CAPITOLO 36

39 2 2
                                    

Grace camminava nel bosco, con un andamento irregolare e senza una meta precisa. Camminava solo perché stare ferma le dava fastidio; concentrandosi sui movimenti del suo corpo poteva tralasciare quelli della sua testa, quel vortice di pensieri che non voleva sparire. Era arrivato all'improvviso, dopo che Alex se n'era andato da teatro senza alcuna spiegazione, si era intensificato dopo che Noah l'aveva seguito, era diventato insostenibile quando si era resa conto che nessuno dei due aveva intenzione di tornare.
Perciò camminava, sperando di trovare la soluzione a tutti quei problemi nelle sue gambe, dato che nel suo cuore si rifiutava di guardare.
"Mai fidarsi delle gambe" si disse non appena si rese conto di dove l'avessero portata. Era finita in un piccolo ritaglio di bosco di forma pressappoco circolare, con, al suo centro, un tronco alquanto familiare.
Era il loro spazio, suo e di Noah: quello dove lei l'aveva sentito suonare, dove lui l'aveva ascoltata recitare; tutto quello che li riguardava era racchiuso in quel piccolo pezzo di mondo, tutto loro.
E lì, seduto sul tronco, c'era lui, la testa poggiata su una mano e lo sguardo perso nel vuoto: Noah Harrison. Lui non si accorse della sua presenza, era infatti voltato dalla parte opposta rispetto a quella da cui lei arrivava.
Grace si avvicinò a lui, ma, vedendo che non percepiva neanche il rumore dei suoi passi, decise di chiedergli: «Tutto bene, Noah?»
Lui si voltò di scatto, sorpreso nel vedere lì l'amica. Pensava che nessuno l'avrebbe potuto trovare lì; nessuno tranne Grace, ovviamente.
«Cosa ci fai qui?» le chiese bruscamente.
«Non ha importanza. Tu, piuttosto, perché non sei tornato a teatro?»
Si scambiarono un fugace sguardo, poi Noah la invitò con un impercettibile cenno del capo a sedersi accanto a lui. Grace, incerta, accettò l'offerta, avvicinandosi lentamente all'amico.
«Sappi che te lo racconto solo perché entrambi siamo consapevoli che, quando tutto questo sarà finito, probabilmente non ci ricorderemo l'uno dell'altra, e sicuramente non andrai a raccontare i fatti miei al primo che incontri» disse Noah con una nota amara nella voce. Grace la colse, e si chiese se ciò che aveva appena detto, almeno la prima parte, fosse vero, perché per lei non lo era affatto, ma non l'avrebbe mai ammesso, nemmeno a sé stessa.
«Quando sono andato a cercare Alex,» iniziò Noah, la voce profonda e lo sguardo puntato a terra: «l'ho trovato in poco tempo e l'ho fermato. Lui però non voleva parlarmi. Non l'avevo mai visto così, davvero. Sembrava un'altra persona: aveva lo sguardo infuocato e le parole che gli uscivano dalla bocca non erano assolutamente le sue. Ha iniziato ad accusarmi di svariate cose, ad affermare che io sono il preferito dei nostri genitori. Non è la prima volta che discutiamo per questo, ma è sempre finito tutto in poco tempo, non appena ci accorgevamo che era insensato discutere per certe cose. Lui sa che a me non frega un cazzo di quello che pensano i nostri genitori: li vediamo una volta al mese quando ci va bene, cosa pretendono di sapere sulle nostre vite? È vero, loro mi ritengono il loro degno successore per il loro inutile lavoro, ma io non voglio esserlo. A me loro non interessano, a me interessano i nostri nonni: le persone con cui viviamo da una vita e che ci hanno cresciuto sia come figli, sia come nipoti. Ma, ironia della sorte forse, loro preferiscono senza dubbio Alex. Chi manda la nonna a casa dei vicini per invitarli a cena? Alex. A chi il nonno propone di accompagnarlo quando incontra i suoi amici? Alex, ovviamente. A chi la nonna parla delle bellissime nipoti delle sue amiche? Sempre e solo ad Alex. E io mi chiedo perennemente perché la nonna non mandi me dai vicini, perché non parli a me delle nipoti delle sue amiche che potrei conoscere e perché il nonno non mi inviti mai agli incontri con i suoi amici. In fondo siamo uguali, no? Io e Alex. No, il punto è che non lo siamo affatto: Alex è socievole, gentile, amichevole, il nipote che tutti vorrebbero avere; io, invece, sono chiuso, fastidioso, egoista, pignolo, menefreghista, sarcastico e potrei continuare, ma mi fermo qui. Io cerco di essere migliore, di essere più Alex e meno Noah, ma non ci riesco. Non capisco cos'ho che non va.»
Noah era riuscito a non far trasparire alcuna emozione per tutto il discorso, ma su quell'ultima frase la sua voce s'incrinò leggermente. "Non capisco cos'ho che non va" sentiva rimbombare Grace nella sua mente. "Niente" avrebbe voluto rispondergli, ma era una parola troppo pesante, troppo piena di significato. Perciò scelse di provare a dirgli la stessa cosa, solamente con qualche parola in più.
«Noah,» gli disse: «rimangiati ogni parola che hai detto, perché quello che hai descritto non sei assolutamente tu. Magari sono io che non riesco a vederti bene, ma nessuno degli aggettivi che ti sei dato rispecchia la tua persona. È vero, forse inizialmente non mi andavi particolarmente a genio, i tuoi modi di fare mi erano un po' stretti, ma poi ho provato a guardarti da un altro punto di vista. Ho provato a guardarti con gli occhi di Andrew, ad esempio. So che lui sembra andare d'accordo con tutti, ma fidati che non è così. Non capivo come avessi fatto ad entrargli nel cuore così semplicemente, ma poi mi sono messa nei suoi panni e ho capito che aveva ragione, e io assolutamente torto. Sei sarcastico, va bene, ma non è qualcosa di negativo, è solo un altro modo di fare ironia. E forse sei un po' chiuso, ma solo perché hai paura che qualcuno ti faccia del male. Ma non sei né egoista né menefreghista, toglitelo dalla testa. Non eri obbligato ad aiutarmi con la parte di teatro e invece l'hai fatto, né eri obbligato a riferire a Edith la faccenda di Abel, ma anche solo il fatto che tu mi presti sempre il pettine, ogni sera: sono tutti atti di gentilezza, ma non una gentilezza qualunque, una gentilezza rara. Sai cosa penso spesso? Puoi avere un'infinità di pregi, ma gli altri guarderanno sempre quel tuo unico difetto. Non devi vederti come gli altri ti vedono, come ti percepisce chi non ti conosce, perché tu, Noah, sei una persona unica, da capire e interpretare. E, per chi ti capisce, nascondi dentro di te così tanta bellezza che è impossibile non volerti bene. Non è giusto che tu non veda tutto quello che hai dentro, non te lo meriti.»
Grace non si capacitava di quello che era riuscita a dire, anche perché si rese conto che era tutto dannatamente vero.
Noah alzò la testa e la guardò negli occhi per poi chiederle, a bassa voce: «Lo pensi davvero? Quello che hai detto, intendo.»
«Ogni singola parola» rispose Grace sorridendo, senza smettere di guardarlo negli occhi.
Si accorse per la prima volta di quanto fossero belli i suoi occhi marroni, così pieni di tutte le emozioni che solitamente la voce tendeva a mascherare.
Si rese conto di desiderare che quel momento durasse per sempre, che Noah continuasse a guardarla con quello sguardo, così pieno di un sentimento che non riusciva a decifrare: amicizia, si disse, o forse qualcosa di più. E sotto sotto ci sperava, che fosse qualcosa di più.
Poco meno di tre settimane fa detestava Noah, odiava ogni singola parte di lui, senza un motivo apparente. Erano poi diventati amici, un po' per gioco e un po' per necessità. Ma in quel momento si ritrovava a pensare che quello che sentiva per quel ragazzo era qualcosa di superiore all'amicizia. Possibile che si fosse innamorata di lui? Sì, non era soltanto possibile, era sicuro.
Lì, in quel pezzo di bosco che era soltanto loro, Grace si rese conto che Noah le piaceva, e anche tanto.
Le possibilità che ricambiasse erano minime, questo lo sapeva eccome, però poi si ricordò quello che le aveva detto prima di iniziare il suo discorso. Il campo ormai era finito, quindi le loro strade si sarebbero separate comunque, a prescindere da tutto.
Se solo c'era una lontana possibilità che lei e Noah avessero un lieto fine, perché non provarci? Era un pensiero alquanto egoistico, Grace lo sapeva, ma prima che potesse cambiare idea afferrò con le mani il viso di Noah e avvicinò le proprie labbra alle sue.
Sentì in lui un breve fremito di sorpresa e in quel momento pensò di aver avuto una pessima idea, che Noah non l'avrebbe mai ricambiata e che avrebbe ricordato quel bacio come l'errore peggiore della sua vita. Ma non fu così.
Perché, seppur colto di sorpresa, Noah non si staccò dal bacio, anzi lo ricambiò. Con una mano le sistemò una ciocca di capelli che le cadeva sul volto, poi la prese per i fianchi attirandola a sé. Quando si staccarono erano molto vicini, fronte contro fronte, il respiro corto per la foga del momento.
«È da giorni che voglio farlo» le disse Noah all'orecchio. In quel momento si sentiva bene come mai gli era capitato, il suo cuore era un insieme di emozioni sparse, a cui non sapeva dare un nome; sapeva solo che quello che provava gli piaceva. Anzi, gli piaceva molto.
«E perché non l'hai mai fatto?» gli domandò lei, sorridendo.
«Perché sono un idiota» rispose francamente.
«Lo rifacciamo, idiota?»
«Quando vuoi» rispose lui, prima di attirarla ancora più vicino a sé, una mano sulla sua schiena l'altra sulla sua guancia, che la accarezzava lentamente. Rimasero lì per qualche istante a guardarsi, con il cuore pieno di domande, ma gli occhi pieni di risposte. "È così bella, cazzo" pensò Noah. Sarebbe rimasto lì a guardarla per ore; anzi, per giorni.
Noah iniziò ad avvicinarsi molto, molto lentamente, senza smettere di guardare la ragazza davanti a lui, al che Grace gli disse: «Sei crudele anche in amore, vedo» prima di colmare la breve distanza che c'era tra di loro e tornare a sentire il contatto tra le loro labbra. Noah non aveva mai baciato nessuno, perché non pensava potesse averne bisogno; non pensava neanche di esserne capace, in realtà. Ma con Grace fu diverso: con lei ogni bacio, ogni abbraccio, qualsiasi forma di contatto tra di loro, lo spingeva ad averne sempre più bisogno: aveva bisogno di lei.
A un certo punto, senza che nessuno dei due ne fosse totalmente consapevole, i loro baci diventarono qualcosa di più di un semplice contatto di labbra.
Grace voleva Noah, Noah voleva Grace. Si volevano, si erano sempre voluti, ma l'avevano taciuto a sé stessi per troppo tempo. Quei baci, quelle carezze, quegli sguardi, erano il frutto di un sentimento che entrambi avevano inconsciamente custodito.
Alla domanda di Grace "Quindi noi cosa siamo?" Noah aveva risposto dicendo semplicemente "Innamorati", mentre, superata la tempesta, guardava la sua isoletta farsi sempre più lontana, e il rumore del mare invadergli le orecchie e il cuore.

Intrecci di stelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora