CAPITOLO 13

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Edith non capiva proprio Noah.

Passò la mattinata a domandarsi perché fosse stato così gentile con lei: era così evidente che fosse imbarazzata e gli faceva, quindi, pena? Molto probabilmente era stato così. L'aveva allontanata per il caro vecchio senso di compassione; ma lei non voleva essere compatita da nessuno. Anche senza l'aiuto di Noah sarebbe uscita da quella situazione, per lo più a testa alta, mentre, accettando l'imboscata che Noah le aveva teso per "aiutarla", aveva evitato i problemi: a lei non piaceva evitare i problemi, preferiva affrontarli faccia a faccia. Immersa in questi mille pensieri, in un battibaleno arrivò il pomeriggio.

Da quel giorno sarebbero iniziate le attività facoltative a cui partecipare nelle ore libere del pomeriggio. Edith amava cantare, era la sua passione da sempre: una passione che però si vergognava a mostrare. Peccato che non c'era il laboratorio di canto, perché l'avrebbe sicuramente aiutata a combattere la sua vergogna. Avrebbe potuto partecipare a una delle attività sportive, ma voleva staccare un po', visto che tutto il resto dell'anno era occupata con la pallavolo. Avrebbe potuto tentare con il disegno, ma era negata: era Faith quella brava a disegnare nella famiglia. Le restava una sola opzione: il teatro. Non aveva mai avuto nessuna esperienza, ma del resto c'è sempre una prima volta.

Edith aveva letto nel programma che l'ultimo giorno ci sarebbe stata una sorta di festa di fine campo, dove avrebbero annunciato la squadra vincitrice, e, durante quella serata, il laboratorio di teatro avrebbe fatto vedere ciò che era riuscito a realizzare in quelle tre settimane: un'esibizione. Dal vivo. Davanti a tutti. L'occasione perfetta per superare la timidezza. Edith entrò nell'edificio dedicato ai laboratori e si diresse decisa verso la stanza che recitava il cartello "teatro". Perché, nonostante le sue insicurezze, era convinta che quella potesse essere l'occasione per riscattare sé stessa.

Alex non si aspettava così tanta affluenza al laboratorio di teatro: pensava che la maggior parte dei ragazzi si sarebbe iscritta alle attività sportive. Anche lui aveva intenzione di farlo, in realtà, perché rientrava di più nella persona che tutti credevano che fosse. Il ragazzo modello: bello, socievole, sportivo, con tutte le ragazze che gli ronzavano attorno. Lui cercava di rientrare più che poteva nel personaggio che gli era stato assegnato; e gli riusciva davvero bene, lui stesso se ne rendeva conto, ma c'erano delle volte che avrebbe voluto essere solamente sé stesso: Alex.

Pochi lo conoscevano davvero. Tra quei pochi c'era sicuramente suo fratello, Noah, che, nonostante il suo carattere introverso e schivo, c'era sempre stato per lui. Loro si dicevano tutto e si volevano un gran bene, anche se, probabilmente, nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso spontaneamente. E poi c'era Bonnie, che era stata per molto tempo una parte fondamentale della sua vita, ma che era scomparsa all'improvviso. Dio, quanto gli mancava. Aveva scelto il teatro perché, se la conosceva davvero, anche lei avrebbe scelto lo stesso.

Seduto su una delle sedie di plastica poste a fondo stanza guardava le persone che pian piano entravano nella stanza. Accanto a lui c'era suo fratello, intento a guardare fuori dalla finestra, immerso in non si sa quali pensieri. In piedi accanto alla porta stava un gruppo di ragazzi di cui non conosceva il nome, che forse aveva visto solamente di sfuggita. In quel preciso momento varcarono la porta due persone che a prima vista sembravano amici molto stretti, se non addirittura qualcosa di più. Subito dietro di loro c'era la sorella della ragazza contro la quale era andata a sbattere la prima sera... non si ricordava come si chiamasse. Qualche istante dopo un volto conosciuto oltrepassò la soglia: Bonnie. I due si scambiarono un fugace sguardo, ma poi lei abbassò la testa. Entrarono un altro paio di persone, tra le quali una ragazza dai capelli di rame.

Da un'altra porta posta sul fondo della stanza, che Alex fino a quel momento non aveva notato, entrò una donna un po' in carne, con i capelli raccolti in uno chignon e un sorriso che le attraversava il viso, assolutamente non forzato.

«Buon pomeriggio a tutti! Sono felicissima di vedervi così numerosi. Anche se avremo solo due ore ogni pomeriggio sono certa che in queste tre settimane riusciremo a realizzare un bellissimo spettacolo finale: ma tutto è nelle vostre mani, io non sono assolutamente qui per lavorare al posto vostro. Siete voi che dovrete fare tutto. Se dipendesse da me, io me ne andrei, ma sono obbligata a sorvegliarvi. Prima di concludere il mio noioso discorso introduttivo, ci tenevo a citare una figura che ha portato il teatro a livelli mai visti prima: "Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori; hanno le loro uscite e le loro entrate in scena; e ciascuno, per il tempo che gli è stato assegnato, recita molte parti."»

«William Shakespeare» sussurrò la ragazza dai capelli ramati.

«Esattamente, signorina...» rispose la donna.

«Margaret, Margaret Bennet» disse lei arrossendo.

«Perfetto, Margaret. A proposito, io non mi sono presentata, io sono Janice e, da questo momento, sarò la vostra accompagnatrice nel fantastico mondo del teatro. Adesso mani al centro e al mio tre gridiamo teatro. Uno... due... tre...»

«TEATRO» urlarono tutti.

In quel momento Alex si rese conto che aveva fatto la scelta giusta: al diavolo la persona che gli altri credevano che fosse

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