CAPITOLO 17

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«No, no e ancora no» sbottò Maggie, mettendosi le mani tra i capelli. Cominciò a far scorrere le dita attraverso la sua chioma ramata, partendo dalla radice fino ad arrivare alla punta, e così via. Quello era sempre stato il suo metodo infallibile per riuscire a concentrarsi, ma, stavolta, non voleva proprio saperne di funzionare.
«È tutto sbagliato» esclamò, mentre con la penna rossa tracciava una linea sul foglio che aveva davanti. Erano ore che se ne stava lì, seduta all'unica scrivania presente in camera sua, cercando di dare un senso logico allo spettacolo che lei stessa aveva ideato. Nella sua testa aveva tutto così senso, ma a metterlo su carta lo perdeva. E lei non sapeva più che fare, perchè l'intero gruppo di teatro contava su di lei.
«Forse è meglio che mi prenda una pausa» disse sospirando, e uscì dalla capanna per andare a prendere una boccata d'aria fresca, nel bosco.
Non appena arrivò si sedette su una roccia, chiuse gli occhi e si immerse nel turbinio di idee che le affollava la mente, ma venne ben presto travolta da un'ondata di pensieri negativi.
«E se fallisci?» domandò una vocina nella sua testa.
«Non sai scrivere» si unì un'altra voce, poi se ne unirono altre, una bufera di piccole voci che le abitavano la mente e la convincevano che non valeva niente.
«La tua idea fa schifo.»
«Non combinerai mai niente di buono.»
«Deluderai tutti.»
«Rovinerai lo spettacolo.»
«Facevi meglio a startene zitta.»
«Maggie» disse un'altra voce, che questa volta non era nella sua testa. Lei aprì gli occhi, accantonando tutti i brutti pensieri in un angolo remoto del suo cervello, ma consapevole che prima o poi sarebbero tornati.
«Alexander» rispose lei, visibilmente sorpresa nel trovarselo davanti.
«Va tutto bene?» le domandò lui.
«Sì sì» mentì lei, anche se sapeva che non era affatto così.
«Guarda che io capisco quando le persone stanno male» affermò Alex convinto.
«Cos'è? Una specie di superpotere?»
«Così mi offendi. Non conosci SuperAlex? È un supereroe di fama mondiale.»
«Fama mondiale nei tuoi sogni, forse.»
«Touché.»
Prima che Maggie potesse controbattere, fu Alex a prendere parola: «A parte gli scherzi, Margaret, sappi che se c'è qualcosa che non va basta dirlo.»
«Perché sei così gentile... con me?» domandò, dando alla parola "me" un tono di disprezzo.
«Perché sei fantastica. Invidio la tua creatività» le confidò lui.
«Io, fantastica? Non scherzare.»
«Sì, proprio tu, Margaret Bennet.»
Alex sembrava sincero nelle sue parole, perciò Maggie decise di credergli.
«Non ti ringrazierò mai abbastanza» gli disse, prima di alzarsi e abbracciarlo. Lui non fu sbrigativo, ma si impegnò a far capire all'amica che non era sola, che lui era lì se avesse bisogno di aiuto.
E fu in quel momento che lei capì. Non doveva scrivere del campo in sé per sé, ma delle amicizie e dei legami che il campo aveva creato. Con mille idee che le ronzavano per la mente, Maggie salutò Alex a malincuore.
«Grazie per il supporto, Alexander.»
«Era il minimo, Margaret.»
Lei si diresse verso la capanna, pronta a scrivere parole che non venivano più dalla mente, ma dal cuore.

Quella sera, il gruppo ormai fisso formato da Faith, Andrew, Grace e Edith si diresse al proprio tavolo per la cena. Non era realmente il "loro tavolo", perché non c'erano tavoli assegnati, ma a lungo andare ogni gruppo aveva trovato la sua zona preferita del padiglione, quindi c'erano delle proprietà non scritte, ma quello sul lato destro, circa a metà della sala, era il loro tavolo. Ma, quella sera, quando arrivarono al tavolo in questione, trovarono qualcuno già seduto, qualcuno che Faith conosceva bene e che Edith pensava di aver già visto. Raymond Gray: capelli biondo scuro, lievemente ondulati, occhi di un misto tra l'azzurro e il verde. Quegli occhi che aveva odiato per anni, ma, in un momento di confusione, le avevano fatto perdere la ragione.
«Che ci fai tu qui?» domandò Faith a fior di labbra. «I miei amici mi hanno scaricato e non sapevo con chi sedermi, quindi mi sono seduto nel primo posto libero» rispose Ray, ma Faith sapeva che stava mentendo.
«Scusatemi, ma voi due vi conoscete?» intervenne Grace un po' per allentare la tensione, un po' per cercare di capire cosa stesse succedendo. «Siamo compagni di classe» rispose Ray, senza nemmeno lasciare a Faith il tempo di capire la domanda. Fu in quel momento che Edith capì definitivamente chi era quel ragazzo che gli aveva appena chiesto di cenare con loro: era lo stesso ragazzo che, pochi giorni prima, le aveva chiesto con acceso interesse della situazione sentimentale di sua sorella, il giorno in cui Noah aveva intuito la situazione scomoda in cui era incastrata ed era venuta a darle una mano; quella, però, era un'altra storia.
«Posso cenare con voi, quindi?» chiese Ray, con la sua miglior aria innocente. Nessuno se la sentiva di dirgli di no ‐ a parte Faith, che gli avrebbe volentieri rifilato il suo vasto repertorio di insulti -, quindi dovettero accettare. Era la prima volta da quando si erano trovati che mangiavano con qualcuno che non era del loro gruppo ristretto. Se fosse stato qualcun'altro, per esempio Maggie, non si sarebbero fatti alcun problema, ma Ray non ispirava chissà quanta simpatia. «Certo, non c'è problema» rispose Andrew dando voce ai pensieri di tutti. Faith e Andrew si sedettero da un lato; Grace, Edith e Ray dall'altro.
Inizialmente il gruppo decise di adottare la strategia di parlare come loro solito, fingendo che Ray non esistesse, ma, a quanto pareva, Ray non apprezzava questa tattica e cercava, quindi, di essere coinvolto in ogni modo nelle conversazioni dei quattro e, soprattutto, cercava di attirare l'attenzione di Faith, sia con le parole, sia con i fatti, incurante del ruolo che Andrew svolgeva nella vita della ragazza.
La situazione si stava facendo decisamente imbarazzante e, quando Jeff dichiarò finalmente conclusa la cena, il gruppo tirò un sospiro di sollievo. Fecero per alzarsi, intenzionati a tornare in camera prima di partecipare alle attività della sera, ma Ray si alzò di scatto e prese Faith per un braccio. «Perché continui a evitarmi?» le chiese sussurrando.
«Vai al diavolo, Ray» mormorò Faith in risposta, uscendo in fretta e furia dal padiglione. Edith fece per seguire la sorella, quando Andrew la rassicurò dicendo: «Forse è meglio che vada io, non preoccuparti.»
Andrew uscì, quindi, dal padiglione, lasciando sole le due ragazze a riflettere sull'accaduto.
«Faith! Faith, dove sei?» chiamò lui, ma prima di avere il tempo di sentire qualsiasi risposta, la vide. Era seduta su un ceppo, con lo sguardo perso a guardare il cielo.
Andrew si ricordò della notte in cui si incontrarono: sembrava passata un'eternità ma invece era accaduto solamente pochi giorni prima. Era bastato un solo sguardo, una sola occhiata a quegli occhi di stelle, per capire di avere davanti la sua persona. Senza neanche accorgersene, si ritrovò a ripetere le parole che aveva detto quella notte: «I tuoi occhi brillano di più dell'intero universo» sussurrò avvicinandosi a Faith. «Adesso quello non significa più nulla» mormorarono all'unisono, e nella voce di lei Andrew percepì una traccia di pianto, ma fu guardandola negli occhi che ne ebbe la conferma. Quelle iridi stellate, immerse nelle lacrime, erano un qualcosa di indescrivibile.
Vedendo la sofferenza nei suoi occhi, Andrew le prese la mano, intrecciando le proprie dita a quelle di lei, e fu in quell'istante che Faith buttò fuori tutto: «Odio Ray con tutta me stessa. È meschino, manipolatore. E io sono ingenua, stupida, sono così fragile... sì, è un mio compagno di classe, ma le uniche conversazioni che avevamo erano battute acide e sarcastiche. Ci siamo sempre odiati. Un giorno, un maledetto giorno, è dovuto venire a casa mia per un lavoro di gruppo. Eravamo in tre: io, lui e Jessica, un'altra mia compagna. Jessica dovette andare in bagno e restammo noi due soli, fu in quel momento che mi disse: "È proprio destino". Mi guardò e io mi feci ingannare da quegli occhi a tratti azzurri a tratti verdi. Senza che me ne accorgessi mi prese il viso tra le mani e mi baciò - solo a ripensarci mi viene da vomitare. Ero andata in confusione, non riuscivo a realizzare quello che stava succedendo. Lui adesso pretende di avere qualche sorta di controllo su di me. Non l'ho mai detto a nessuno.»
Il viso di Faith era rigato di lacrime e Andrew sentiva montare dentro una rabbia disumana, ma non avrebbe avuto senso essere arrabbiati. Non lì, non con lei. Quindi si limitò a stringerle la mano più forte e a dirle: «Nessuno osa fare del male alla mia ragazza di stelle.»

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