capitolo-38

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Guardai, senza alcuna energia, la ragazza incespicare nei propri passi mentre, senza tentennamenti, si allontanava dalla classe. Mi sentivo fiaccato di tutte le mie forze, quindi il pensiero di rincorrerla non passò nemmeno per la mia mente; non ne valeva la pena forse.

Kyong non esitò a scappare da me, così come io avevo fatto molte volte in passato alla sua sola vista. I suoi capelli ondeggiavano dietro alla sua schiena, colpendola e frustandole il volto, ma non per questo fermò la propria corsa.

Prima di poterlo realizzare mi ritrovai solo nell'aula, a farmi compagnia la mia angoscia e la mia tormentosa incertezza. Mi voltai in cerca dell'orologio realizzando che fossero ormai passati venti minuti dalla fine delle lezioni. Sospirai esausto, passando una mano sul mio viso, cercando di allentarne i muscoli contratti. Sentivo la mascella stringersi, portandomi a digrignare i denti, le sopracciglia inarcarsi nel tentativo di evitare di lasciar colare sul volto calde lacrime e le narici allargarsi in cerca di aria.

La stanza attorno a me sembrò così triste e malinconica, come se stesse soffrendo perfino lei del dolore di Kyong. Lanciai uno sguardo al mio banco, dove avevo lasciato la zaino, chiuso e sistemato. Mi avvicinai con passo pesante, cercando di non pensare a ciò che era appena successo, per poi raccogliere la cartella.

Non appena mi abbassai, però, un oggetto in metallo colse la mia attenzione, portandomi a seguire il suo riflesso fino a quando non vidi la lametta che la ragazza aveva preso poco prima.

La osservai interdetto. Certamente non la avrei restituita alla giovane, molto più probabilmente avrei dovuto lasciarla sul pavimento polveroso della classe, nascondendola sotto una sedia. Eppure la paura di far scoprire a qualcun altro quel sangue denso di cui era ricoperta la lama, mi assillava, non potevo fare a meno di pensare a quanto debole dovesse sentirsi Kyong e a quanto quell'oggetto la aveva resa tale. Questo rappresentava l'oscuro segreto di una ragazza che aveva appena toccato il fondo. Immaginai dei granelli di sabbia disperdersi nelle profondità del mare. Lentamente volteggiavano verso il fondo, raggiungendolo con delicatezza. In poco tempo a discendere sono in sessantacinque, poi cinquantasei...trentanove, fino a quando non toccano tutti il fondale marino.

La ragazza lentamente stava perdendo ogni sua sicurezza, passione e resistenza, finendo per affondare lentamente in quell'acqua nera che era la tristezza.

Scossi la testa, cercando di ritornare presente a me stesso. Presi la lama, di materiale simile alla forcina che aveva usato per percuotermi, e la misi in tasca. Indossai la mia giacca e mi diressi verso l'uscita dell'università, attraversando i corridoi spenti.

Non appena lasciai l'edificio iniziai a camminare nel centro del giardino scolastico, ascoltando il crepitio delle foglie che venivano calpestate dalle mie suole. Raggiunsi in poco meno di cinque minuti le scale che mi avrebbero condotto alla fermata e poco dopo fu buio totale.

Mi sporsi dalla finestra, osservando le nuvole grigie che sovrastavano il cielo

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Mi sporsi dalla finestra, osservando le nuvole grigie che sovrastavano il cielo. I brividi ricoprivano il mio corpo a causa del contrasto fra il piacevole tepore delle coperte con cui mi ero avvolto e il freddo della mattina che accarezzava il mio volto. Novembre ormai stava per aprire le porte a dicembre e l'autunno era gelido a nord, nelle città interne, con diverse gelate notturne che rendevano il clima pungente. Sbadigliai stanco, curiosando per le strade di Busan, fino a quando lo squillo del campanello non distolse la mia attenzione da esse.

ᴍᴀғɪᴀ- уσσимιиDove le storie prendono vita. Scoprilo ora