Capitolo 18

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Aris

Rimango per qualche istante con lo sguardo incollato sulla spessa porta rinforzata che il conte ha appena chiuso dietro di sé, decretando per l'ennesima volta la mia prigionia.

Espiro lentamente, socchiudendo gli occhi. Sono anni che, in un modo o nell'altro, mi ritrovo segregata.

Prima in convento, dove le mie azioni erano controllate a vista e non potevo permettermi di compiere un singolo passo falso, ed ora qui, nel Kaiserburg, con una condanna a morte che preme sulla mia testa ma che, a quanto pare, non è così imminente.

Mi passo le mani sul volto, sospirando appena. Odio tutti questi stupidi giochi di potere.

Giro su me stessa, osservando distrattamente l'ambiente in cui sono stata relegata.

Devo ammettere che è più ampio della cella in cui ho trascorso gli ultimi giorni, ma non è molto più provvisto per quanto riguarda l'illuminazione.

Per terra intravedo un giaciglio improvvisato, sul quale dunque mi siedo, testandone la consistenza. Non sembra essere troppo scomodo, rispetto alla dura pietra a cui ormai mi stavo abituando.

La confusione mi annebbia la mente; perché sta accadendo tutto questo?

Ho la sensazione di essere finita all'interno di una scacchiera dove non sono altro che un inutile pedone.

Ma chi mi gestisce? Mio padre? Il conte? Il convento?

E qual è l'obiettivo di questa partita?

Non mi stanno trattando come una donna qualunque accusata di stregoneria, ma questo perché mio padre è l'imperatore. Tale parentela basterà a salvarmi?

Me lo auguro dal profondo del cuore, ma non posso esserne sicura, non dopo che ho visto l'odio ardente negli occhi del conte von Hallerstein.

Mi rialzo in piedi, avvicinandomi alle finestre.
Sono chiuse, fra un'anta e l'altra c'è solo un minimo spiraglio che consente l'ingresso di fievoli lame di luce; provo ad infilare le mani in quella insulsa fenditura e tiro poi verso di me il legno.

Non ottengo niente, se non un lieve aumento dell'interstizio. Inspiro profondamente.

Qua bisogna mettersi al lavoro.

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