Prima mormorii sommessi, poi la musica. Non appena Noah aveva sfiorato con l'archetto le corde del suo violino, tutti si erano voltati a guardarlo, in silenzio. Nessuno l'aveva annunciato: semplicemente, era salito sul palco, aveva imbracciato il violino e aveva iniziato a suonare. Una nota dopo l'altra, la musica di Noah era come sempre pura magia alle orecchie di chi lo ascoltava. E lui, sopra a quel palco e con il suo strumento, si sentiva nel posto giusto al momento giusto.
Appena finì di suonare, chiuse gli occhi e fece un lieve inchino, godendosi l'applauso che si era innalzato dalla folla. Tutti quei ragazzi non lo conoscevano, ma avevano appena conosciuto la sua musica: non poteva andarne più fiero.
Scendendo le scale sul fianco del palco, con ancora la melodia che gli risuonava nelle orecchie, sentì qualcuno che diceva: «Complimenti Noah, sei spettacolare.»
In un primo momento pensò fosse stato il suo inconscio, che gli diceva tutto ciò che avrebbe voluto sentirsi dire, ma che nessuno gli avrebbe mai detto. Ma no, non era una voce nella sua testa: era la voce di suo fratello, ed era una voce vera. Non si parlavano dal litigio del pomeriggio precedente, non si erano rivolti la parola neanche durante i pasti, ma, in quelle poco più di ventiquattro ore, entrambi avevano imparato a vedere le cose da una diversa prospettiva.
Alex e Noah tenevano moltissimo l'uno all'altro, lo avevano imparato a loro spese, e sapevano che non potevano restare arrabbiati a lungo.
«Senti, Noah, non pensavo davvero le cose che ho detto» disse Alex.
«Lo so» rispose lui.
«Ti prego, facciamo come se non sia successo nulla.»
«Ho un'idea migliore: tu dopo vai sul palco e spacchi, ci godiamo la serata con i nostri amici e poi, quando torniamo a casa, se c'è qualcosa che non va me lo racconti e ne parliamo, va bene?»
«Mi sei mancato, Noah» esclamò Alex abbracciandolo.
«Mi sei mancato anche tu, fratellino» rispose Noah ridendo.
«Ti ricordo che siamo gemelli.»
«Ti ricordo che io sono nato prima.»
«Alex!» chiamò una voce da dietro il palco.
«È Bonnie, mi sa che devo andare» disse lui.
Noah guardò il fratello allontanarsi, con gli occhi che sembravano dire "niente panico, andrai alla grande".
Mentre i due fratelli si chiarivano, sul palco era salita Janice, in un carinissimo abito con fantasia a fiorellini rosa.
«Buonasera campo Wilson!» esordì, provocando le urla del pubblico. «Avete già avuto l'onore di sentire il nostro Noah e il suo violino, quindi, per favore, facciamogli un altro applauso. Vi dico subito che non parlerò molto, perché penso che sia giusto che i ragazzi si prendano tutto il tempo che questa serata ci darà a disposizione. Sono stati bravissimi, non mi aspettavo che in tre settimane riuscissero a realizzare questa meraviglia. Concludo con una citazione, di Shakespeare per la precisione: "La vita non è che un'ombra in cammino; un povero attore, che s'agita e che si pavoneggia per un'ora sul palcoscenico e del quale poi non si sa più nulla. E' un racconto narrato da un idiota, pieno di strepito e di furore, e senza alcun significato." E adesso, che lo spettacolo abbia inizio!»
Dopo un altro giro di applausi, George apparve al centro del palco. Non appena vide tutte quelle persone, si sentì svenire per un attimo.
No, non poteva farcela. Forse, se fosse sceso subito, avrebbe fatto una figura migliore rispetto se si fosse incartato durante il discorso. Le scale che portavano giù dal palco erano vicine, così vicine, qualche passo e avrebbe potuto evitare quell'inferno. Aveva paura di dimenticarsi le parole, quelle parole che aveva ripetuto per giorni. Ma chi glielo aveva fatto fare? Quella domanda risuonava perennemente nella sua testa, non riusciva a farla tacere. Era già sul punto di rinunciare, quando poi arrivò la risposta.
«Buonasera a tutti, ragazze e ragazzi.» Non appena pronunciò le prime parole tutta l'ansia svanì.
«Non so quanti di voi siano mai stati a un campo estivo, ma penso che per molti di voi questa sia stata una nuova esperienza. E queste nuove esperienze fanno sempre così paura. Siamo tutti abituati a vivere dentro la nostra routine e, non appena sentiamo la parola "nuovo", rabbrividiamo. Per esempio, quando si va a prendere il gelato e bisogna scegliere il gusto, molti prendono sempre lo stesso, che non è necessariamente il loro preferito, ma quello che li fa sentire più sicuri. E avete presente il brivido che sentite quando cambiate quel vostro solito gusto? Non siete sicuri che il gusto nuovo vi possa piacere, magari avrete sprecato i vostri soldi per nulla, ma al tempo stesso c'è qualcosa che vi attira. Ed è così che funziona anche la vita. Arrivare a un campo estivo, magari anche senza conoscere nessuno, fa paura, e dalla paura partono le domande. Se non mi farò nessun amico? Se passerò da solo tutto il tempo? Se farò perdere la mia squadra? Ma la vera domanda da porsi è una. Perché sono qui? È una, ma è anche la più difficile. La risposta non cade certamente dal cielo, va cercata, e penso che il campo estivo, anzi in particolare questo campo estivo, sia il posto perfetto per trovare la risposta a quella domanda. È vero, fa paura, eccome se lo fa, ma la vita è anche questo. La vita è fatta di paura e di domande. Ma sapete una cosa? Bisogna amare le proprie paure, non nasconderle nell'angolo. Da esse nasceranno solo cose belle.»
Un applauso. Un altro. Un altro ancora e ancora uno, finché ad applaudire non fu tutto il pubblico. Tra i volti sotto al palco riconobbe Alex, che si era messo in prima fila per ascoltarlo parlare, nonostante avrebbe dovuto esibirsi di lì a poco. Lo stava guardando. Alex Harrison lo stava guardando, con due occhi pieni di emozione. Gli sorrise, poi, dopo un piccolo inchino, scese dal palco più velocemente possibile per corrergli incontro. Si accorse quasi subito che avevano avuto la stessa idea: infatti lo vide arrivare dalla direzione opposta. Quando arrivarono a pochi passi l'uno dall'altro si fermarono, si guardarono negli occhi e sorrisero, da un lato George ancora agitato per il discorso, dall'altro Alex che lo guardava come se fosse la cosa più bella dell'universo.
«Non so... cosa devo... cioè posso...» iniziò a dire George.
Alex con un semplice bacio pose fine a tutte le sue domande, aggiungendo: «Sei stato semplicemente magnifico.»
«Non esageriamo ora.»
«Non sto esagerando, dico solo la verità.»
George lo baciò a sua volta e poi gli chiese: «Tu hai paura delle cose nuove?»
«Ma certo che sì idiota, l'hai detto anche tu che tutti abbiamo paura delle cose nuove.»
«Sì, ma intendo, hai paura anche di questo?» domandò indicando loro due con le dita.
«Un po' sì, ma è una paura bella, credo.»
«E ti fai delle domande?»
«Sì, più di quanto immagini.»
«Ad esempio?»
«Come fai a piacermi così tanto?» esclamò Alex, avvolgendo George in un abbraccio. E, in quell'abbraccio, George trovò la risposta alla sua domanda. Perché era lì? Ora lo sapeva: era lì per conoscere sé stesso, e dovette ammettere che ci stava riuscendo. E, anche se era solo all'inizio, avere dentro di sé quella piccola risposta lo rassicurava.

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Intrecci di stelle
Fiksi RemajaSotto il cielo stellato della prima sera al Wilson Camp, Faith e Andrew si incontrano. Da lì tutto cambia, perché questa non è solo la storia di Faith e Andrew. Infatti, da quel semplice e casuale incontro, si creerà una serie di amicizie, molte nat...