È sabato mattina, il giorno dopo Samhain.
Le strade sono deserte e il sole, anche se sorto da qualche minuto, è al sicuro dietro un folto strato di nuvole. Le guardo solcare il cielo a velocità sostenuta, spinte da un vento che soffia gelido contro la lunga vetrata che circonda l'aeroporto di Edimburgo.
Mi sembra così assurdo tornare qui. Sono passati tre mesi ma è una vita fa.
Cammino piano, lascio che le persone e gli spazi mi passino accanto senza davvero guardarli. Mia madre e Alina camminano a qualche metro da me. Alina trascina la sua valigia rosa su cui è ancora attaccata l'etichetta del volo di andata. Anche il suo passo è lento; è come se si trascinasse poco convinta verso i controlli di sicurezza.
«Ragazze andiamo, che so che il momento è difficile ma sono sicura che avremo di nuovo l'occasione di stare insieme».
La voce squillante di mia madre mi arriva alle orecchie nel momento in cui mi abbandono contro lo schienale di una panchina. Mi sento morire. Mancano pochi minuti all'apertura del check in per il volo diretto a Honolulu. Alina rimane in piedi, stoica, di fronte a noi. Dalla tasca della lunga giacca in tweed beige e marrone estrae il telefono per digitare un messaggio che so per certo non sarà mai rivolto a me. Le dita si muovono agili e silenziose e gli occhi sono fissi sullo schermo, quasi ipnotizzati.
La conosco troppo bene: questo è il suo modo per farmi sentire in colpa.
«Ragazze?» il tono di voce di mia madre si colora di sospetto.
Punto gli occhi su Alina per guardarla in cagnesco, poi incrocio le braccia al petto. Perfetto, ha raggiunto proprio il suo obiettivo. Ora le possibilità di sfuggire al terzo grado sono pari a zero.
«Mi sono chiaramente persa qualcosa» continua poi mia madre con voce ancora più risoluta e anche un po' risentita, a causa del nostro prolungato silenzio.
«Mamma, non è il momento» sbotto, forse anche in modo troppo acido.
Alina mi scruta con cipiglio, passandosi una mano tra i ricci. I boccoli castani ondeggiano aggraziati davanti lo sguardo frastornato di mia madre.
«Zoe, mi dispiace lasciarvi così ma come ha detto anche Nina, non è il momento» aggiunge poi con voce monotona.
«Ah, l'adolescenza!» esclama lei, scuotendo con vigore la testa. Ha gli occhi rivolti al cielo.
«Va bene, fate come volete. Ma poi non lamentatevi della lontananza, abbiamo ancora tre anni da passare qui. Le ricerche nel mio campo possono durare anche molto di più, lo sapete vero?».
«Non so se Alina verrà più a trovarci» dico con un filo di voce, continuando a fissare il vuoto.
Entrambe mi guardano come se fossi una specie di mostro.
«Nina, che cosa ti succede? Non ti ho mai sentito parlare in questo modo. Forza, chiariamo subito questo malinteso, non è così che voglio vedervi... proprio adesso che Alina riparte».
Mia madre addolcisce il tono di voce ma il volto è ancora segnato dalla preoccupazione.
«Non importa, Zoe, davvero».
Alina agita una mano nella sua direzione per farla desistere, ma so già che sarà impossibile.
Sbuffo, alzandomi in piedi. Compio due passi verso la mia amica, poi mi fermo e la guardo, lo faccio davvero stavolta. Indugio sulla linea che unisce il naso alle fitte sopracciglia, sulle lentiggini che coprono l'intera faccia, sul tratto elegante dell'eyeliner degli occhi ora vacui e spenti.
Alina.
Che cosa siamo davvero, adesso?
«Mi dispiace, per tutto» le dico.
STAI LEGGENDO
Dark Academy - L'accademia oscura
ParanormalI sogni hanno la capacità di mostrare la parte più profonda e celata dell'essere. Nella dimensione onirica le nostre difese psichiche cedono, e scopriamo una parte di noi stessi che ignoriamo. Ma cosa succede se quel mondo astratto si dimostra più c...