CAPITOLO 39

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Dopo aver salutato Alex, George decise di disporsi accanto al palco, in modo da poter vedere la scena. Vi aveva già assistito un sacco di volte, poiché era quella del gruppo in cui aveva lavorato nelle ultime settimane. Conosceva tutte le persone presenti sul palco, e loro conoscevano lui. George amava ciò che conosceva, il nuovo lo spaventava molto, quindi decise di starsene lì, guardando i suoi amici recitare parti che perfino lui aveva imparato. Probabilmente avrebbe guardato le prossime scene con meno attenzione, o le avrebbe ignorate, perché non le conosceva.
«Dove sono finito?» esordiva Chris al centro del palco. Silenzio. E poi di nuovo Chris che diceva: «Che ci faccio qui? Non è un posto che conosco, vedo che ci sono degli alberi, delle casette, e tante, tante persone.»
Mentre parlava un gruppo di ragazzi salì alla rinfusa sul palco iniziando a vagare in tutte le direzioni attorno a Chris.
«Ah, sì, sono a quello stupido campo estivo. Io non ci volevo neanche venire, mi ha obbligato mia madre. Continuava a ripetermi che mi sarei fatto nuovi amici e che mi avrebbe fatto bene stare un po' all'aria aperta. Spoiler: sono allergico al polline.»
A quell'ultima frase tutto il pubblico rise, e persino George simulò una sorta di sorriso, non tanto per la battuta, ma perché si rese conto che, senza volerlo, stava mimando con le labbra le parole di Chris.
«Per quanto io ci possa provare, non riuscirò mai a farmi un amico che sia uno, mia madre crede fin troppo nelle mie capacità di socializzazione. Magari troverò anche qualcuno con cui fare due parole e qualche battuta, ma la cosa finirà lì, perché nessuno sarebbe davvero interessato a essermi amico, no?»
Chris si sedette in mezzo al palco e a prendere la parola furono gli altri.
Parlavano a gruppetti di due o tre, distinguere tutti i discorsi era difficile: alcuni discutevano di sport, altri di scuola, altri di amici o di amore.
George focalizzò lo sguardo su un gruppetto di due ragazze, poiché sapeva che di lì a poco avrebbero rivolto la parola a Chris. E così fu.
La scena scorreva veloce e, mentre George ripeteva a macchinetta le battute dei suoi compagni, una lampadina gli si accese. Si accorse che non amava quella scena solamente perché gli era ampiamente nota, ma anche e soprattutto perché ci si rivedeva. Realizzò che la scena si svolgeva come la sua esperienza lì al campo, seppur con qualche differenza. Era arrivato senza alcuna aspettativa, immaginando  nella sua testa quelle settimane come le peggiori della sua vita, ma poi tutto era cambiato, quando aveva conosciuto Alex: da quel momento aveva capito che forse non era una persona così inutile e anche lui si meritava qualche amico.
Non appena la scena finì e sentì annunciare lo stacco musicale, George si rese conto di aver appena risposto alla domanda che lui stesso si era posto nel suo discorso, ovvero scoprire perché era lì.
Tutti gli attori scesero dal palco, lasciando posto a Dylan e alla sua chitarra. Tutte le ragazze del pubblico lo guardavano assorte, non perché fosse particolarmente affascinante, ma per la semplice e indiscutibile legge che un ragazzo che suona la chitarra attrae. Il suo assolo non durò molto, solamente un paio di minuti, ma servì a riportare tutta l'attenzione del pubblico sul palco, in attesa del discorso introduttivo alla scena successiva.
Mentre Dylan terminava la sua esibizione, dietro al palco Andrew si contorceva le dita dall'ansia. Faceva teatro da anni, ma non gli era mai capitato di interpretare una parte simile. Era lui, da solo, e, se per caso avesse sbagliato qualcosa, non avrebbe avuto nessuno ad improvvisare qualche battuta, ma avrebbe dovuto cavarsela per conto suo. Se la sua parte avesse annoiato il pubblico, sarebbe stata solo ed esclusivamente colpa sua. Un monologo era un peso troppo grande da portare.
Ripeteva ininterrottamente le parti sottovoce, cercando di dare la giusta sfumatura emotiva, la giusta intonazione della voce; più continuava, però, più gli sembrava tutto così finto e impostato, così recitato a memoria e senza alcuna emozione nella voce. Ma un vero attore non si faceva abbattere da simili difficoltà, perciò prese un forte respiro e, non appena la chitarra di Dylan suonò le ultime note, si avvicinò agli scalini, salendoli poco dopo.
«Ora che avete capito, o almeno avete tentato di capire, perché siete qui, è il momento di aggiungere un pezzo. Ognuno è qui per un motivo che è solo suo, ma c'è qualcosa che ci accomuna tutti: non siamo qui da soli. Tutti noi abbiamo trascorso queste settimane accanto ad alcune persone, più o meno volentieri. Conoscevamo già qualcuno, altri sono diventati nostri conoscenti proprio qui, ma quello che conta è il rapporto. Una semplice conoscenza, un'amicizia o un amore, ci sono tanti tipi di rapporti tra persone. Ma ogni rapporto ci lascia un segno, quello è indiscutibile. Noi siamo fatti di questi segni, siamo fatti di persone e di ciò che queste ci danno e ci hanno dato, positivo o negativo che sia. Provate per un attimo a pensare alla persona più speciale che avete conosciuto a questo campo. Pensate alla persona che eravate prima di conoscerlo o conoscerla, le vostre paure, le vostre idee, il vostro modo di essere e di pensare. Pensate poi alla persona che siete adesso: è vero, non sarete cambiati radicalmente, a volte il cambiamento da fuori neanche si vede, però c'è, ve lo posso giurare. Magari ancora non riuscite a vederlo, ma è proprio questo il bello: riuscire a trovare i segni, piccoli o grandi che siano, che le persone che incontriamo ci lasciano; riuscire a vedersi non come un individuo unico, ma come un insieme di tanti piccoli pezzi, di tante persone.
Aristotele diceva che "L'uomo è un animale sociale" e non penso ci sia definizione più adatta.
Ma ci sono, ahimè, anche persone negative che segnano le nostre vite. Persone che, a volte anche con le migliori intenzioni, al posto di un piccolo segno ci lasciano una profonda ferita, ma alla fine sono proprio quelle persone che ci rendono più forti, nel bene o nel male.
Alcune persone vi faranno cadere, ma voi vi rialzerete, aiutati dalle persone che a voi ci tengono davvero. È così che funzioniamo, non si può negare.»
Dopo aver preso l'applauso che si meritava, Andrew si voltò e scese frettolosamente dal palco.

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