CAPITOLO 31

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"Ma il mare è molto più bello" aveva detto Bonnie, e Noah continuava a pensare a quella frase. Tra loro due era andato tutto per il meglio, avevano risolto ogni incomprensione e lui era riuscito a togliersi finalmente un peso che lo affliggeva da anni. Ma la frase rimaneva lì, rimbombante come il rintocco di una campana.
Aveva sempre vissuto sulla sua isoletta, non conosceva altro al di fuori di essa. E se Bonnie avesse avuto ragione? Se il mare fosse stato molto più bello della sua stupida isola?
Avrebbe continuato a seguire il flusso dei suoi pensieri, ma una voce lo riportò alla realtà. «Ragazzi,» annunciò Joe, il coordinatore della squadra blu «come vi ha detto Jeff a colazione, questi ultimi giorni sono davvero importanti per guadagnare punti in classifica. Come sapete, la classifica verrà rivelata solamente durante la serata finale e fino ad allora nessuno, tranne Jeff, saprà i risultati.»
"Giusto, i giochi della mattina" pensò Noah. Non teneva particolarmente alla questione dei punti e della classifica: cosa gli poteva importare se, a vincere, sarebbero stati i blu, i rossi, i verdi o i gialli?
«Stamattina faremo un circuito. È un gioco di velocità e agilità. Io e i coordinatori delle altre squadre abbiamo preparato un percorso, che dovrete fare uno alla volta. Dopo aver fatto il percorso troverete un secchio con delle palline da tennis: dovrete prenderne una e tornare dalla vostra squadra il più velocemente possibile. Solo quando è arrivato il compagno o la compagna prima di voi potrete partire. Tutto chiaro?»
«Se mi cade la pallina mentre corro?» chiese una ragazza di cui Noah non ricordava il nome.
«Cerchi di riprenderla più velocemente possibile, ma per favore, Lily, non farla cadere» disse Joe leggermente esasperato.
«Abbiamo fatto le estrazioni e stamattina si sfideranno la squadra gialla contro la verde e la squadra blu contro la rossa. Buona fortuna!» annunciò Jeff dal palco centrale.
«Perché finiamo sempre contro i rossi? Non mi piace sfidare mia sorella» sbuffò Edith.
Noah si rese conto che la squadra rossa era quella di Faith, Andrew, e Grace. Sì, anche di Grace. Aveva deciso: l'avrebbe stracciata.
Le due squadre si posizionarono in fila dietro la linea di partenza. Noah, vedendo che Grace si mise ultima, fece lo stesso. La guardò e le mormorò: «Pronta a perdere?»
«Mai stata così pronta» ribattè Grace, per poi aggiungere «a vincere.»
«Pronti... via» annunciò Jeff, e, alla sua esclamazione, partirono i primi giocatori di ogni squadra. Noah guardava il gioco procedere veloce, con la squadra avversaria inizialmente in vantaggio, finché una ragazza inciampò in uno degli ostacoli, impiegando più tempo del dovuto per rialzarsi. La squadra blu riuscì, così, a riguadagnare il tempo perso.
Noah osservava i suoi compagni correre uno dopo l'altro, per la vittoria della squadra, ma a lui ne interessava soltanto un'altra.
Infine arrivò il suo turno, anzi, il loro turno. Partì appena il suo compagno superò la linea di partenza, e Grace fece lo stesso. Era un testa a testa.
Le due squadre erano in fermento, tifando ognuna per il proprio componente. Noah era deciso a vincere, a dimostrare per l'ennesima volta a Grace che lui poteva riuscire bene in tutto quello che faceva. Quando arrivarono all'asse di equilibrio, che era in realtà un tronco, sentì una sottile imprecazione arrivare dall'altra corsia. Si voltò quanto bastava per capire la situazione: Grace era scivolata sul tronco, era caduta e la sua maglietta si era incastrata nella corteccia.
«Mi lasci proprio vincere facile» le disse, prima di continuare il suo percorso. Ma, poi, qualcosa lo bloccò: stava facendo davvero la cosa giusta? È vero, voleva vincere più di qualunque altra cosa, ma sentiva che era sbagliato. Se ci fosse stato chiunque altro al posto di Grace avrebbe continuato, ma non con lei. Per quanto a volte la detestasse, non poteva lasciarla indietro. Fu quasi istintivo per Noah fingere di cadere sopra a un ostacolo, provocando un'esclamazione di dissenso da parte della sua squadra. Fece finta di rialzarsi a fatica, sistemandosi i vestiti e rimettendo in piedi l'ostacolo caduto. Durante la sua messinscena, Grace era riuscita a liberarsi dal tronco ed era ripartita. Noah guardò nella sua direzione sorridendo, ma lei non lo notò.
Continuarono il percorso, quasi sincronizzati, arrivando ai rispettivi secchi. Noah prese la propria pallina e poi iniziò a correre, con Grace al suo fianco. Varcarono la linea nello stesso momento e la prima cosa che fecero fu guardarsi negli occhi. Erano stanchi, per non dire esausti.
Poco dopo, Grace era sdraiata sull'erba, Noah seduto a gambe incrociate non molto distante da lei. «Mi hai aspettata?» sussurrò Grace a fior di labbra.
«Perché non avrei dovuto?» rispose Noah, per poi rialzarsi e andare verso i suoi compagni. E, in quel momento, riusciva a vedere l'azzurro del mare più da vicino.

Durante il pranzo, Edith notò che la sua compagna di stanza era meno loquace del solito. Nonostante stessero parlando delle imminenti prove di teatro, Grace era intervenuta solamente un paio di volte, con parole di assenso nei confronti di qualcosa detto dagli altri; il resto del tempo, si era limitata ad annuire o a guardare il suo piatto. Edith sapeva che c'era qualcosa che non andava, e voleva scoprire cosa.
«Ehi, cosa ti passa per la mente?» le domandò, sollevandole il viso chinato verso il basso.
«Sto pensando» rispose lei.
«Sii più precisa.»
«A qualcosa.»
«A qualcosa?»
«A qualcuno.»
«Bingo. E chi sarebbe questo "qualcuno"?» chiese Edith, illuminata dalla confessione.
«Qualcuno a cui non dovrei pensare» ammise Grace, facendo scivolare la testa tra le mani.
«Spiegati meglio.»
«Noah.»
«Aspetta, quel Noah?»
«Quanti Noah conosci?»
«Mio zio si chiama Noah, e anche un mio compagno di scuola... lasciando perdere questo, perché ci pensi? Ha fatto qualcosa di male?»
«Tutt'altro: oggi, durante il percorso, mi sono impigliata nella corteccia dell'albero e, poco dopo, lui è inciampato negli ostacoli, ma sono abbastanza sicura che l'abbia fatto apposta.»
«Sì, mi ricordo.»
Ci fu un secondo di silenzio, poi Grace proseguì: «In realtà me l'ha detto. Mi ha detto che l'ha fatto di proposito, quindi sono sicura. Ma ho dei dubbi: punto primo, perché l'ha fatto? e punto secondo, perché mi fa così piacere? Non può essere. No, non può...»
«Non può essere cosa?»
«Forse Noah è più di un amico. Forse. Molto forse» mormorò velocemente, per non farsi sentire.
«Non lo detestavi fino a poco tempo fa?» domandò Edith visibilmente confusa.
«Sì, la maggior parte del tempo sì. Ma ci sono dei momenti, quando siamo soli, in cui mi sento come...»
«Come?»
«Non lo so Edith, solo che questo sentimento deve morire subito.»
«E perché, scusa?»
«Non posso assolutamente innamorarmi di Noah.»
Appena fatta quest'ultima affermazione, Jeff dichiarò il pranzo finito e perciò tutti si alzarono dai loro tavoli per andare a svolgere le varie attività pomeridiane.
Edith rifletté su quello che Grace le aveva detto. In realtà non ne era stata così sorpresa, però sentirselo dire era tutta un'altra cosa. Ascoltare l'amica parlare in quel modo l'aveva fatta sentire quasi esclusa, esclusa da quel sentimento. Dopo la storia di Abel, sarebbe riuscita a provarlo di nuovo?
Mentre era immersa nei suoi pensieri, una mano le toccò la spalla. Sulle prime pensò fosse Faith, ma si rese conto quasi subito che si trattava di una mano maschile. Non appena si voltò, si trovò faccia a faccia con Noah.
"Parli del diavolo..." pensò.
«Edith, posso parlarti un attimo?» le chiese lui.
Un brivido attraversò la schiena di Edith: l'ultima volta che aveva esordito così erano finiti a parlare di Abel. Che Noah avesse scoperto qualcos'altro a riguardo?
Noah sembrò leggerle nel pensiero, e disse: «Non si tratta di te, ma di me.»
Prima che Edith potesse controbattere in alcun modo, lui iniziò a raccontarle la stessa cosa che Grace le aveva detto poco prima. «Non so perché l'ho fatto, è stato un gesto quasi naturale, ma continua a tornarmi in mente. A qualunque cosa pensi, in qualche modo torno sempre a lei e a quel suo sguardo quando mi ha chiesto se l'avessi aspettata intenzionalmente.»
Ad Edith venne un'improvvisa illuminazione. E se...? No, le sembrava impossibile, ma doveva almeno fare un tentativo. Non poteva negare che le era capitato di pensare più di una volta a loro due in quel modo, ma l'idea era svanita in un battibaleno. Pensava fosse solo una sua impressione, una semplice fantasia; non avrebbe mai creduto che potesse tramutarsi in una situazione reale. Ma, adesso che aveva davanti Noah a confidarle i suoi più profondi dubbi, non sapeva cosa dire.
«E questo sentimento ti fa stare bene o male?»
«Bene. Male. Non lo so. Sto bene con lei, ma senza sono quasi vuoto, non ho nessuno che riesca a ribattere così il mio sarcasmo.»
«Quindi non è una cosa limitata ad oggi?» chiese Edith, speranzosa.
«No. In realtà è un po' che ci penso, ma ogni giorno che passa mi sento più confuso. Ci sono dei momenti in cui siamo da soli, senza nessun altro, ed è tutto così bello. Ma poi questo si rompe, e io non voglio che si rompa, perché lei...»
«Noah, cos'è lei per te?» chiese Edith interrompendolo.
«Lei... lei è... non lo so. È impossibile da definire. Grace è Grace, semplicemente Grace» rispose lui, le onde del mare ormai vicine al suo cuore. «Non so cosa sia per me in questo momento, ma lo voglio sapere.»

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