamento a Netflix, perché guardare film romantici mi fa davvero male.

Credo sia più plausibile la seconda.

Eppure mi rifiuto di credere che io mi sia illusa del nulla, che abbia fatto castelli costruiti con fragile sabbia pronta a crollare bagnata dalla prima onda, lui era con me mentre accadeva questo, mentre si creava un legame sotto i nostri occhi, me lo ha confessato finalmente.

Osservo il letto al mio fianco e i ricordi dell'unica sera in cui siamo stati qui insieme, fanno quasi rabbia, come se creassero un vuoto nel petto pronto a far male, pronto a ricordarmi che dovrò portare i segni di qualcosa che neanche è mai esistita, neanche ha mai avuto l'occasione di essere vissuta.
Afferro la borsa, combattiva, ed esco di casa, incurante di prendermela con il portone e svegliare di sicuro la povera Sofi che me la farà di certo pagare, ma devo affrontare un ragazzo cocciuto.

Lui si è avvicinato a me con questo ridicolo gioco di passare il tempo insieme per farci da coach a vicenda sull'amore.
Lui mi ha trascinata più vicina con quel bagno forzato, tenendomi stretta, e quel bacio che sempre lui mi ha dato, la gelosia evidente, per non parlare delle sue parole.
Non può giocare con me così.

Entro in auto e guido come una pazza mentre penso a cosa dirgli senza sembrare che stia elemosinando le sue attenzioni, perché il punto non è questo, il punto è ammettere ciò che prova una buona volta.
Non sopporto che mi dica che potrei essere troppo importante e non può permetterselo, non ha senso dire che ha bisogno di qualcosa di meno complicato, meno coinvolgente, perché sono solo scuse.

Arrivo nel parcheggio sotterraneo dell'azienda, trovo un posticino poco distante dall'ascensore, spengo il motore e alzo lo sguardo, per caso lo vedo, lui è lì, come il colpo al cuore che sento. Vorrei correre da quel ragazzo per prenderlo a schiaffi per come mi fa sentire, per come si sia insinuato nella mia vita senza chiedere il permesso, nei battiti che si rincorrono impazziti ogni volta che si tratta di lui.
Poi, purtroppo so, che il desiderio di essere ancora fra le sue braccia sarebbe più forte, come la speranza che per lui sia lo stesso, perché ho capito che è l'artefice di ogni sospiro che si ferma in gola.
Ora sono pronta ad ammetterlo.

Andrea non mi ha notata ed io cerco il coraggio di parlargli una volta per tutte senza dargli modo di scappare, inspiro profondamente e tento di riorganizzare le idee per affrontarlo nel migliore dei modi senza poi finire per aggredirlo, perché mi aspetto la reazione e le parole dell'ultima volta.
Io voglio di più, voglio la verità, voglio che affronti ciò che racchiude nel suo cuore, perché so che ha i miei stessi brividi quando i nostri occhi si incrociano.

Un rumore di tacchi risuona attirando la mia attenzione, mi volto e vedo Caroline arrivare, è diretta verso Andrea con un sorriso sulle labbra, le stesse che dopo pochi istanti finiscono per combaciare con quelle dell'uomo che mi fa battere il cuore.
Li vedo baciarsi, sotto i miei occhi, e nello stesso istante, mi si contorce lo stomaco e arrivano le lacrime come una liceale.
È questo che succede quando si fanno film inesistenti, lui mi ha avvisata l'altra sera che mi avrebbe fatto del male, che sarebbe stato meglio stargli lontano, dovrei ringraziarlo.
Giro la testa di scatto per non guardare più del necessario, ed è tutto chiaro, per salutarsi così affettuosamente la loro serata è stata scoppiettante dopo il ristorante, di certo non avrà passato la notte a pensare me e ciò che ci siamo detti.

Cerco di regolare il respiro e asciugo l'unica lacrima che ha avuto la meglio scivolando sulla mia guancia, ma non accadrà mai più, è una promessa che faccio a me stessa.

Purtroppo i nostri occhi si incontrano perché non sono stata abbastanza forte da non voltarmi verso di loro, Andrea sembra quasi terrorizzato nel vedermi, perché mai dovrebbe?
Forse lo eccitava questo gioco fra noi due, ora è finito e lo capirà.

Scendo dall'auto e mi dirigo a passo svelto verso l'ascensore dall'altra parte del parcheggio, non ho intenzione di passare davanti a lui.
Sento Andrea chiamarmi a gran voce, il mio nome risuona in tutto questo parcheggio sotterraneo grazie all'eco, ma io non mi fermo, i suoi passi dietro di me sono sempre più vicini, fino a quando la sua mano non afferra il mio braccio.
Costretta a voltarmi, ora siamo a pochi centimetri, ma più distanti che mai, ed è ciò che sarà fra noi d'ora in avanti.
Siamo solo colleghi.

«Non toccarmi, devi starmi lontano d'ora in avanti.»
Metto le cose in chiaro e con un colpo secco del braccio mi libero dalla sua presa, al momento non mi importa cosa possa pensare di me, se sto facendo la parte della ragazzina gelosa o altro, voglio solo che mi stia lontano.
Scorgo dolore in quelle iridi ma so che non è così, so che ancora una volta mi sto sbagliando, proprio come mi sono sempre sbagliata, fin dal primo giorno.

Pochi passi ancora e sono in ascensore,lui resta lì, fissandomi con un'espressione sconfitta, occhi negli occhi, le porte metalliche si chiudono e sembrano quasi farmi da scudo da un uomo che dovrà restare fuori dalla mia vita.

Pochi passi ancora e sono in ascensore,lui resta lì, fissandomi con un'espressione sconfitta, occhi negli occhi, le porte metalliche si chiudono e sembrano quasi farmi da scudo da un uomo che dovrà restare fuori dalla mia vita

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