capitolo-18

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Jimin's pov

-Ferma! Ti prego- urlai piangendo. Non volevo più provare quel dolore, non ne avevo la forza. Provai a ribellarmi scalciando, mi aggrappai alle sue braccia e le graffiai con le unghie, lasciando lunghi solchi rossi sulla sua pelle.

L'esame ormai era finito da quasi mezz'ora, i miei compagni se ne erano andati, ognuno era tornato a casa, dai propri genitori o amici, la loro vita continuava indifferente da ciò che mi sarebbe successo in quel bagno. A quest'ora avrei potuto essere nel mio piccolo appartamento, magari avrei potuto prendere una coperta e mettermi a dormire o avrei potuto mangiare del ramyeon come facevo da piccolo, quando io e mio fratello tornavo insieme a casa.

Invece ora sono solo, in una schifosa latrina, con una pazza sul mio corpo a trattarmi come se fossi stato il niente più assoluto, senza un nome o un'identità, solo un pezzo di carne con cui sfogarsi.

Entrambi piangevamo.

Lei lasciava scorrere lacrime amare sulle sue guance rosse, che avevo sempre trovato bellissime da giovane, quando la vidi la prima volta. Ogni suo movimento era confuso, non sembrava calcolato o soppesato, al contrario partiva da un istinto animale di rabbia e delusione che non capivo.

Singhiozzava lentamente schiaffeggiandomi.

Trovavo la mia figura estremamente imbarazzante e umiliante. Non riuscivo ad allontanarla o reagire, mi lasciavo prendere a schiaffi dalla sua mano aperta in pieno viso, come un bambino piccolo che viene punito perché ho fatto una sciocchezza di troppo. I miei non l'avevano mai fatto ma probabilmente era così che si sentivano tutte le dolci creature che venivano messe al mondo per poi essere picchiate non appena superavano il limite che gli veniva imposto.

Eppure avevo diciotto anni, ero indipendente, studiavo diligentemente e sorridevo ogni giorno. Il mio unico errore era di non essere forte, una preda facile da attaccare.

Piangevo perché mi sentivo umiliato.

La mia maglietta era spiegazzata e le maniche arrotolate sui gomiti stavano lentamente cedendo ai miei movimenti sconnessi, tornando ad ostruirmi i polsi e le mani. I miei capelli assomigliavano probabilmente ad un cespuglio di rovi, scompigliati mi ricadevano sulla fronte sudata.

Il viso era rovinato dalle lacrime e le piccole macchie rosse che stavano iniziando a nascere sulle mie guance come fiori in un campo.

Sentivo la pelle tirare e bruciare dove la sua mano colpiva, provavo a proteggermi ma era inutile.

Aspettai che si sentisse soddisfatta e quando finalmente mi tolse le mani di dosso cademmo entrambi sul pavimento.

Lei sembrò riacquistare lucidità perché mi guardò con compassione e pietà per poi avvicinarsi con movimenti cadenzati.

Non feci niente e la osservai portare le sue mani al mio viso per scacciare le lacrime con l'angolo della sua felpa blu.

Mi sorrise affranta e in un sussurro mi disse:

-Scusa, non vorrei...-

Assunsi un'espressione confusa e senza capire cosa intendesse Kyong le chiesi:

-Cosa inten-di? Potre-sti benissimo fermarti-

Lei sospiro e si appoggiò al muro di fianco al mio corpo stremato.

Si girò verso la borsa che aveva lanciato nel lavandino non appena era entrata e la osservò

"-Park dobbiamo parlare-

-Non voglio Kyong, stammi lontano-

Lei lasciò schioccare le ossa del suo collo e poi mi osservò con occhi rossi folli.

ᴍᴀғɪᴀ- уσσимιиDove le storie prendono vita. Scoprilo ora