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Infastidita per il sole apro gli occhi, sotto di me un corpo che respira e ancora frastornata ascolto i battiti del suo cuore.
La prima cosa che vedo è Matteo, viso contro viso e io completamente sopra di lui, mentre lui mi tiene ferma con un braccio sulla mia vita. Cerco di ridestarmi, mi alzo senza svegliarlo ed esco senza neanche cambiarmi i vestiti. Confusa esco in strada, faccio un respiro profondo non rendendomi minimamente conto di come ho fatto a scendere le scale .
Mi giro e mi guardo intorno, le persone che mi sorpassano, gli alberi spogli e come un robot, senza controllo, vado verso al bar.
Apro la porta e vedo Mario sul bancone quasi ad aspettarmi . Guardo verso l'orologio appeso alla parete e noto che sono le nove.
"Scusa il ritardo" dico subito mentre indosso il grembiulino appoggiato al manico della lavastoviglie.
"In realtà non mi aspettavo che venivi"
"Oggi non è il mio giorno libero" dico ovvia " dopo tutto quello che è successo questi giorni, mi sono meravigliato che venissi"
"Sei troppo buono con me"
"Sono umano, è diverso. Prima sei stata male, poi tua nonna e quel ragazzo che da qualche tempo ti gironzola sempre in torno" dice malizioso.
"Come fai a sapere di Matteo?"
"Vi ho visti entrare in casa mentre chiudevo il bar"
"Ah" rispondo semplicemente non sapendo realmente cosa dire o cosa pensare.

Io e Matteo siamo strani, due persone completamente diverse con due obbiettivi diversi, il mio è sopravvivere e il suo vivere. Siamo due cuore e due cervelli che lavorano in modi diversi, due battiti non in sincrono.
Come possiamo essere così diversi per poi esser così uguali? Vedo nei suoi occhi dolore, quasi quanto i miei, è solo che lui lo sa nascondere meglio.
Ci vedo il riflesso della mia anima e dei miei sentimenti. Ci vedo tutto in lui, è solo che preferisco essere cieca.

Come ho fatto ad arrivare a questo punto?

Penso mentre mi faccio un caffè , appoggiandomi al bancone. Come ho fatto ad arrivare al dolore che ho provato quando ho lasciato le sue braccia questa mattina? Come ho fatto a ritrovare la speranza di vivere? Come ho fatto a ricominciare a respirare e a provare un'adrenalina da farmi, a tratti cedere le gambe.

È riuscito nel suo intento, con i suoi piccoli gesti è entrato in me, facendomi credere di essere speciale per un secondo, perché il secondo dopo già me ne sono andata. Ma è bastato quel secondo per farlo rimanere impresso nella mia testa.

"Pensierosa?" Mi ridesto grazie a una ragazza seduta al bancone e mi limito a guardarla in attesa "un ginseng, per favore" la guardo meglio, capelli mori e lunghissimi, occhi scurissimi come due buchi ner e delle labbra carnose. Con un aspetto esotico, quasi indiano.
"Ecco a lei" dico appoggiando la tazzina davanti a lei " Sei cambiata Alice"
"Come ci conosciamo?" Dico confusa.

Perché non mi ricordo di lei?

"so quello che stai pensando e non ti biasimo. Come fai a non ricordarti di me però, se rifletti posso scommettere che non ti ricordi neanche un nome dei nostri compagni del liceo"

"non è vero"

"ah si? non ti ho mai visto parlare con uno di loro, mai chiamarli per nome e mi meraviglieresti se realmente ti ricordi almeno un nome" e abbasso lo sguardo "non ne avevo bisogno"
"Lo so, eri stata definita asociale, ma sapevamo tutti che realmente te eri lì per un stramaledetto diploma e non per trovare amicizie false da portare avanti"
"Chi sei?"
"Drisya" un flashback mi colpisce, la ragazza che stava sempre seduta in fondo sull'angolo sinistro della classe, che nessuno calcolava.
"io non capisco" e scuoto la testa "non serve che capisci. Adesso devo andare" e fa per girarsi, una volta finito il suo ginseng " No aspetta" faccio per fermala "almeno dimmi dove ti posso trovare"

"lavoro in un piccolo supermercato aperto tutta la notte, l'unico che è aperto in questa maledetta cittadina di merda" e chiude la porta dietro di se.

Mi sento una merda in questo momento, non me ne sono mai accorta di aver allontanato tutto e tutti da molti anni a questa parte, e questa ne è la prova concreta. Convivo con il pensiero che sarà per sempre una mia indole.

Continuo a ripetermi che quello che diceva Drisya è la verità, del mio liceo a me non fregava nulla dei miei compagni . Non mi ricordavo il loro nome, passavo le giornate seduta sul mio banco, ad aspettare la ricreazione per andare da Jonny e Alex , gli unici di cui mi importa realmente qualcosa. Non mi importava fare conoscenze, non mi importava parlare o discutere o persino fare una cena di classe. Quando l'ultima anno era finito, all'esame finale ho mandato tutti a fanculo, specialmente i professori con la loro gentilezza stucchevole. Me ne sono uscita da quella scuola a testa alta per poi andare a lavorare con Mario.

Mi sale la malinconia pensando a quante opportunità mi sono preclusa per credere ai miei ideali, non mi importava di loro ma potevo cercare di conoscerli. E invece in tutti quegli anni non ho fatto altro che chiedere le porte in faccia alla gente, tutti quei discorsi chiusi, quegli inviti a delle feste mai andata, quelle battute a cui non ho mai riso perché non mi importava.

Sono triste e noiosa ma non ho mai avuto il bisogno e la voglia di conoscere nuove persone, perché di belle già ne conoscevo e non mi è mai pessato questo pensiero per la testa tranne adesso, sentendomi sola e con qualcosa dentro che non va.

Continuo a lavorare cercando, invano, di tenere a freno i miei pensieri, servendo clienti dopo clienti e cercando di ignorare le chiamate perse di Matteo e i suoi messaggi preoccupati.

Volevo rispondergli, ma decido di darci un taglio e allontanarmi come avevo fatto da tutta la vita con tutte quelle persone che ho conosciuto.
Ho sbagliato e sbaglierò, perché sono umana ma non mi importa, e metto in modalità non disturbare il telefono non prima di aver letto in anteprima i suoi messaggi .
Sopprimo un sorriso e continuo a lavorare fino alle sedici.

Esco dal bar e seduto sulle scale del mio condominio trovo Matteo, e cerco di ignorarlo mentre gli passo di fianco.
"Alice"
"Matteo non ti avevo visto" dico falsamente, perché lo avevo visto e come " almeno le mie chiamate e messaggi li hai visti?"
"Stavo lavorando non ciò fatto caso" e cerco di aprire il portone con le mani tremanti "mi dici che cos'hai?" dice mentre appoggia le sue mani sulle mie che cercano di infilare le chiavi nella toppa.
"Non ho niente"
"Non mi sembra" costata ovvio "allora ti sembra sbagliato"
"Mi dice che cos'hai e non mi rispondere niente perché non è vero. Ti conosco più di quanto tu immagini Alice e più cerchi di evitarlo più diventa inevitabile. Lo sai e lo so"
"Non ho nulla " ritento seria " almeno mi dici perché non mi hai risposto"
" non ho visto le tue notifiche" dico alzando la voce "guardati Alice, questa non sei te. Perché fai così? Perché neghi l'evidenza. Abbiano dormito insieme cosa c'è di male?"
" io non faccio proprio niente" e apro il portone, cominciando a salire le scale, con lui alle mie calcagna " e poi io dovrei essere arrabbiato con te, sei uscita senza dirmi niente, senza lasciare un misero biglietto e mi sono preoccupato. Capisci Alice che non esisti solo te e la tua mania di allontanarmi?" E alza la voce anche lui " sono uscita e basta non pensavo che volevi che ti scrivessi un bigliettino" sento che su ferma mentre sale con me le scale.
"Adesso ho capito quello che è successo"
"Cioè?" Dico incuriosita, fermandomi una volta arrivata sul mio piano "ti sei impaurita" e ride. "impaurita di cosa?" Dico dubbiosa.
"Di noi. Guardati neanche mi guardi in faccia, svii ogni mio contatto. È ovvio"
"È meglio che ti fai guardare da uno psichiatra"
"Meglio che lo fai te, perché non hai capito che con tutti questi futili tentativi di allontanarmi mi piaci di più. " e sospira "perché è vero. Mi piaci Alice, e so che non è stata la coincidenza a farci incontrare. Siamo fatti per stare insieme e non ci puoi fare nulla perché, anche se cerchi di allontanarmi mi trovi sempre li, ad aspettarti seduto davanti alla tua porta" sospiro rassegnata "guardati adesso, sei bellissima mentre reprimi un sorriso causato da me " continua, dandomi il colpo di grazia.
"Voglio farti una domanda però, adesso cerchi di allontanarmi, ma arriverà un giorno che me ne andrò veramente, e lì cosa proverai?" E se ne va dandomi le spalle, lasciandomi vuota e ferma ad aspettarlo che ritorni da me.

Appena sento il portone chiudersi entro a casa, rilasciando un sospiro rumoroso e sedendomi sul divano. Scrivo ad Alex e Jo che non sarei venuta al parchetto e comincio a bazzicare in casa.
Pulisco, stiro quei pochi pagni lavati ed asciutti, persino spolvero e arrivate le otto di sera mi preparo una caprese, perché fame non ne ho.
Pulisco i piatti e mi risiedo sul divano, a luce spenta.

Cosa non va in me?

Mi ripeto come un mantra nella mia testa. All'estremo della mia pazzia, mi alzo di scatto, prendo il piumino, chiavi e il telefono ed esco di casa, scappando dai miei pensieri.

Fatidica CoincidenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora