«Sin da quando iniziai ad andare a scuola trovai difficoltà nello scrivere in maniera leggibile: spesso mi capitava di sovrapporre le lettere ed uscire dai margini o dalle righe. Facevo fatica quando l'insegnante ci dettava qualche testo da scrivere, perché non riuscivo a stare al passo, visto che scrivevo con molta lentezza. I miei genitori l'hanno sempre definita come pigrizia, svogliatezza, e venivo rimproverata per questo. La mia insegnante, però, si accorse che c'era qualcosa che non quadrava, si rese conto che, nonostante gli scarsi risultati, ci mettevo tutta me stessa. Perciò ne parlò con i miei e, dopo diverse visite, mi venne diagnosticata la disgrafia, un disturbo dello stesso genere della dislessia, però meno diffusa. A quel punto i miei genitori mi lasciarono in pace, ma venni presa di mira dai miei compagni, che erano venuti a sapere della mia diagnosi. Il problema per loro non era la mia disgrafia, ma il fatto che in alcune attività venivo "facilitata", vista la mia difficoltà. Iniziarono a prendermi in giro, dandomi della scema e dell'incapace. Questa cosa è continuata per molto tempo e mi ha distrutto l'autostima in maniera irreparabile. Fa davvero male sentirsi inferiore» concluse Edith.
Non sapeva con certezza come le era venuta quell'idea, ma quando aveva visto tutti lì, nello stesso momento, nello stesso posto, aveva creduto potesse essere una specie di "segno del destino" e, per questo, aveva colto la palla al balzo proponendo: «Raccontiamoci qualcosa di importante per noi. Qualche nostra ferita, qualche nostro demone passato oppure presente. Senza giudizi, ognuno parla e gli altri ascoltano.»
Mentre lo proponeva, lei aveva subito pensato a tutti i pomeriggi in cui, tornata a casa, piangeva per il fatto di non sentirsi completamente accettata. Ci aveva quasi fatto l'abitudine, a sentirsi sbagliata, ma averlo detto davanti a tutti loro l'aveva fatta sentire quasi più "giusta".
«Ammetto che non è stato semplice confessarlo, ma ora mi sento decisamente meglio. Adesso che ho rotto il ghiaccio, a chi tocca?» domandò sempre lei. Sette paia di sguardi si scrutarono l'un l'altro fin quando a parlare fu Grace: «Vado io. O la va o la spacca.»
Dopo aver preso un respiro profondo cominciò a raccontare un peso che portava da tempo: «Mia mamma è morta quando avevo sei anni a causa di una malattia. Ho pochi ricordi di lei, ma se c'è una cosa che mi ricordo perfettamente è quanto lei amasse ballare. Ogni volta che sentiva una melodia, di qualunque tipo, iniziava ad improvvisare qualche balletto. È grazie a lei se oggi la danza è la mia più grande passione, ogni volta che ballo è come se mi fosse vicino. La sua morte ha distrutto mio padre, che ha cercato in tutti i modi di schiacciare il dolore con il lavoro, diventando così poco presente nella mia vita. Non sto dicendo che mi abbia trascurata, perché non mi ha mai fatto mancare nulla, ma ho sempre sentito la mancanza di qualcuno da abbracciare nei momenti no, con cui condividere gioie e dispiaceri: mio padre non è certamente quel qualcuno.»
Quando Grace finì il suo racconto aveva le lacrime agli occhi. Succedeva ogni volta che nominava la madre, ma, stranamente, quella volta non ebbe il solito impulso di nascondersi o di scappare, bensì sapeva che, in mezzo a quelle persone, era al sicuro. Pensando a questo sorrise, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
Andrew guardò Grace con sguardo complice. Capiva l'amica, comprendeva il suo dolore, ma la ferita di Grace era solo scucita in alcuni punti, mentre la sua era ancora aperta e sanguinante. Non si sentiva pronto a raccontare tutta la sua storia, ma decise di iniziare con una parte: «Soffro di attacchi di panico. Nell'ultimo periodo va decisamente meglio, ma qualche anno fa erano davvero molto frequenti: una cosa come due o tre a settimana. In quel periodo mi sono allontanato da persone alle quali tenevo molto, perché temevo che mi avrebbero considerato "strano" se si fosse manifestato un attacco quando ero in loro compagnia. Avevo quindi pochi amici degni di essere chiamati tali, non perché non avessi nessuno disposto a starmi accanto, ma perché ero io il primo a non volere nessuno. Non volevo dovermi giustificare, ma più di tutto non volevo che gli altri mi guardassero con compassione; prima di stasera, le persone che lo sapevano si potevano contare sulle dita delle mani. È stato davvero difficile imparare a gestirli, soprattutto perché giungono quando meno te l'aspetti. Per qualche mese sono stato affiancato da una psicologa e grazie a lei gli attacchi sono diminuiti; adesso sono molto rari, ma vivo con la costante paura che si possano verificare da un momento all'altro.»
Senza pensarci, Faith afferrò la mano di Andrew e la strinse, intrecciando le proprie dita alle sue. Non era a conoscenza di questo lato della vita di Andrew, ma ora che lo sapeva era disposta a dargli tutto il conforto di cui avesse bisogno e tutto l'affetto che meritava.
«Sono qui per te» gli sussurrò all'orecchio, prima di iniziare a raccontare il suo demone: «Alcuni sanno già di questa storia, ad altri potrebbe sembrare banale, solo un capriccio, ma averla vissuta mi ha causato tante insicurezze che non sono ancora riuscita a superare» iniziò Faith, per poi raccontare tutta la storia riguardante Ray e il modo in cui lui si era approfittato di lei.
Nonostante fosse a conoscenza di tutta la vicenda, dopo che Faith ebbe finito di raccontare, Andrew strinse la presa per trasmetterle lo stesso conforto che lei gli aveva dato poco prima in quel semplice gesto.
«Tocca a me» mormorò una voce: Maggie. Chiuse gli occhi brevemente, preparandosi a raccontare la sua ferita, poi iniziò a parlare: «I miei genitori si sono separati quando avevo sette anni. Io non ce l'ho con loro, anzi, hanno fatto sempre di tutto per non farmi mancare niente; mi vogliono un gran bene e anche io ne voglio a loro. Vi chiederete qual è il problema. Ecco, anche se sono riuscita a costruire la mia vita stando in equilibrio tra di loro, questo non significa che a me vada bene. Una parte di me, la parte di me ancora bambina, spera che un giorno torneranno insieme e potremo così tornare a essere una famiglia unita. Loro non lo sanno, ma a causa loro ho smesso di credere nell'amore. E spero davvero che un giorno si possa riaccendere in me la speranza di trovare qualcuno che mi ami incondizionatamente. Ecco perché scrivo: per creare un mondo a cui so che non apparterrò mai.»
A questo punto, un'altra voce s'inserì d'impulso, sentendo il bisogno di intervenire: «Anche i miei sono separati, ma questo è avvenuto quando avevo quattordici anni, tre anni fa» confidò George. A parte Alex, gli altri ragazzi sapevano ben poco di lui e quella confessione improvvisa li aveva sorpresi. «È stata una batosta, ha distrutto tutto quello a cui tenevo. Le loro litigate erano abituali, nell'ultimo periodo si erano fatte sempre più frequenti, ma non pensavo potessero arrivare a tanto. Come hanno potuto farmi questo? Mi hanno costretto a vivere in una situazione in cui devo costantemente scegliere tra uno e l'altra, senza vie di mezzo. Con mia madre ero già in buoni rapporti e questa situazione ci ha unito ancora di più, mentre con mio padre ho poca confidenza, ma ci tengo a non deluderlo: ecco perché non sono trasferito in pianta stabile da nessuna delle due parti. Mia madre me l'aveva proposto, stavo per accettare, ma poi ha iniziato a incombere l'ombra di quello che mamma chiama "un amico" e ho lasciato in sospeso la decisione. Non so se mai ne prenderò una definitiva. Quello che so è che voglio stare lontano il più possibile da tutto lo schifo che ho intorno e il campo è stato una scusa perfetta.»
Dopo le ultime due confessioni i ragazzi si erano, chi più chi meno, emozionati. C'è chi lo mostrava apertamente, facendo scorrere liberamente le lacrime sul proprio viso, chi invece teneva tutto dentro, per paura di essere giudicato come "sensibile". E quest'ultimo era nientemeno che Noah.
Fu proprio lui a guardare il fratello, rivolgendogli una richiesta silenziosa che voleva pressappoco dire: «Racconta pure.»
Perciò Alex iniziò a raccontare quello che era il proprio demone, ma che era anche quello di Noah: «I nostri genitori sono assenti per definizione. Hanno un ruolo molto importante nella stessa azienda e per questo spesso, anzi, quasi sempre, sono via per lavoro. Sin da quando eravamo piccoli la maggior parte del nostro tempo la passiamo insieme ai nostri nonni, tanto che ora viviamo insieme. A loro devo tanto, perché mi hanno insegnato tutto quello che so fare. Allacciarmi le scarpe? I nonni. Andare in bici senza rotelle? I nonni. Le tabelline? I nonni. L'unica cosa che i miei genitori mi hanno insegnato è quello che non voglio diventare. Mi ricordo forse un Natale passato con loro, che risale a quando io e Noah avevamo sei o sette anni. Per loro l'unica cosa importante è che noi diventiamo la loro esatta fotocopia: dediti anima e corpo al lavoro e al denaro.»
Il discorso poteva tranquillamente chiudersi lì, quando l'unica voce che non si era ancora fatta sentire venne fuori: quella di Noah.
«La cosa controversa è che loro sono convinti di essere dei genitori modello. L'anno scorso, per il nostro sedicesimo compleanno, ci hanno fatto confezionare dei completi su misura, esattamente come li volevamo: il modello, il tessuto, il colore, persino una cravatta abbinata. Quando ho visto il mio, la prima cosa che ho pensato è che fosse bellissimo, decisamente migliore di qualsiasi completo avessi mai indossato. Solo che loro non me l'hanno mai visto indosso, perché la sera del nostro compleanno hanno avuto un imprevisto di lavoro. Da quella sera lo conservo con un certo rancore nella sua scatola. Indossarlo ancora sarebbe come farli vincere, cosa che non voglio.» Erano poche frasi quelle di Noah, ma fecero breccia nel cuore di tutti.
«Venite qui, ragazzi» disse Edith aprendo le braccia in cerca di un abbraccio, che non tardò ad arrivare. Tutti, persino Noah, si unirono in quello che non era solo un gesto d'affetto, ma un vero e proprio patto silenzioso; perché quella sera aveva significato molto di più di quanto si rendessero conto. Avevano condiviso i loro demoni e questo li aveva resi più vicini che mai.

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Intrecci di stelle
Teen FictionSotto il cielo stellato della prima sera al Wilson Camp, Faith e Andrew si incontrano. Da lì tutto cambia, perché questa non è solo la storia di Faith e Andrew. Infatti, da quel semplice e casuale incontro, si creerà una serie di amicizie, molte nat...