[ᴍᴀғɪᴀ] "Era notte quando lo vidi per la prima volta. Poggiato ad una panchina del parco, le dita tra i capelli... Sembrava distrutto. Delle piccole gocce di sangue rigavano i dorsi delle sue mani incallite. Mi sarei dovuto spaventare guardandolo, l...
Entrammo nella stanza, perseguitati da un velato disagio, che ci aveva seguito dal momento stesso in cui iniziammo a parlare con Taehyung.
L'ufficio del Capo era grande e spazioso, un luogo che esprimeva calore e calma. Le pareti portanti erano nude, ruvide e nere, mentre il muro dove si trovava la porta d'ingresso era decorato con una particolare tecnica pittorica, la decalcomania. Non c'erano vetri o lampade che potessero far passare la luce, eppure riuscivamo a scorgere ogni dettaglio di quella stanza. I mobili erano anch'essi neri, sembravano tristi e deprimenti, rendevano il luogo decisamente meno caloroso. Al centro risiedeva un tavolino sottile, dove poggiava un sintetizzatore hakeen continuum. Sul fondo della stanza, infine, giaceva una larga scrivania in legno, dove poggiavano vecchie cornici a cui non feci caso in quanto sembrava che il legno conservasse l'energia dell'albero da cui proveniva. Si sentiva una forza provenire da quel mobile, che attraeva le persone, le portava a domandarsi chi vi sedesse dietro.
Senza accorgermene feci un passo e in seguito un altro, dritto verso quella scrivania.
-Non toccare- senti il giovane Kim, prendermi per il polso, fermando la mia avanzata.
-Al Capo non piace che le altre persone tocchino ciò che non è loro-
-Così cliché. È un musicista anche lui?-
-Sì, o almeno lo era. Comunque è una donna- Jimin interruppe improvvisamente la conversazione iniziando a parlare, raccontandoci la storia di quella figura misteriosa -Dicono che sia apparsa dal nulla nel locale, una notte. Alcuni ricordano che si sedette al pianoforte e iniziò a suonare da sola, senza ascoltare nessuno. Le note sembravano così lontane e distanti, come se stesse suonando per qualcuno che aveva perso e la musica non fosse veramente destinata alla sala. Quando il vecchio proprietario la sentì le chiese di restare. Lei lo fece e quando lui morì, decise di portare avanti l'attività. Da quando il vecchio possessore se ne è andato nessuno l'ha più sentita suonare. È un onore poterle parlare per noi, perché non si fa nemmeno vedere in sala-
-È come un fantasma, insomma- finì Taehyung, cercando di incutere timore
Però io non provavo paura, vivevo con molti fantasmi al mio fianco. La donna mi incuriosiva, sembrava qualcosa di proibito e impossibile da raggiungere, e a me intrigava solo di più.
Le figure che si nascondevano dietro alle proprie mura erano quelle che proteggevano più segreti, le più facili da ricattare e le più difficili da capire.
-Chi state aspettando?-
Ci girammo tutti contemporaneamente, cercando di dare un volto alla voce che aveva appena parlato, scovando una donna di almeno quarant'anni che ci osservava in piedi, sulla porta. Il suo volto era così familiare che quasi sussultai, aveva capelli neri come la cenere, lunghe ciglia nere che contornavano degli occhi marroni come la terra, il fango. Emettevano un'aura pauroso attorno alla figura femminile, che con il suo sguardo sembrava avere tutto sotto controllo. Quello era il suo regno e nessuno poteva attaccarla dove lei primeggiava. Il suo corpo era snello, i fianchi larghi e il seno prosperoso mi ricordavano la mia adorata madre, che avevo abbandonato.
Sentii il bisogno di rifugiarmi vicino a quella donna, e mi sarei anche sfregiato il viso con dei pugni se non avessi visto lo sguardo della signora vacillare per qualche secondo, mentre mi osservava.
-Lui chi è? Non lo conosco-
Jimin e Taehyung fecero un piccolo inchino, mettendosi da parte e lasciandola entrare. Poi il signorino Kim prese parola, trovando il coraggio che Jimin sembrava aver perso.
-È un ragazzo che abbiamo trovato, un nuovo talento...- Taehyung sussurrò, cercando l'approvazione negli occhi del dolce giovane al suo fianco.
-Sì, l'ho trovato io. Stavo... suonando in un parco quando l'ho sentito, è bravissimo. Le assicuro che se lo farà provare non la deluderà- per quanto decisi i due ragazzi non sembravano riuscire a convincere la donna con le loro parole. Quindi con un sospiro provai ad usare più acutamente la mia voce.
-Mi chiamo Min Yoongi, Samonim. Mi è stato raccontato che lei un tempo suonava, così sono venuto per ascoltare io stesso la sua musica, e in cambio permetterle di sentire ciò che posso offrirle. Cerco un lavoro stabile e spero che lei mi possa aiutare- finito di parlare mi inchinai, con rispetto.
-Certo, ne sono sicura. E perché mai dovrei suonare, è lei che cerca lavoro giovane-
-Non lo nego, ma sapere di essere in buone mani mi rassicurerebbe. Suono da quando sono molto piccolo e mi aspetto di trovarmi in un ambiente di alto livello per potermi esprimere-
Lei sorrise leggermente, portando una mano alla bocca per coprire le sue labbra e infine mi disse:
-Non suonerò io. Ho perso questa capacità molto tempo addietro, quando il mio cuore mi è stato strappato anche il mio dono musicale è sparito. Ma posso assicurarti che il locale dove ti trovi, per quanto poco popolare, detiene alcune delle migliori gemme del paese-
-Quindi lo lascerò provare, Capo?-
-Sicuramente Jimin, non avrebbe senso perdere un'occasione quando mi si presenta calda di fronte agli occhi. Lasciatelo suonare. Scendiamo assieme, questo non è il luogo adatto per fare una conversazione, ricordatelo anche in futuro. Taehyung ti avevo già chiesto di non portare nessuno-
-Mi scusi-
-Ricordalo la prossima volta, è tu Yoongi... non chiamarmi Samonim. La tua presentazione mi è piaciuta, ho rispetto di te e se riuscirai a convincermi con la tua musica non ci sarà bisogno di trattarmi con più rispetto di una semplice compagna-
-Grazie-
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Ci dirigemmo ancora più imbarazzati di prima verso la sala del locale. Era di un nero morbido, pronto ad avvolgerti, mentre il piccolo palco dove dimorava un maestoso pianoforte a due quarti di coda, era di un blu scuro. Lo strumento era un C3 Yamaha ricondizionato. Sembrava un'opera d'arte, il suo colore brillante e il bianco dei tasti mi emozionavano. Era così bello che l'intera sala, dove nascevano come fiori una ventina di tavolini, passava inosservata. Niente più aveva valore quando un pezzo di storia, probabilmente del 1970, giaceva davanti ai nostri occhi. Sembrava sapere tutto quello che accadeva, pareva che avesse una vita propria. Quante storie aveva sentito, visto e quante ne aveva suonate. Invidiai il fatto che dopo tutto quel tempo potesse ancora essere lì, forte, pronto a raccontarne di nuove, così come avrei voluto fare io.
Due lumi erano appesi alla cassa esterna e rischiaravano la tastiera con la luce rossa e arancione del piccolo fuoco. Le dita fremevano anche solo per poter passare i polpastrelli sulla superfice fredda del pianoforte.
-Prego, Yoongi. Dimostrami questo tuo talento- disse la donna.
Sorrisi senza timore e mi misi seduto sullo sgabellino in pelle lì accanto. Le mani tremavano a causa dell'emozione di poter finalmente toccare un pianoforte dopo così tanto tempo, mi sentii consumare dalla gioia, ma non ci feci caso. Usai quelle emozioni così forti per dare tutto me stesso nel brano che decisi di suonare.
The Sound of Silence invase la stanza, con le sue note tristi e malinconiche. Paul Simon, l'autore disse di aver avuto l'ispirazione per questa canzone all'età di 21 anni, mentre era seduto in bagno con le luci spente e il silenzio attorno a lui, solo con il rumore dell'acqua che scorreva lenta. Voleva catturare la sensazione di questi momenti di solitudine, la capacità di ricreare un momento perfetto con uno strumento.
E probabilmente ci riuscì perché quella sera, mentre suonavo, in due ci abbandonammo alla musica.
Io e quella misteriosa donna.
Forse avevamo entrambi perso qualcosa, oppure semplicemente adoravamo il silenzio, non saprei cosa dire. Ma chiudemmo gli occhi e lasciammo che le note ci portassero lontano, in un luogo dove nessun suono poteva raggiungerci, dove potevamo finalmente essere liberi dai nostri mostri.