NON TI LASCIO PERCHÈ TI VOGLIO BENE

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A Dante è stato diagnosticato un tumore al cervello. Dante è sotto i ferri.

La sua famiglia è riunita lì, nella sala d'attesa, da ormai più di un'ora, più di due... sembra un tempo infinito, sembra snervante.

Ci sono Anita, Floriana e Virginia, ci sono Simone e Manuel. Ognuno si vive quel silenzio e quel dubbio a proprio modo. Anita cammina avanti e indietro, stracolma d'ansia. Floriana ha bevuto ormai tre caffè e continua a dondolare il piede divorata dall'agitazione. Virginia le è accanto, stringendo in mano un fazzoletto con il quale, sporadicamente, si asciuga le lacrime. Simone è immobile, con la testa poggiata al muro dietro di sé, con gli occhi chiusi e la braccia conserte. Manuel gli sta davanti, in piedi, come a proteggerlo.

<Vuoi qualcosa dalle macchinette?> gli domanda, chinandosi davanti a lui per non disturbare quel suo momento. Simone nega, scuotendo la testa, richiudendo poi gli occhi. Manuel alla fine compra una bottiglietta d'acqua, per chiunque possa averne bisogno, e si accomoda accanto al suo amico.

È ancora immobile, pietrificato, con il viso completamente teso da quell'attesa fin troppo prolungata. Manuel, conoscendolo, sa che Simone starà soffrendo di mal di testa per quanto stringe i denti, per quanto si stia mordendo l'interno delle guance per distrarsi, almeno un po'.

Manuel tira fuori le cuffiette dalla tasca e le collega al suo telefono. Ne passa una a Simone che non afferra perché neanche si accorge di quel gesto. Così gli mette direttamente lui stesso la cuffietta nell'orecchio e fa partire un po' di musica R&B. Simone, non reagisce negativamente, anzi, si sistema meglio l'auricolare per non farlo cadere.

Le loro braccia si sfiorano e Simone, a causa della stanchezza, scivola in modo impercettibile, sempre di più sulla sua spalla. Fino ad appoggiarcisi definitivamente.

Sentirlo lì, per Simone, è la cosa più importante. Lui c'è, è presente, è vivo. È tangibile.

Manuel vorrebbe stringerlo, vorrebbe che lui si poggiasse direttamente sulle sue gambe, vorrebbe consolarlo, ma ha paura. Paura di poter scatenare un uragano, paura di farlo piangere.

Ma forse è troppo tardi, perché sente una lacrima sulla spalla e poi lo sente singhiozzare sommessamente.

Ed è lì che abbassa lo sguardo e gli sfiora una guancia con le dita per provare a lavare via quella lacrima. E poi vorrebbe tornare al suo posto, ma Simone gli stringe la mano sul volto, costringendolo a restare a consolarlo, anche solo con quel gesto. Ed un po' si calma, nonostante le lacrime scendano da sole, e si rilassa sotto quella mano calda e premurosa.

<Vuoi sdraiarti?> gli chiede con un sussurro. Le tre donne non potevano sentirli, isolate nelle loro bolle un po' più in là. Simo scuote la testa senza proferir parola.

Manuel aveva paura a muoversi, aveva paura a fare qualsiasi cosa. Non voleva rompere o modificare l'equilibrio di cui Simone aveva bisogno. Un equilibrio precario ma vitale, in questo momento.

Poi sente un nuovo singhiozzo, una nuova lacrima. Nota la sua mano sollevarsi per potersi asciugare il naso con il palmo.

Manuel tira fuori il pacchetto di fazzoletti che ha in tasca e gliene allunga uno: <Usciamo un attimo, prendiamo un po' d'aria Simo> gli toglie la cuffietta e rompe l'equilibrio. Si solleva in piedi e tende una mano all'altro per invogliarlo a seguirlo.

Simone non se lo fa ripetere due volte e s'alza di malavoglia. Trascina i piedi fino al piccolo terrazzino. Manuel tira fuori una sigaretta e l'accende. Un tiro a testa, come sempre.

Gli occhi di Simone sono rossi e languidi. Al sole sono schiusi per la troppa luce, per la stanchezza. Ormai sono passate tre ore.

Restano in silenzio per tutto il tempo, passandosi la sigaretta e guardandosi negli occhi. Manuel non gli toglie mai lo sguardo di dosso per paura che possa crollare, per paura che possa piangere.

OS'S COLLECTION SIMUELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora