03: Smoke.

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Ero fuori, l'aria congelata entrava nella mia felpa, ma non mi interessava, volevo, dovevo fumare, lo stress era salito a mille e non sapevo il perché, anche se questa doveva essere la giornata più bella di 'sto mondo. Mi sedetti a terra e portai le gambe sotto al mento cercando di riscaldarmi e mi appoggiai al muretto di quell'edificio che tra poco accoglieva, si fa per dire, le urla di bambine eccitate alla vista di due ragazzi che buttano la loro rabbia, la loro tristezza nascosta, la loro vita di merda in rima su un foglio, ma so belli quindi a quelle stronzette che stanno dentro non interessa. Presi la sigaretta dal pacchetto delle mie amate marlboro rosse, ma alla loro vista imprecai, avrei accolto con più piacere una cazzo di canna in quel momento. Capii poi che il nervoso era salito dal momento che avevo visto quelle ragazzine, che a differenza mia, quei due le avevano fatte solo arrapare, mentre a me avevano salvato da una vita del cazzo, leggendo e riuscendo a capire ogni loro parola. Senza rendermene conto urlai "ma una canna niente?", mi tappai la bocca in ritardo con le mani. Come non detto attirai l'attenzione di qualcuno, non accennai neanche ad alzare la testa per capire chi fosse. Non avevo voglia di fare altre conoscenze, ma a lui non importava, un paio di Cinzia Araia nere erano lì accanto a me, ma neanche se m'avrebbero obbligato avrei alzato la testa. Prendo l'accendino lo portai alla sigaretta e l'accesi.
X: ho sentito che vuoi 'na canna.
Sentii un'ironia pazzesca in quella voce, ma la cosa mi irritò solo, un'altra ragazza al posto mio sarebbe arrossita, ma già il fatto che volevo 'na canna doveva far capire che ragazza ero. Feci per muovere il labbro come se lui potesse vedermi.
X: oh...sociale la ragazza, comunque ne 'sto fumando una ora se vuoi te la passo, ma stai attenta è pesante.
Io: dai qua. Se è pesante mi fai solo un piacere.
Alzai il braccio e continuai a non girarmi. Buttai la sigaretta e portai alle labbra la canna, sentendo il fumo bruciarmi la gola, ma la cosa mi dava stranamente sollievo. La finii nel silenzio tombale, era forte, ma non che mi interessava. La buttai in un tombino alla fine del marciapiede senza neanche alzarmi.
X: prego comunque.
Io: si, scusa, grazie. Non so che mi prende eppure dovrei essere felice.
X: perché?
Io: oggi dopo 6 anni vedo le persone che mi hanno fatto stare bene per tutto sto tempo, ma forse le urla di quelle ragazzine mi hanno irritato più del dovuto.
Il ragazzo fece una risatina.
X: io ora devo andare ragazza dal volto sconosciuto.
Io: addio ragazzo dalle Cinzia Araia nere.
A quelle parole lui se ne andò e il mio cuore perse un battito, quella voce, quelle scarpe. No, ero troppo fatta per capire se era la voce di Giulio, e quelle scarpe poteva averle chiunque, così scacciai quel pensiero alzandomi di scatto e cercai di entrare dentro barcollante con un ghigno che non si levava dalla mia bocca.
Io: 'rcoddue mamma, giusto.
Così prima di entrare la chiamai sentendo le solite domande rompi coglioni. Staccai e finalmente raggiunsi Martina e Federico dentro.
-continua-

Beautiful disaster || LOWLOWDove le storie prendono vita. Scoprilo ora