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BETTY

Picchietto la penna sul quaderno e fisso Josh con la testa inclinata, la divisa è perfettamente stirata ma manca la cravatta e la camicia ha i primi bottoni slacciati. I miei occhi intercettano un sacco di lentiggini anche sul suo petto, mi domando quanti problemi gli abbiano creato da bambino. 

So che non gli piacciono, anche se finge di adorarle. Sa benissimo che le ragazze ne vanno matte, però, e non manca mai di sfruttare il suo aspetto per ottenere ciò che vuole. 

Mi schiarisco la voce e lui mi lancia uno sguardo, sta mangiando un lecca-lecca alla fragola e ha un ciuffo di capelli che continua a cadergli negli occhi. Il chiacchiericcio della classe mi costringe ad avvicinarmi per parlare con lui. 

Siamo a metà settimana e ci siamo visti poco, Josh è molto impegnato con gli allenamenti e io a mandare avanti casa mia.

«Hai mai subito bullismo?»

Quella domanda lascia le mie labbra senza il mio permesso. Josh mi fissa con un sopracciglio ramato inarcato, gli occhi color miele fissi sul mio viso che sta arrossendo. Sento le guance avvampare, il calore mi si estende fino al collo.

«Che diavolo di domanda è?»

«Una domanda per il compito di psicologia, Josh. Tutti sono già al lavoro, noi parliamo sempre di altro a lezione».

«Per altro intendi del tuo piano per conquistare Kane?»

Mi viene voglia di schiaffeggiarlo. Oggi è intrattabile, si è presentato a scuola in ritardo e non ha fatto che parlarmi per monosillabi. Che diavolo gli è successo? Sto solo cercando di lavorare a questo progetto insieme, la Smith vuole vedere quello che abbiamo buttato giù entro la fine della settimana.

«Cosa ti prende oggi?»

Ruota la lingua intorno alla caramella e la spinge tra le labbra, bloccandola contro la guancia.

«Niente, sono stanco».

«Siamo entrati a scuola un'ora fa» gli faccio notare.

Alza le spalle.

«Non ho dormito bene, non è un crimine avere le palle girate per il poco sonno».

Vorrei dire che nemmeno voler prendere un bel voto in questo progetto lo è, ma mi mordo la lingua. Josh si raddrizza sulla sedia, poi fissa il soffitto con aria assorta. Quando penso che per oggi non ne ricaverò niente, lui mi sorprende.

«Sì» sussurra. «Mi hanno bullizzato da bambino».

Mi volto di scatto, ma i suoi occhi restano fissi sul neon nel controsoffitto di cartongesso. Mi schiarisco la gola e mi avvicino a lui, il suo profumo di bucato e menta mi fa arricciare il naso e mi conforta allo stesso tempo. Josh è familiare per me, sto imparando a riconoscerlo.

«Com'è stato?»

«Triste, sapevo che erano stupidi e che ripetevano le stronzate che avevano sentito dire da qualcun altro, ma non lo rendeva meno doloroso» riflette.

Si volta verso di me e mi fissa con uno sguardo che mi rimescola lo stomaco per la sua intensità. Morde quello che rimane della caramella e la mastica, deglutisce e getta il bastoncino sul banco.

«Cosa dicevano?» indago.

«Le solite cazzate che si dicono alle persone rosse di capelli, oggi mi sembra assurdo potersi offendere per tali idiozie, ma ero piccolo all'epoca e mi sentivo mortificato per il semplice fatto di essere pieno di lentiggini».

Il mio cuore si accartoccia un po' a quella confessione, mi immagino un piccolo Josh che viene deriso dai suoi compagni di scuola e sento subito il bisogno di proteggerlo. Scrivo bullismo sul mio quaderno e lui mi lancia uno sguardo infastidito, lo ignoro e cerco di scoprire qualcosa in più.

Because Of HerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora