Aris
Il primo dei due soldati apre l'ennesimo portone, mentre l'altro mi spinge rapidamente dentro.
Mi trascinano in mezzo, per poi spingermi in ginocchio sulla fredda pietra del pavimento.
Sollevo lo sguardo, cercando di capire se l'incubo che aveva preso forma nella mia testa rispecchiasse la realtà, ma non c'era ancora nessuno oltre a noi.
Di fronte a me c'è uno scranno di legno intagliato, mentre sul lato della parete arde, al sicuro dentro un grande camino aperto, una fiammata costante. Rabbrividisco, obbligandomi a distogliere gli occhi dalle vampate delle fiamme. Non succederà.
Le mie ginocchia protestano, ho bisogno di alzarmi e muovermi. Non percepisco nemmeno più le braccia, intorpidite per via della posizione innaturale a cui sono costrette a causa delle catene. Tuttavia rimango ferma, immobile, e aspetto.
Finché non avrò certezze su dove mi trovo e in che situazione sono, è meglio non commettere imprudenze. Avverto ogni battito del cuore rimbombarmi nelle orecchie, così forte da impedirmi di sentire i rumori esterni.
È per questo che, quando lui arriva di fronte a me, sussulto colta di sorpresa.
-Ecco la strega quasi consacrata- è ciò che dice, incrociando le braccia.
Alzo lo sguardo, mentre il panico prende possesso di ogni mia cellula.
È troppo vicino, faccio fatica a vedere la sua intera figura.
È slanciato, ma non sembra troppo alto. Indossa l'armatura argentata che rende la sua apparenza possente e robusta, mentre il volto è lasciato scoperto. Corti capelli castani, dello stesso colore della barba corta e curata, gli incorniciano il volto con primitiva eleganza.
La mia attenzione viene catturata dal tintinnio prodotto dalla sua spada contro l'armatura, dunque non rispondo.
-Via- ordina ai due soldati, facendo un cenno imperioso con la mano -e così, strega, mentre veneravi le orrende tenebre di Lucifero stavi per prendere i sacri voti?- sputa fuori le parole come insulti; ha un accento cittadino molto marcato, che rende la sua voce aggressiva e sicura.
-No- rispondo a bassa voce, abbassando appena il capo. L'ho visto poche volte, di sfuggita, eppure è impossibile non riconoscerlo.
È il conte Finn Haller von Hallerstein, che in pochi anni si è guadagnato la nomea di uomo sanguinario e impietoso.
L'incubo di chiunque, persino del più innocente dei cittadini.
-Cosa neghi?- indaga, guardandomi dall'alto tenendo il mento sollevato.
-Nego di essere una strega- rispondo, con una parvenza forzata di sicurezza. Il timore dentro di me si accresce istante dopo istante, l'atteggiamento ostile dell'uomo non fa che infiammarlo ulteriormente.
Una risata profonda si propaga da lui, che intanto si avvicina al camino. Non commenta la mia affermazione, ignorandomi senza nemmeno guardarmi.
Fremo di umiliazione, alzandomi in piedi a fatica.
-Cosa vi fa ridere, di grazia?- ribatto, seppur evitando di avvicinarmi.
Morirò in ogni caso, non permetterò a nessuno di trattarmi così.
Lui inarca un sopracciglio nella mia direzione, visibilmente divertito.
-Io non mi muoverei ulteriormente se fossi in te, strega- pronuncia la frase con un tono quasi cantilenante, senza distogliere lo sguardo dal fuoco.
Avvampo, avvertendo le mie guance tingersi di rosso a causa della rabbia crescente.
-Non potete uccidermi- insisto, con la voce resa a tratti stridula dalla paura.
-Consegna gli averi del convento- mi ordina lui, facendo un gesto annoiato con la mano. Si sposta intanto verso il proprio trono, spogliandosi dell'armatura e rimanendo in camicia e calzoni. Deposita la spada sui braccioli dello scranno, in equilibrio, e un sorriso divertito gli illumina nuovamente il viso.
Non mi sta neanche ascoltando.
Per lui la mia vita è così poco importante che non gli interessa neanche sapere se sono davvero colpevole delle accuse che mi sono state rivolte.
Non è giusto... niente di tutto questo lo è.
-Mi hai sentito?- mi incalza lui, voltandosi e scoccandomi un'occhiata infastidita.
Annuisco, sfilandomi dal collo il crocifisso di legno che portavo ormai da anni. Lo tengo in mano, esitando. So di non averlo tradito, lo so con certezza. Se solo potesse parlare e difendermi...
Scaccio via il pensiero dalla mia testa, rendendomi conto della sua assurdità. Il Signore non si scomoderebbe di certo per i miei comodi, le suore mi hanno sempre detto che è sbagliato chiedergli aiuto per delle sciocchezze.
-Ti ho detto di consegnare gli averi del convento. Tutti gli averi del convento- il conte avanza verso di me con il mento alto, arrivando a pochi palmi di distanza dal mio viso, pur essendo più alto di qualche spanna -ogni singola cosa- sottolinea.
Quando comprendo ciò che significano le sue parole, il rossore delle mie guance aumenta ancora di più.
Stringo i pugni, scuotendo la testa.
-Non ho nient'altro che appartenga al convento- nego, cercando di trattenere il tremito della mia voce.
-Io non penso proprio- inclina il volto, piegando le labbra in un ghigno divertito.
I suoi occhi, di una cupa sfumatura di grigio, sembrano scintillare.
Il mio stomaco si stringe a causa dell'agitazione. Quegli occhi non sono
umani.-Spogliati. Devo riconsegnare le tue vesti al convento prima dei vespri di domani- ribadisce, impassibile.
Deglutisco, rimanendo immobile.
STAI LEGGENDO
Bewitched
Historical FictionNorimberga, 1352. Aris, una giovane fanciulla cresciuta fra i campi bavari, viene cacciata dal convento dove stava per prendere gli ordini con un'accusa bruciante: stregoneria. Costretta dunque alla fuga, non riuscirà a scappare a lungo dai frati do...