Capitolo 17 - Siamo sempre stati qui

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«È peggiorato?».

Faccia d'angelo indica il mio braccio fasciato. Senza pensarci lo nascondo dietro la schiena.

«No, in realtà va molto meglio», mormoro.

«Sei sicura?» insiste lui.

Sbuffo, tornando a occuparmi della cena, o almeno di quello che ne è rimasto. Le patate bruciate finiscono nella pattumiera e la pentola nel lavandino della cucina.

«Si può sapere che cosa ci fai qui, Julian Moss?» chiedo, continuando a lavare il resto degli utensili che mia madre ha utilizzato.

«Te l'ho detto, abbiamo un lavoro su Goethe da consegnare in tre settimane».

Alzo gli occhi al cielo e afferro un panno per asciugarmi le mani, facendo attenzione a non spostare la benda, così che l'escoriazione resti lontana dai suoi occhi.

«Non mi riferivo solo a quello», replico in tono duro.

Julian scuote la testa, sul suo volto un sorriso sghembo.

«Quello che ti sta accadendo non è normale... e io voglio assicurarmi che tu stia bene».

Ha una voce cupa e il contrasto con i lineamenti delicati del suo volto è molto profondo. Lo guardo senza dire nulla e il silenzio all'improvviso è troppo.

«Non ho bisogno che tu ti assicuri di nulla, grazie. E per la cronaca sto benissimo».

«Davvero?» chiede, riducendo di nuovo la distanza fra di noi.

«Si può sapere che cosa vuoi da me?».

Il mio sguardo si affila sempre di più.

«Voglio sapere come questo sia stato possibile» Julian mi afferra il braccio bendato e io sussulto, strappandolo immediatamente dalla sua stretta. La benda si sposta mostrando la ferita in tutta la sua orribile forma. Rossa e gonfia del potere che l'ha risvegliata. Faccia d'angelo la osserva a lungo, un'ombra passa sul suo volto.

«C'è una leggenda che riguarda la Grand Chilton...» dico con voce tremante, indietreggiando di qualche passo e riportando la sua attenzione sul mio volto. Julian ne studia ogni centimetro con attenzione.

«Parla di magia nera...» continuo con difficoltà, cercando di non sentirmi una stupida.

«Vuoi sapere se quello che ti sta succedendo abbia a che fare con questa leggenda?» mi chiede lui.

«E con la tua stramaledetta capacità di leggermi nella mente» concludo, sentendo di nuovo le guance avvampare e interrompendo il contatto della sua mano sul mio braccio.

Il ragazzo ridacchia piano. Da così vicino, sono in grado di notare le sue lunghe ciglia e le pagliuzze chiare negli occhi nocciola. Come può una bellezza così eterea appartenere a qualcosa di così oscuro?

Quel pensiero ormai incontrollabile arriva alle sue sinapsi. Julian abbassa lo sguardo, la fronte corrugata, come se quell'idea l'avesse in qualche modo ferito.

«Passo a prenderti domani alle tre del pomeriggio. Con tua madre puoi usare la scusa del lavoro di gruppo» mi dice.

«Quindi è solo una scusa?».

Una parte di me spera ancora di non dover passare i miei pomeriggi con lui per le prossime tre settimane, ma Julian scuote la testa.

«Mi dispiace, Nina, quella parte è vera. Goethe però può aspettare, domani torneremo dal professor Noordman».

«Non c'è bisogno che tu passi a prendermi, so arrivarci a piedi» gli faccio presente, «e comunque non hai ancora risposto alla mia domanda».

Il ragazzo mi guarda intensamente.

Dark Academy - L'accademia oscuraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora