capitolo 80 - Chloe

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Chloe

Chloe

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Chloe

Non ho la forza di sollevare la testa, di aprire gli occhi e risvegliarmi da questo momento, non voglio ancora seguire la logica e allontanarmi da lui, voglio restare fra le sue braccia e dimenticarmi, ancora per pochi istanti, che mi ha spezzato il cuore.

Voglio perdermi nell'illusione che io possa perdonarlo, che lui non mi farà ancora del male, che Andrea stia scegliendo me, rinunciando al marciume della vendetta.

Sentirmi dire che mi ama, sentire che sono stata la luce che ha illuminato la sua vita, caratterizzata solo da ombre prima del mio arrivo, vorrei potesse ricucire magicamente lo strappo che lui stesso aveva creato nel mio petto, cancellare il dolore, ma non è così semplice.
In parte è servito, perché quelle parole hanno risanato alcune ferite, ma non possono far scomparire le cicatrici che restano da queste.

Dai miei occhi scende una lacrima, sento il suo tocco arrivare e asciugarla, ingoio il dolore, l'amore, le mie paure, ogni emozione e restando con la testa bassa, allungo la mia mano, racchiusa in questo guanto e sfioro la sua guancia.
Cerco di respirare a fondo per trovare il coraggio, so che devo affrontarlo, ma incontrare i suoi occhi, ora, sarebbe rischioso, temo di potermi perdere in quest'uomo e non posso farlo.

Continuo a stringere l'ombrello con tutta la forza che ho e, sempre a testa bassa, apro gli occhi.
Fisso il suo petto racchiuso dal cappotto grigio scuro, la mia mano si sposta proprio lì, sulla parte sinistra e, come una sciocca immagino di percepire il palpitare di un muscolo tutto rattoppato.
Quante notti mi addormentavo stretta a lui, col capo proprio qui, cullata dal battito del suo cuore chiedendomi se provasse lo stesso sentimento che scalpitava nel mio petto.

Nonostante io gli avessi confessato una volta i miei sentimenti, senza ricevere risposta, ho voluto farmi bastare ciò che mi trasmettevano i suoi occhi ogni volta che mi guardava.
I suoi gesti premurosi, le sue facce gelose, i suoi abbracci teneri, quei baci appassionati, tutto questo mi ha sempre portata a credere che fosse coinvolto tanto quanto me, o almeno lo speravo.
«Ho sempre creduto che non fossi in grado di dire a parole ciò che sentivi per me, forse per paura di farlo diventare troppo reale, chi lo sa?»
Sento la mia stessa voce tremare.
«Ma percepivo il tuo sentimento lo stesso e sono felice di non essermi sbagliata.»

Posa due dita sotto il mio mento costringendomi ad incontrare quell'oceano verde che si scontra con la sabbia dorata, non riesco quasi a respirare per l'intensità dell'emozione che mi investe, mi ritrovo in quelle acque e mi sembra di andare affondo.

In questo momento lui cerca in tutti i modi di tendermi la sua mano vigorosa, ma io, non riesco a prenderla, immobilizzata dalla paura.
Faccio un passo indietro, letteralmente, vedo il suo sguardo speranzoso cambiare, la sua fronte formare delle piccole rughe, le sopracciglia incurvarsi.
«Andrea non posso.»
Stavolta sono io ad aver ceduto, per la prima volta, sono io a rinunciare a lui e abbracciare i miei demoni.

«Chloe...»
Cerca di trattenermi non lasciando la presa sul mio braccio, io faccio un altro passo indietro e lui ne fa uno avanti, il suo volto rispecchia lo strazio che si legge sul mio.

Continuo ad allontanarmi da lui, un passo, un secondo passo, un altro, i nostri occhi sempre ancorati l'uno nell'altro, come se non riuscissimo a farne a meno, mentre la mia vista inizia ad appannarsi a causa delle lacrime.
Lui resta lì, inerme, vedendomi scivolare via dalla sua vita, ed io, trovo il coraggio di voltarmi per proseguire la mia marcia lontana da lui, stavolta gli sto dicendo addio.

Le lacrime ormai scendono copiose sul mio volto e i miei passi iniziano ad aumentare fino a ritrovarmi a correre. Arrivo sotto casa ed entro nel palazzo sbattendo alle mie spalle il portone e accasciandomi su questo, non riuscendo più a reggere il peso di quello che sto provando.

L'ho perso ancora.

Non so da quanto tempo io sia su questo pavimento, non ho la percezione di questo, ma posso quasi dire quante lacrime io abbia versato, posso quasi dire quanti battiti a metà il mio cuore sia riuscito a fatica a battere nel frattempo.

Asciugo il mio viso e faccio un profondo respiro, mi rimetto in piedi e salgo le scale con una lentezza esasperante, i miei occhi si perdono ad osservare ogni gradino, ma la mia mente vaga.
Vola via da questo edificio, percorre la strada, segue il sentiero alberato e si ferma nei pressi del parco, lì dove ho appena lasciato un pezzo di me.
Arrivata finalmente davanti la porta del mio appartamento infilo le chiavi nella serratura, a fatica, visto che tremano, ma al terzo tentativo ci riesco.
Entrare in casa mi fa sentire quasi protetta, come se chiudere questa porta mi desse la possibilità di riuscire a chiudere fuori anche lui e tutto quello che è appena successo.

Che sciocca.

Non accendo neanche la luce, vado dritta nella mia stanza ma, i passi, spinti da una forza incontrollata, mi portano alla mia finestra.
La sua auto è ancora lì.

Mi costringo, dopo un altro sospiro, ad allontanarmi, butto questo cappotto enorme sulla sedia accanto all'armadio, getto la borsa a terra, con stizza tolgo la sciarpa, che non so dove finisce, e levo le scarpe senza slacciarle aiutandomi prima con un piede e poi con l'altro.
Mi tuffo sul letto, ancora sfatto e mi copro con il piumone e le coperte fin sopra la testa, sperando di essere al sicuro qui sotto, almeno stanotte, sperando di poter sfuggire al ricordo di noi, dal dolore che mi insegue.

Il mattino arriva, affrontare queste ore non è stato semplice, mi giravo e rigiravo sotto le lenzuola cercando un po' di sollievo, pregando che Morfeo avesse pietà di me.
Mi alzo con un bel mal di testa, il poco sonno e le lacrime non sono stati una combinazione vincente.

Mi trascino in cucina e Sofy è già seduta a fare colazione, per fortuna non ha finito tutti i muffin al cioccolato.
«Buongiorno, allora, raccontami tutto, il nostro ragazzone come si è comportato per questo primo appuntamento.»
Mi fissa con gli occhietti già a cuoricino e la boccuccia sporca di nutella.

Io mi siedo di fronte a lei e afferro l'ultimo muffin prima di restare senza, non perché abbia fame in realtà, ma solo per via del mal di stomaco orribile che ho stamattina.

« È stato straziante, finalmente mi ha confessato di amarmi.»
Riesco a dire e nel mentre già iniziano a pizzicarmi gli occhi.

«Addirittura, mi sembra un tantino frettoloso, da quanto lo conosci?»
La mia amica resta interdetta, ma io non ci bado molto e continuo.

«Sai da quanto tempo aspettavo quelle parole? Come avrei voluto gettarmi fra le sue braccia?»
Una voragine si espande al centro del petto e devo sbattere più volte le ciglia per combattere e ricacciare le lacrime.

«Davvero?»
La bocca minuscola della mia amica diventa una perfetta O enorme, stupita dalla mia rivelazione e, non ne capisco il motivo.

Mi alzo abbandonando il muffin sul tavolo, un solo morso è bastato a farmi venire la nausea, mi dirigo nella mia stanza per spogliarmi e andare a fare una doccia veloce, il lavoro mi aspetta.
Varcata la soglia lo sguardo è diretto lì, alla finestra, so che non dovrei farlo, so che non ha senso farlo, ma a piccoli passi mi avvicino, scosto la tenda e il sole illumina tutto, anche se non sembra riuscire ad illuminare me.
Mi sento molto sciocca ma, prendo un respiro prima di inclinare la testa verso il basso e guardare verso la strada.
Quel vuoto avrebbe dovuto esorcizzare tutto, mettere un punto, invece la sua auto è ancora lì, nello stesso punto, in seconda fila.

Ma questo mi fa preoccupare, cosa vuol dire? Gli sarà successo qualcosa?

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