Entro in camera da letto in punta di piedi.
La stoffa nera che mi avvolge è una morbida carezza, il vestito sembra essere stato cucito su misura per me. Con la coda dell'occhio seguo il riflesso dallo specchio di fronte. Lo strascico si conforma alla mia andatura, conferendole molta più eleganza. È forse la decima volta che mi guardo. Non mi riconosco in quest'eccesso di vanità, ma non riesco proprio a staccare gli occhi da tutta questa meraviglia. I capelli sono legati da un fiocco nero in una coda bassa che scende lungo la mia spalla destra.
«Ninì, mi aiuti?».
Alina è seduta alla mia scrivania e tenta invano di legarsi al collo una sottile collana d'argento. Indossa un vestito rosa cipria con una lunga gonna in tulle che la rende a tratti impacciata. Questo aspetto stona parecchio con i suoi modi di fare sicuri ed è capace di strapparmi un sorriso.
Mi avvicino a lei e i nostri sguardi si incontrano nel piccolo specchio ovale che ha usato per truccarsi.
«Sei una strafiga, lo sai?».
Una luce carica di emozione illumina i suoi occhi mentre Alina mi parla. Distolgo lo sguardo, concentrandolo sul gancio della collana.
«Ma stai zitta» mormoro.
«Dico sul serio, e poi questo vestito... insomma, la ferita non si nota affatto» farfuglia, una nota di leggero disagio attraversa la sua voce adesso che ha deciso di affrontare questo argomento scomodo.
«Se lo dici tu».
Vorrei che cambiassimo discorso ma Alina continua a sondare il terreno.
«Lo sai, ho parlato un po' con tua madre e ho scoperto che non è stata una semplice influenza a causartela».
Sbuffo, allontanandomi da lei per recuperare le scarpe in una scatola sotto al letto. Sono nere ed eleganti come il vestito, ma solo a guardarle la mia mente anticipa il dolore dell'indossarle per tutta la notte. Un flashback invade prepotente la mia mente: è il ricordo dei miei piedi nudi sull'erba fredda, al lago delle tre miglia... dentro Onis.
«Terra chiama Nina» si lamenta la mia migliore amica.
«Non si sa ancora quale sia stata la reale causa».
Sostengo il suo sguardo con fare tranquillo e un prepotente senso di colpa mi pervade il petto. Quando ho imparato a mentire così?
Veniamo interrotte da una serie di passi concitati lungo le scale in legno che conducono al piano superiore. Mia madre si affaccia sulla soglia, ha legato i capelli in uno chignon basso e al petto stringe una copia del romanzo "Misery" di Stephen King.
«Oh mio dio, ma siete già pronte. Il mio cuore non regge questa visione» bisbiglia, la faccia contratta dall'emozione. La osservo mentre si avvicina a braccia aperte per stringerci entrambe in un abbraccio.
«Siete bellissime».
«Mi siete mancate» mormora Alina, quasi all'unisono. La sua voce arriva distorta a causa della forza con cui mia madre ci stringe a sé.
«Crescete troppo in fretta, dov'è l'interruttore per fermarvi?».
Alina scoppia a ridere. Chiudo gli occhi e per un attimo mi lascio andare all'abbraccio che nessuna di noi ha il coraggio di sciogliere. L'odore dolce di mia madre si mischia a quello delicato della mia migliore amica. Sono a casa, per la prima volta dopo tanto tempo.
«Io e Mark verremo a prendervi più tardi, non fatevi trovare ubriache» si raccomanda mia madre.
«Tu e Mark, eh?» chiedo senza riuscire a nascondere una punta di malizia.
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Dark Academy - L'accademia oscura
ParanormalI sogni hanno la capacità di mostrare la parte più profonda e celata dell'essere. Nella dimensione onirica le nostre difese psichiche cedono, e scopriamo una parte di noi stessi che ignoriamo. Ma cosa succede se quel mondo astratto si dimostra più c...