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Mi stacco da lui riprendendo fiato, lo guardo cercando di captare qualche suo pentimento nel suo viso ma vedo solo beatitudine, quasi come se si fosse tolto un sassolino dalla scarpa. Mi distacco da lui e vado verso il divano, studiandomi per bene l'appartamento.

Pareti bianche e un divano grigio nel soggiorno, diversi quadri di nudo appesi alle parete, ma non solo di donne , delle vere foto artistiche per niente sfacciate. Osservo la cucina sempre sui toni del grigio e finalmente mi metto a sedere abbracciando un cuscino blu a righe appoggiato ad esso.

Lui mi segue in silenzio e si mette vicino a me, prende il telecomando, appoggiato al bracciolo del divano e accende la televisione. Mi mette il braccio sullo schienale dietro di me e silenziosi vediamo cosa fa di interessante in tv.

"Che sia chiaro, non mi sto pentendo di averti baciata, non è da me e poi, lo desideravo da non so quando tempo "
" Perché non l'hai fatto prima?" Chiedo incuriosita.
"Ho sempre avuto la sensazione che avresti potuto prendere le distanze e mi sono accontentato di qualche bacetto qua e là."
"Non è vero"
"Stai mentendo perché sai che ho ragione. Non devi vergognartene perché vorrei ricordarti che l'unica sera che abbiamo dormito insieme te ne sei andata lasciandomi nel tuo appartamento come una puttana, usata e scopata" dice facendomi l'occhiolino e leggendomi perfettamente i pensieri.
"Non è vero" cerco di ribattere "lo sai anche te che ho ragione, sei scappata dal tuo appartamento pur di non vedere la mia faccia quella mattina"
" Non sono scappata, avevo solo bisogno di pensare"
"senza offesa Alice, ma pensi fin troppo. Lasciati andare come questo bacio che ci siamo dati" e mi sorride " come ti sei sentita?"

"bene" dico imbarazzandomi "allora non scappare più da me, che un'altra volta un tuo rifiuto non lo sopporterei" dice appoggiando il suo naso sulla mia guancia e abbracciandomi con il braccio appoggiato allo schienale del divano.

"ti giuro, tu sei la prima. La prima a fammi tribolare così tanto, come un cane. La prima a dirmi di no e la prima a dirmi chiaramente che non gli piaccio, mentendo spudoratamente " dice piano quasi sussurrando, ma sentendo queste parole comincio a scuotere la testa, ma non per le parole in sé ma ripensando all'appartamento così grigio.

"non ho parole" dico solamente pensando alla mia stupidità.

DOV'E' IL CACTUS?

Penso e mi guardo in torno imparanoiata, scordandomi dove l'ho appoggiato e poi ricordo di non averlo portato con me dopo essere salita.

Con uno scatto atletico mi alzo dal divano scollandoni lui di dosso e esco correndo sulle scale, con il panico di non trovarlo più.
"Dove vai?" Lo sento gridare dal pianerotto di casa e io ignorandolo, apro il portone e lo trovo lì, abbandonato sulle scale.
Lo prendo da terra e ansimando, risalgo le scale.
Appena arrivata al secondo piano con questa piantina in mano lo trovo lì a guardarmi incuriosito .
Con un sorriso tutto denti dico:" questa è per te" e gliela porgo."per cosa nello specifico?"
"Come regalo di Natale stupido"
"Ma Natale è fra due settimane" dice guardando la pianta quasi perplesso "lo so, ma non sapevo se non mi volevi più vedere quindi te l'ho regalata adesso" dico quasi vergognandomi delle mie parole insensate.
Lui mi sorride dolcemente e mi abbraccia, soffocandomi quasi. "Allontanami quel cactus dal braccio" dice sommessamente.
"Ops" dico sorridendo, vedendo il cactus appoggiato al suo braccio.
Ci stacchiamo e lui prende il vasetto in mano per poi andare verso la cucina per appoggiarlo sopra al bancone.
"Perché proprio un cactus?" Chiede ritornando a sedersi sul divano mentre lo aspetto.
"Mi ha fatto pensare a te, a noi" dico semplicemente "perché?"
"Lo sai che gli spini del cactus servono solo per proteggersi dai predatori? Un po' come te e me."
"Credo che questa pianta descriva più te che me"
"Non è vero, tu nascondi te stesso dietro a degli aculei ma quando sei con la persona giusta sbocci come il fiore di un cactus" Dico sincera .
"ancora sembra che stai parlando di te e non di me"
"Smettila di negare l'evidenza, ti ho visto come ti sei comportato con i tuoi amici" e con lo sguardo che mi lancia capisco che anche lui sa che ho ragione.
"A volte è difficile avere la mia vita" dice dal nulla, cambiando quasi completa discorso " dall'esterno sembra perfetta. Ho venticinque anni e sono abbastanza indipendente da vivere da solo e da avere una macchina da quarantamila euro, ma non è semplice"
"Cosa non è semplice?"
"Tutto" e sospira "lo ammetto, i soldi hanno costruito gran parte la mia felicità ma delle volte mi guardo indietro e mi chiedo, chi sono io?" E scuote la testa "cazzo, è un pensiero ricorrente che non mi fa nemmeno dormire la notte. Mi sento un perdente e quando mi sveglio ansimando mi ripeto che è tutto un incubo" conclude mentre gli levo le mani davanti alla faccia. "Non sei un perdente, hai capito?" E gli giro la faccia quel tanto da portarla davanti alla mia "Sei umano e come qualsiasi persona ha bisogno di amore, stabilità e soldi. Basta pensare agli altri, cosa vuoi te della tua vita? Perché è questo che è, la tua vita"
"Vaglielo a dire ai miei genitori"
"Lo hai detto te, sei abbastanza indipendente da pagarti la casa e i vizi, quindi cosa ti frena?"
"Che questi soldi sono di mio padre, lavoro per lui non posso fare quello che mi pare"
"Lo dici te"
"Certo che lo dico io, sono uno dei dirigenti dell'azienda e mio padre pretende sempre il meglio"
"Potresti pure andartene" dico esplicitamente "non esiste"
"Vedi, hai una scelta ma non la vuoi prendere. Se ti pressa come mi racconti potresti prendere la tua strada e non essere incollato alla sua azienda"
"Gli spezzarei il cuore se me ne andassi"
"Ma se resti e spezzi te stesso è uguale. Non pensare agli altri ma a te stesso e a quello che ti rende felice" dico prendendogli e mani e trascinandolo di nuovo sul divano. lo faccio sedere e mi siedo sulle sue gambe accarezzandogli una guancia.
"Ti pare semplice " dice pensieroso
"È semplice Matteo, fidati di me. È come prendere un'aereo e partire"
"Però qui stiamo parlando di lavoro"
"Appunto, siccome è lavoro puoi prendere la decisione di lasciarlo e fare quello che più ti piace. Però la domanda è, cosa ti piacerebbe fare?"
"Oltre a stare con te?" E mi fa l'occhiolino "rispondi stupido" dico compendolo sulla spalla.
"A me piace il lavoro che faccio, però ho nuove idee che mi piacerebbe sviluppare magari anche all'estero, questo mi renderebbe veramente felice . Essere trattato per quel che sono "
"Allora fattici trattare. Se non ti vogliono ascoltare, urla. Se non vogliono vedere, accecali. Oppure semplicemente te ne vai, se queste idee sono buone altre concorrenti potrebbero pagarti fior di quattrini"
"Non lo farei mai"
"Ma questo tuo padre non lo può sapere" e adesso gli faccio io l'occhiolino "non è corretto" e lui ride "qui non si è mai parlato di chiarezza e correttezza" e gli sorrido maliziosamente, lui si avvicina a me e mi da un'altro bacio.
"Come ho fatto senza di te per tutto questo tempo. La colpa è solo tua però"
"Mi stai dando la colpa?" Chiedo facendo la finta offesa " sei sempre stata talmente diffidente per tutto questo tempo e così cieca nei miei confronti che non te ne rendi neanche conto"
"In che senso, non capisco"
"Dopo la notte della festa, la mattina sono venuto al bar per vedere come stavi. Sono entrato nel bar dove mi avevi detto che lavori e ti ho sorriso. Non mi hai riconosciuto e mi hai ignorato, e ho capito che della sera precente non ti ricordavi niente, non ti ricordavi né di me e né delle parole scambiate"
"E cosa hai fatto?"
"Me ne sono andato, che cosa dovevo fare? Anche se, sono sempre ritornato da te con la speranza che mi riconoscevi, mi affacciavo alla vetrina e quanche volta entravo, ma, te rimanevi lì immersa nei pensieri ad ingorarmi mentre bevevo il mio solito caffè e me ne andavo"
"Me lo aveva detto Mario che di tanto in tanto passavi al bar, ma non pensavo che realmente mi stolkeravi, perché lo hai fatto?" dico quasi scioccata per questa confessione inaspettata. Volevo essere io per una volta a sapere più di lui ma anche quest'oggi, mi sono sbagliata.
"Come fai a non capirlo? Sono sempre stato al tuo fianco per un anno quasi, ed è stato molto difficile" e sospira "non poterti parlare, non poterti toccare o passare del tempo con te. Mi sono accontentato e mi è sempre bastato vederti appena staccavo da lavoro per riprendere il buonumore" e sospira come se le prossime parole gli sarebbero costate care "per me tutto sarà sempre tutto più scuro se non ci sei tu ad illuminarmi le giornate".

Il cuore salta un battito e i miei polmoni smettono di collaborare. Non riesco a respirare, le mani tremano e semplicemente faccio quello che faccio sempre, scappo. Mi alzo dalle sue gambe, mi avvicino alla finestra notando un pacchetto di sigarette appoggiato al davanzale. Lo apro in religioso silenzio, mentre aspetta una mia risposta. Estraggo una Winston Blue dal pacchetto e me l'appoggio alla bocca, prendo l'accendino lì vicino e cercando di accenderla quasi mi brucio. Aspiro, le mani smettono di tremare e i polmoni riprendono a respirare. Sento il fumo acre invadermi, e ricomincio a vedere chiaramente senza più quell'alone che rende tutto più opprimente.

"Mi dispiace di essermi dimenticata ciò che ci siamo detti" dico solo mentre mi perso a guardare i palazzi fuori dalla finestra. "da quanto ti capita?"
"Cosa?" dico girandomi verso di lui, mentre aspiro un altro tiro della sigaretta " quello che è successo adesso"
"Non so di che cosa stai parlando"
" quella specie di attacco di panico che è smesso dopo che hai acceso la sigaretta"
"da un po' " dico cercando di ragionare lucidamente, pentendomene subito dopo "Cosa ti ha fatto soffrire di più di tutta questa storia?" Chiedo cercando di cambiare argomento per fargli dimenticare il mio comportamento "La cosa che mi ha fatto più del male è il fatto che te non ti ricordavi niente di me e di ciò che ci siamo detti"
"Mi dispiace"
"La colpa è la mia. Sono stato io che ho procastinato."
"E la mia che non me ne sono mai accorta di te"
"tranne quella sera di qualche settimana fa" dice alzandosi anche lui dal divano e avvicinandosi a me con cautela. Mi sfila la sigaretta dalle dita e ne aspira un tiro anche lui, sbuffandomelo sulla faccia. Una smorfia incontrollata esce dalla mia bocca e lui ride. Cerco di non sorridere anch'io ma mi perdo un'altra volta nei suoi occhi chiedendomi come posso essermi scordata di questo gran pezzo di uomo.

"Non voglio metterti pressione, ormai ti conosco e se lo faccio ti chiudi a riccio per poi non aprirti mai più. Quando sarai pronta a raccontarmi cos'è successo io sono qui" e mi dà un buffetto sulla guancia. Rimango a guardarlo mentre va verso la cucina per versarsi un bicchiere bicchiere di acqua che poi mi porge. Non mi chiede più niente e rimaniamo in religioso silenzio.

Fatidica CoincidenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora