Simone aspettava da prima delle nove del mattino. Simone non aveva nemmeno dormito in realtà. Il matrimonio era finito all'alba e lui era passato da casa solo per cambiarsi, farsi una doccia e preparare uno zaino. Non aveva bisogno di niente. Aveva solo voglia di vedere Manuel varcare quella porta a vetri. Voleva vederlo lì con lui, con un biglietto in mano per una meta qualsiasi in Europa.
Simone era poggiato sulle sedie, quelle in ferro, un po' fredde. Si sarebbe potuto anche addormentare per la stanchezza ma in quel momento anche solo perdere un secondo la visuale della porta per un battere di ciglia, gli sembrava imperdonabile. Non poteva perdersi l'ingresso di Manuel. La sua gamba continuava a muoversi su e giù, agitata, in ansia, come se dovesse scaricare l'energia assunta con tre caffè bevuti a shottino di fila.
Simone guardava l'orologio enorme appeso all'aeroporto e notava come le lancette dei secondi sembrassero andare così lente. Dovevano correre quelle lancette! Dovevano galoppare! Le dieci. Dovevano arrivare le dieci!
E invece erano ancora solo le 9:15.
Ascoltò i vari autoparlanti che annunciavano i voli in partenza, ascoltò i passi attorno a lui, le rotelle delle valigie scorrere sul pavimento in modo cadenzato passando da una mattonella lucida ad un'altra, passando da una texture ad un'altra. Ascoltò le lingue e cercò di capire, cercò di concentrarsi su ogni suono, su ogni profumo, su ogni stupidità che potesse intrattenerlo e costringerlo a rimanere sveglio.
Simone era impaziente. Simone non voleva più aspettare.
Manuel doveva presentarsi. Non poteva non venire. Non poteva lasciarlo lì da solo. Non lo avrebbe fatto, vero?
Simone non riusciva a smettere di pensarsi. E se non si fosse presentato? Sarebbe finito tutto davvero. Quel filo sottile che ancora li teneva insieme si sarebbe spezzato definitivamente.
Ma poi qualcosa successe.
Il telefono prese a squillare nella sua tasca e si smosse di scatto per quell'evento inaspettato. Era Anita.
<Pronto?> rispose sollevandosi in piedi e iniziando a camminare avanti e indietro.
<Simone. Ei... sei ancora in aeroporto?> le domandò dall'altra parte del telefono.
<Sì, perché?> sperava potesse dargli qualche informazione.
<Sono rientrata adesso a casa, ero da Manuel. Mi ha raccontato di Riccardo, di te... de tutta la situazione che si è creata ieri sera> aveva la voce stanca, di una donna che non aveva chiuso occhio, di una donna che non vedeva l'ora di riposarsi in un letto, di dormire, di smetterla di preoccuparsi per suo figlio.
<Mi dispiace se non te ne ho parlato. Mi aveva chiesto di non farlo...> lasciò la frase a metà. Non capì il perché di quella chiamata. Ma sicuramente il suo cervello si riempì di concetti che sperava di non dover nemmeno prendere in considerazione:
1 - Manuel era a casa.
2 - Manuel non sarebbe venuto.
3 – Manuel non lo amava.
<Non ti ho chiamato per questo. Lo so che voi due avete sempre avuto un certo rapporto e mi dispiace di non essere nemmeno riuscita a capirlo. Però volevo dirti che spero lui venga in aeroporto. Spero che arrivi in tempo. T'ho chiamato solo per dirti questo. Pe' dirti che a me sta bene questa cosa tra de voi...> sentì in sottofondo: <Se può valere anche la mia parola... anche a me sta bene!> suo padre alzò la voce per farsi sentire e un piccolo sorriso gli spuntò sulle labbra involontariamente.
<Grazie> era esausto di aspettare una persona che non sarebbe mai arrivata: <Ma tanto in questo momento a decidere è solo lui. E credo che la sua scelta l'abbia fatta...> lo disse amaramente perché non poteva crederci.
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OS'S COLLECTION SIMUEL
FanfictionVisto che leggo sempre idee interessanti su Twetter per nuove storie Simuel, ho deciso che, sotto i vostri/nostri desideri, scriverò qualche One Shot (o anche qualche storia a più capitoli). Se avete richieste, sapete dove contattarmi