Capitolo 6 - Jet lag

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Il minimarket non è molto lontano.

Compro della pasta fresca, un po' di panna e dei funghi. Sento lo sguardo inquisitore della cassiera che indugia  a lungo sulla divisa scolastica e forse non dovrei farmi vedere troppo in giro con questo stemma ricamato sul petto.

Mi affretto a tornare a casa, perché con il buio arrivano le temperature gelide dell'autunno in Scozia. Non sento più la mano che tiene stretta la busta della spesa e il vento freddo sembra fatto di mille lame affilate che tagliano il volto.

Ho una strana sensazione.

È come se in qualche modo riuscissi a sentire di non essere da sola.

Mi fermo spesso per guardare indietro, ma non vedo mai nessuno.

Ladby è deserta dal tramonto in poi.

"Che cosa ti aspettavi con queste temperature, il festival di Woodstock?" si lamenta sarcastica la  vocina dentro di me.

Arrivo a casa prima di mia madre, come ho già previsto. I primi giorni in un nuovo laboratorio sono sempre pieni di imprevisti e di straordinari.

Mi tolgo la divisa e decido di indossare un paio di jeans comodi e una felpa nera. Lego i capelli in uno chignon spettinato e decido così di iniziare a preparare la mia cena last minute, impiegando il doppio del tempo a causa della stanchezza e del fatto che non sappia ancora bene dove si trovino gli utensili in cucina. Ho acceso la radio locale di Ladby. Essere immersa nel silenzio non mi aiuta a mitigare quella strana sensazione di essere osservata. Ogni tanto, il mio sguardo vaga oltre la porta finestra di fronte a me, l'unica via verso il retro del giardino. Le ultime luci del giorno sono sparite e il buio fuori mi inghiotte. L'inquietudine si fa ancora più forte dentro di me.

Il telefono nella tasca dei jeans vibra.

È un messaggio da parte di mia madre. Nulla di buono, penso prima ancora di leggerlo. So quanto odi scrivermi anziché chiamarmi, ma a volte è così presa dal lavoro che non può fare altrimenti.

"Cena senza di me, mi dispiace. Abbiamo ancora un paio di ore intensive qui. Mark ha ordinato del sushi, bleah. Sei a casa?"

Sorrido al pensiero di mia madre e del suo odio sconfinato per tutto ciò che sia verde, viscido o crudo. Digito in fretta una risposta.

"Sono a casa, sana e salva. Ti lascio un piatto di fettuccine ai funghi. Ti voglio bene"

Torno ai fornelli e scolo la pasta, mischiandola con la crema ai funghi che ho riscaldato. Mangio la mia porzione davanti il televisore acceso, in salotto. Non c'è nulla di interessante e mi ritrovo a fare zapping più a lungo di quanto dovrei. Infine decido di dare una possibilità a una serie TV storica. L'episodio è iniziato da circa quindici minuti e io faccio già fatica a seguirne la trama.

I miei pensieri sono ancora lì, alla Grand Chilton.

A Evie Moss, alla faccia d'angelo che è nel gruppo con lei, e a quel ragazzo misterioso del sogno che ho rivisto a scuola.

Lascio il piatto vuoto sul tavolino di fronte al salotto e mi rannicchio in un angolo, circondata dai numerosi cuscini che lo decorano. Sento le mie palpebre farsi sempre più pesanti.

Colpa del jet lag. Sbadiglio.

Aspetterò mamma qui, non è così male se mi addormento per un po'.

Di colpo, la lampada accanto al divano inizia a lampeggiare. Prima piano, ogni tre o quattro secondi. Poi sempre più di frequente, come in una specie di codice morse che dovrei in qualche modo interpretare.

Dark Academy - L'accademia oscuraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora