CAPITOLO 22

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Dopo le confessioni che i ragazzi avevano condiviso quella domenica sera, qualcosa era cambiato; tutti iniziarono a legare sempre di più, trascorrendo insieme vari momenti nel corso della giornata: a partire dai pasti, dove il tavolo, prima occupato da sole quattro persone, ne ospitava ora otto, fino ai momenti morti che si creavano tra un'attività e l'altra.
Diventarono ancora più uniti grazie al teatro, di cui tutti facevano parte, eccetto Faith. Lei ci era rimasta un po' male, perché, nonostante gli altri le raccontassero per filo e per segno tutto quello che accadeva durante gli incontri, non era la stessa cosa di essere lì.
Si sentiva in qualche modo esclusa e iniziava a farsi strada in lei il pensiero di abbandonare il disegno per il teatro. Nonostante le dispiacesse mettere da parte quella che era la sua più grande passione, avrebbe fatto questo e altro per le prime persone che, nella sua vita, la facevano sentire davvero a casa: fu così che, il mercoledì, decise di dirigersi al club di teatro.
Quando entrò, erano tutti talmente indaffarati che nessuno si accorse della sua presenza. Restò lì, in piedi sulla soglia, a osservare: vide Grace, che stava coordinando un piccolo gruppo di ballerini, vide Edith e Maggie, chine su un tavolo a scrivere su dei fogli e, infine, vide lui: Andrew. Stava parlando con la coordinatrice del laboratorio, quando si voltò e la vide. Le corse incontro con un sorriso che gli attraversava l'intero viso.
«Arrivi proprio nel momento giusto, Faith» esclamò lui con gli occhi che brillavano di felicità. Lei non capiva cosa stesse succedendo, ma prima che potesse chiedere spiegazioni lui continuò: «Stavo giusto dicendo a Janice che sarebbe bellissimo se il nostro spettacolo avesse anche un risvolto artistico. Le ho proposto, infatti, di chiedere a voi del laboratorio di disegno se foste disposti a realizzare scenografie, striscioni, o anche solo disegni da appendere sopra il palco per rendere il tutto più magico.» Poi si avvicinò per sussurrarle: «Sapevo che ci tenevi a fare la tua parte per il nostro progetto, ma non potevo permetterti di abbandonare il disegno.»
Faith rimase a bocca spalancata: come aveva fatto Andrew a capire le sue intenzioni?
Stava per domandarglielo, quando si rese conto di quello che lui aveva fatto per lei senza che glielo chiedesse. Senza pensarci troppo, spalancò le braccia e avvolse Andrew in un abbraccio, sussurrandogli solamente: «Grazie.»
Poi si rivolse a Janice, dicendo: «Vado subito a riferire la vostra idea a Steven, ma sono certa che la apprezzerà.»
Come previsto, Steven accolse calorosamente l'iniziativa proposta dal laboratorio di teatro, così come tutto il gruppo di disegno, che ringraziò Faith per quella possibilità un po' diversa dall'ordinario. Questa, però, non fu l'unica grande idea della settimana.

Quel pensiero iniziò a farsi strada nella mente di Edith durante la cena del giovedì sera. Tutti ridevano e scherzavano in quello che era diventato ormai il suo gruppo di fiducia: lei, Faith, Andrew, Grace, i gemelli, Maggie e George. Era davvero felice di aver trovato delle persone che la capivano e che l'accettavano per quello che era, ma, allo stesso tempo, si rendeva conto che ormai il campo era arrivato a metà e, perciò, restavano pochi giorni da trascorrere con loro. Certo, sarebbero rimasti in contatto, ma non sarebbe stata la stessa cosa: non sarebbe stato come svegliarsi ogni mattina facendo colazione insieme, condividendo le attività, il laboratorio di teatro, i pranzi e le cene. Il campo si era rivelato un posto magico ed Edith era decisa a conservare la magia finché durava.
Il suo sguardo cadde su Faith ed Andrew, che si trovavano davanti a lei. Stavano parlando di come quella mattina la loro squadra avesse stracciato quella di Alex e George durante il tiro alla fune, ma Edith sentiva che non si trattava solo di funi. Se loro erano lì, in quel momento, probabilmente era grazie a Faith e Andrew, perché era stato il loro casuale incontro a farli conoscere, in una maniera o nell'altra. Edith credeva fosse opera del destino, qualunque cosa esso fosse.
Più li guardava, però, più sentiva che mancava qualcosa. Coglieva i loro sguardi rubati durante la conversazione, i timidi sorrisi che si scambiavano e gli impercettibili tocchi delle loro mani sotto al tavolo. Vedeva sua sorella felice come non l'aveva mai vista, ma, in cuor suo, sapeva che avrebbe potuto essere più felice, che tutti avrebbero potuto essere più felici, se l'ultima tessera del puzzle si fosse inserita al suo posto. Guardandoli, si rendeva conto che non sarebbero mai riusciti a dirsi ciò che provavano: erano entrambi troppo timidi. Tutto quello che serviva loro era una piccola spinta, giusto per dargli la conferma definitiva che si piacevano a vicenda e non c'era bisogno di girarci attorno. Per quanto fossero teneri, Edith sentiva che il tempo stava scadendo e loro avevano il diritto di essere felici, almeno per un po'; fu così che cominciò quello che, in seguito, venne chiamato "il complotto".

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