capitolo 68 - Chloe

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Chloe

Chloe

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Chloe

La nebbia che avvolge questa fredda città è insopportabile, non riesci facilmente a respirare quest'aria umida, sembra che i colori siano stati risucchiati da ogni oggetto, strada, vetrina, persona, non solo dal cielo.
Devo ammettere che il grigiore dei cieli che caratterizza queste ultime giornate sembra rispecchiare il mio stato d'animo, purtroppo e, per quanto io ami il sole, stranamente mi sento a mio agio in queste giornate di New York senza colori, perché ad un tratto lo sono anche le mie.

Continuo a fissare fuori da questa finestra della mia stanza, avvolta dal mio enorme plaid rosso, la strada piena di macchine, alti palazzi che coprono il cielo, persone che come al solito corrono freneticamente verso qualche posto, altre vite insomma, tutto come sempre.

Ma di lui non vi è traccia.
Dovrei rendermi conto che non tornerà sui suoi passi e, che se lo facesse, non dovrei comunque perdonarlo, perché non può giocare così con il mio cuore.

Eppure, resto incollata a questa finestra, come tutte le mattine in cui passava a prendermi per andare a lavoro insieme e, non appena sentivo il suono del telefono per l'arrivo del suo messaggio, per avvisarmi che fosse arrivato, istintivamente mi affacciavo.
Spesso non ero pronta e lui aveva l'abitudine di scendere dall'auto e poggiarsi allo sportello, ammetto di essermi attardata molte volte per ammirarlo proprio da qui, con quell'aria sicura e determinata, con quel sorrisetto compiaciuto e occhio furbo quando mi scopriva alzando lo sguardo.
Invece, ora, non c'è nessuno se guardo in basso.

Ho dato troppa fiducia al suo cuore, che sentivo battere fortissimo se solo vi posavo il capo, addormentandomi al ritmo di quel suono.
Ho creduto alle sue parole ogni volta che mi ricordava di averlo salvato da quei demoni che, evidentemente, sono stati più forti del sentimento che professava.
Soprattutto, mi sono lasciata incantare dai suoi occhi, ogni volta che mi guardava come se ero qualcosa di prezioso, perché io, in quel mare macchiato di sabbia, che trovavo dinnanzi a me, leggevo amore.

Che stupida.

Mi sono crogiolata nel dolore in questi giorni, rintanandomi in questa stanza, tentando di capire in cosa avessi sbagliato in questo rapporto, ma non ho trovato risposte, se non una.
Io non ho colpe.
Per una settimana intera ho cercato di analizzare gli ultimi giorni, le nostre conversazioni, i suoi stati d'animo, i miei comportamenti, eppure nessun indizio.

Mi sono rimproverata di aver fatto poco, troppo poco per aiutarlo nella sua battaglia personale, mi sono condannata per aver vissuto con troppa fiducia un amore che in realtà non è mai esistito, se non per me.
Ma non dovrei biasimarmi per essermi lasciata sopraffare da questi sentimenti, anche se ora mi hanno schiacciata come si fa come una formica, facendomi a pezzi.

« Che stai facendo?»
Sofi irrompe nella mia stanza e si butta sul mio letto a peso morto provocando un tonfo.
«Se rompi il letto di tua zia, io non lo pagherò.»
La rimprovero mettendo le cose in chiaro, ma in risposta guadagno solo una linguaccia, per un attimo la sua espressione sembra esattamente quella delle emoticons disegnate sul suo pigiama.
«Chloe, oggi torni a lavoro e ancora non sei andata a fare una doccia, non ti stai preparando, farai tardi, non dirmi che hai cambiato idea?»
Abbasso lo sguardo colpevole, è palese che io stia temporeggiando, perché non posso rivederlo così presto, sento un dolore al centro del petto al solo pensiero, come un vuoto che tenta di risucchiarmi con forza.
«Sto solo cercando di trovare il coraggio di affrontarlo a testa alta, di non far scendere nemmeno una lacrima dai miei occhi nel vederlo e passargli vicino come se non lo conoscessi.»

Sto vivendo questa assurda scena nella mia testa un milione di volte da giorni, come se fosse il ciack di un film e noi gli attori protagonisti, a volte lui mi guarda rammaricato, altre con freddezza, persino indifferenza, ho anche immaginato che cercasse di chiedermi scusa, scioccamente.

Sofy si alza goffamente dal mio letto, con pochi passi è davanti a me, afferra con entrambe le mani le mie spalle e fissa i suoi occhi nei miei, determinati, gli occhi nocciola della mia amica mi trasmettono tutto il suo supporto e coraggio.
« So che sarà difficile, amica mia, ma lavorate nello stesso posto e, una settimana di malattia è abbastanza, devi pensare a te adesso, ritornare alla realtà, e comunque, non puoi evitarlo per sempre.»
Le sorrido, anche se lo faccio forzatamente, ma apprezzo che cerchi di farmi reagire, io farei lo stesso, poi mi stringe nel suo abbraccio, cerca di comunicarmi affetto e forza, ed io tento di assimilarne il più possibile perché oggi ne avrò bisogno.

Butto l'enorme plaid sul letto e vado in bagno, inizio a spogliarmi ed entro nella doccia, neanche il getto di acqua bollente sulla pelle aiuta a rilassarmi, serve solo a farmi pensare ai ricordi che ho di lui, tutto mi ricorda questi mesi vissuti insieme.

Maledizione.

Mai avrei creduto di potermi ridurre così per un uomo e di certo dovrà essere lui a sentirsi uno schifo, non io, dovrò andare avanti con la mia vita, risollevarmi da terra e non permettergli di vedermi a pezzi e goderne.
Penserebbe che, come una sciocca ragazzina, abbia creduto facilmente di poter guarire con la forza del mio amore un uomo rotto, come succede solo nelle commedie romantiche.
Perché lui è questo in fondo, lo sappiamo entrambi, ma mi ero illusa che stesse combattendo per sé stesso e per me.

Mi decido ad uscire da questa doccia e finire di prepararmi, continuo ad evitare di incontrare la mia immagine allo specchio per timore di vedere il disastro che sono, ma purtroppo prima di uscire dovrò farlo.
Mi vesto velocemente, so che dovrei curare nei minimi dettagli il mio look per fargli credere, quando lo incontrerò nei corridoi dell'azienda, che sto bene, che non mi ha spezzata, ma non ne ho molta voglia, per oggi ho solo bisogno di superare la giornata.

Mi fermo davanti lo specchio del comò della mia stanza, che ho tanto evitato in questi giorni abbassando lo sguardo ogni volta che mi trovavo nella sua traiettoria, mentre ora fisso il mio riflesso.
Occhi spenti, avvolti da occhiaie scure che necessitano urgentemente di correttore, direi tre chili, forse sarebbe l'ideale anche mettere un filo di matita e ombretto per ravvivare lo sguardo, perché potrebbero spaventarsi in ufficio.

«Erik mi scambierà per uno zombie se non metto anche un po' di blush a queste guance quasi grigie.»
Sussurro fra me e me picchiettandomi sul viso degli schiaffetti con la speranza di ritrovare un po' di colore.

Dopo quindici minuti di restauro allo specchio, sono già in macchina in viaggio verso l'azienda, l'ansia attanaglia il mio stomaco stringendolo e contorcendolo per tutto il tempo, percepisco quasi un senso di nausea quando parcheggio al solito posto.
Resto per qualche istante ancora con le mani sul volante, lo stringo con tutta la forza e respiro profondamente.

Non so se sono pronta a rivederlo, a percepire di nuovo nei suoi occhi l'assenza di un sentimento che ora so di aver solo immaginato, ma basta piangersi addosso, devo trovare il coraggio di reagire e tornare alla mia vita prima di lui.
Un passo alla volta e questo dolore svanirà, come il suo ricordo, come questo amore.

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