[ᴍᴀғɪᴀ] "Era notte quando lo vidi per la prima volta. Poggiato ad una panchina del parco, le dita tra i capelli... Sembrava distrutto. Delle piccole gocce di sangue rigavano i dorsi delle sue mani incallite. Mi sarei dovuto spaventare guardandolo, l...
Correvo affannato, senza mai fermarmi, accecato da mille emozioni e sensazioni. Sentivo una tempesta infuriare nel mio cuore e la mia mente era stretta dentro catene di elucubrazioni che mi avevano tenuto sveglio per tutto il giorno. Una figura si impossessò del mio stomaco mentre continuavo a correre, rossa, scura, bruciava e sembrava voler scoppiare con tutte le sue forze ma sapevo che era solo emozione. Mi ero preoccupato così tanto che ormai mi sembrava di poter impazzire, ogni ragione abbandonò il mio corpo e si trasformò in energia che usava per andare ancora più veloce, più rapidamente.
Avevo lasciato casa sua da ormai ventotto ore, eppure ne sentivo già la mancanza. Mi ero legato a quel piccolo ragazzo giovane e forte, innocente e impiccione. Eppure in quel momento non riuscì a pensare a lui, anche se mi fossi sforzato saremmo rimasto per sempre dentro di me quel sentimento di contentezza che mi assaliva a tal punto da farmi scordare di Jimin, il mio angelo.
Forse se mi fossi fermato a pensarci qualche secondo in più, avrei capito quando strano fosse averlo associato ad una figura divina di tale importanza, quando lui era solo un ragazzino pieno di insicurezze e mostri, ma non lo feci e continuai a muovermi.
Ero stato chiamato qualche minuto prima da Namjoon, che con un sospiro mi rivelò del risveglio improvviso di Si Wool, da quello che mi era sembrato un coma durato un solo secondo, ma che aveva occupato quasi tre giorni delle nostre vite, che lui non riuscirà mai più a recuperare e che io non potrò mai ridargli. Non mi sarei sorpreso se lo avessi trovato incazzato come una iena. Il suo lavoro lo aveva messo in pericolo più volte, ma qualcuno ha sempre guardato le sue spalle, ogni volta che si feriva trovava un amico pronto a sorreggerlo. Quella volta è stato in qualche modo lui ad aiutarmi, rischiando la sua vita per tenermi in vita. O almeno questo è ciò che mi piace pensare. Ormai ero diventato così bravo a fingere che fosse tutta colpa mia. Era molto più semplicemente di quanto si possa pensare, darsi ogni colpa e punizione per errori che non si ha nemmeno il desiderio di analizzare. Se lo avessi fatto probabilmente avrei capito che Si Wool non aveva rischiato niente per me, ma come un codardo mi aveva chiamato in preda all'isterismo chiedendo di mostrarmi al Capo. Mi aveva venduto per la sua vita, aveva lasciato che prendesse i miei soldi senza combattere, ma guadagnando solo un dolore che aveva provato ad evitare. In qualche modo mi aveva tradito, ma adoravo pensare che mi amasse come un fratello e che si fosse sacrificato.
Forse questo era il mio unico modo di rimanere aggrappato alla realtà che anche io meritavo di vivere dopo tutti i miei errori e ancora è forse per questo che mi stringevo in quel modo patetico a Jimin. Volevo sentirmi amato e desiderato abbastanza da continuare a soffrire.
Con questi pensieri in testa e altri milioni a cui avrei pensato in dopo, allungai il passo.
Un passo dopo l'altro, mia avvicinavo sempre di più alla mia metà, quella clinica clandestina grigia e usata dal tempo.
Destra, sinistra, destra sinistra. Correvo
Mi schizzai la giacca poggiando un piede dentro una pozzanghera scura, colma di acqua sporca di un colore marrone, sporcato da macchie nere e d'olio motore. Ma non mi importava, avevo altre priorità.
Contavo i secondi che passavano, frustato, realizzando che andavano ad un ritmo più lento di quanto avessi desiderato.
Provai ad andare più velocemente, finendo per perdere l'equilibrio e cadere sull'asfalto nero, rovinato negli anni dalle ruote delle auto e i fenomeni atmosferici da cui non poteva proteggersi. Probabilmente era messo peggio di me quell'asfalto scuro.
Mi rialzai e determinato raggiunsi la clinica.
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Suonai ripetutamente il campanello all'ingresso. Un pezzo di ferro colorato come una piccola pepita d'oro e maltrattato come uno dei peggiori criminali, pestato dalle mie dita ripetutamente, nella speranza che colpendolo più volte mi avrebbero aperto più velocemente; mi sbagliavo.
Uno strillo acuto e fastidioso continuava a riecheggiare per le mura di fronte a me, ma nessuno mi raggiungeva; quindi, iniziai a tirare calci alla porta, con sguardo torvo, fino a quando non mi aprì la ormai assistente di Namjoon, in prova da qualche settimana, che avevo visto di sfuggita dopo essere andato in clinica dopo un pestaggio.
La donna, stretta nel suo vestitino da mancata infermiera, mi osservava con denotante diffidenza e dopo uno sbuffo mi fece spazio, lasciandomi entrare.
-Lo abbiamo portato al piano di sopra, fai le scale a destra ed entra nella stanza numero ventitré-
-Certo-
Scuotendomi la polvere che si era poggiata sui miei vestiti nella caduta iniziai a salire, parlottando rumorosamente tra me e me sulla donna.
-In silenzio, prego-
-Ovvio...- dissi a denti stretti, senza nemmeno guardarla.
Salii le scale e corsi incontro alla porta che mi era stata indicata. Provai ad aprirla e non appena abbassai la maniglia mi si presentò agli occhi una camera verde, piccola ma accogliente, molto più della sala dove avevo lasciato il mio amico.
Sembrava essere una cameretta per i bambini, probabilmente quando Namjoon aveva affittato quel posto non era adibito a clinica, ma era una normalissima casa, quindi non mi stupii.
C'erano dei giochi in fondo alla camera, ricoperta interamente da un parchè in legno, riscaldata dalla presenza di un grande termosifone bianco, ma ancora più bello era il lampadario in ferro battuto, che conferiva alla stanza un calore confortante.
-Se hai finito di osservare sono qui, Min-
Poggiai i miei occhi sulle due figure di fronte ai miei occhi, Si Wool seduto con la schiena appoggiata alla testata del lettino d'ospedale, coperto da calde coperte e un pigiama a righe blu, era pulito e non portava più i suoi anelli alle dita, che erano state sistemate come i suoi capelli, le ferite erano state ricoperte da cerotti e i lividi sembravano spariti.
La medicina fa miracoli, sembrava un'altra persona, serena, felice... quasi normale.
Mi scordai un attimo del fumo che avevamo condiviso, la droga scambiata e gli affari e mi concentrai sui suoi occhi... era un ragazzo così giovane, dove lo stavo trascinando?
Poi passai a Namjoon, che portava come l'infermiera un lungo camice bianco, e una magliettina a maniche corte azzurra, la mascherina che di solito lo accompagnava era stretta al polso e sembrava sereno anche lui.
Sorrisi e mi fiondai tra le braccia di Si Wool.
-Mi sei mancato-
-Ti ho lasciato qualche giorno e mi diventi così affettivo? Non me lo aspettavo-
-Smettila-
-Non devi dirmi nulla?-
Lo osservai con sguardo indagatore, per poi arrendermi ai suoi occhi stretti in due fessure minacciosi.
-Scusa?-
-Esatto... e anche io te lo dico, scusa, avrei dovuto proteggerti... mi spiace-
-Va bene così, io sto bene-
Mi guardò preoccupato per poi mordersi la lingua in bocca, provando a nascondere l'agitazione.
-Sai che ritorneranno a vendicarsi per l'imbroglio dei soldi? Yoongi?-
-Lo so... li sto aspettando, sono pronto ormai-
Namjoon mi fermò quando provai a sedermi sul lettino del mio amico e mi allontano, prendendomi per un polso. Poi mi diede una pacca dietro la schiena e iniziò a parlare.
-Dove sei stato?-
-Io?-
-Si Yoongi, tu... quando lui era incosciente dove eri? Mi hanno detto che non eri al parco l'altro giorno-
Cazzo, mi hanno scoperto? Sanno di Jimin?
-Ero a farmi un giro...-
-Dove? Ti hanno visto vicino ad un quartiere universitario-
-Camminavo... pensavo alla mia vita prima di tutto questo e provavo a nascondermi dal Capo, lo sai...-
-Ti crederò, ora vi lasciò, avete molte di cui parlare lo sapete, ciao ragazzi-