VENERDÌ PLAESENTVILLE pt2

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Manuel correva quel venerdì. Correva come ogni venerdì. Solo il venerdì però. Perché non andava sempre in studio, anzi, quando lavorava alla sua musica preferiva stare a casa sua, in quel suo appartamento torbido, pieno di fumo di sigarette, fogli stropicciati e strumenti musicali ovunque.

Manuel correva quel venerdì perché doveva andare a lavorare ad una nuova base, insieme ad altri produttori. Ormai era quello il suo lavoro.

Aveva mollato con la filosofia, o meglio... l'aveva un po' accantonata. Aveva capito che l'università forse non era il luogo adatto per un temperamento con il suo. Invece la musica era più adatta. Riusciva ad incanalare le sue emozioni in melodie, parole, canzoni, poesie.

Quindi alla fine la filosofia non l'aveva del tutto persa, l'aveva solo tramutata in musica. E poi, comunque, continuava a leggere Kant, Rousseau, Giordano Bruno... nel tempo libero, nei momenti sì.

I momenti no c'erano ancora qualche volta. Con lo scorrere degli anni erano diminuiti e aveva deciso finalmente di seguire in modo pedissequo un percorso psicologico. Aveva deciso che la sua infinita tristezza e insicurezza doveva essere riversata solamente nella sua musica.

Però ancora a quell'addio ci pensava.

Soprattutto negli ultimi mesi che sono stati un po' più tristi.

Quel venerdì però era positivo. Era in ritardo, certo, però positivo. Corse giù per le scale della metro, cercando di farsi largo tra le folle di persone ingabbiate nelle loro vite un po' troppo lente per i suoi ritmi. Arrivò alla banchina ma le porte gli si chiusero di fronte. Sentì il vento freddo della metro sfrecciare sul viso e sui capelli che era tornato a far crescere. Si accomodò lì, in mezzo a tanti altri passeggeri che iniziarono ad accumularsi accanto a lui, aspettando la prossima.

Si sentì anche un po' spintonare ma cercò di mantenere la calma, nonostante le sue dita in tasca stessero continuando a giocare con le chiavi di casa. Manuel era in ritardo. Lo era davvero tanto. Già doveva essere in studio e non sarebbe arrivato nemmeno con i suoi soliti 10 minuti canonici. Stavolta sarebbero stati di più.

Allora a quel punto mandò direttamente un messaggio, sperando che il segnale fosse – almeno lui - dalla sua. Ma ovviamente il messaggio su Whatsapp nemmeno partì: l'orologio grigio piccino rimase così. E più Manuel lo fissava e più rimaneva immobile e identico.

Prima o poi si sarebbe inviato.

Avrebbe chiesto scusa, ma alla fine sarebbe arrivato.

Si sentì spingere ancora e poi ancora ma mantenne i piedi saldi per terra, non volendo minimamente lasciare il suo posto davanti alla linea gialla, già sulla sua postazione di partenza per poter entrare più in fretta possibile nella metro. Iniziava a sentire caldo a causa di tutta quella gente ammassata, iniziava a perdere un po' di fiato, ma non si sarebbe spostato.

Si sentì spingere di nuovo e si voltò stavolta. Il ragazzo alle sue spalle subito alzò la mano per scusarsi: <Scusa, stanno spingendo da dietro...> forse voleva pure aggiungere altro ma rimase immobile, con la mano a mezz'aria e la bocca schiusa.

Manuel lo avrebbe riconosciuto in tutti i modi, perché Manuel non avrebbe mai dimenticato quegli occhi.

<Manuel> la sua voce cambiò in un attimo, abbassandosi e addolcendosi.

La gente attorno a loro era sempre di più, sempre più compressa, sempre più asfissiante ma Manuel sentì come una boccata d'aria. Una boccata d'aria fresca prima. Marcia poi.

<Simone> si guardarono negli occhi per attimi infiniti. Non sarebbero comunque mai bastati a colmare la distanza che li aveva divisi per quasi sette anni.

OS'S COLLECTION SIMUELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora